Sei Nazioni 2018: cosa aspettarsi dall’Italia?

Per O’Shea e gli Azzurri è un momento interlocutorio. Cinque grandi prestazioni rappresenterebbero un successo

Sei Nazioni

ph. Sebastiano Pessina

Continua il nostro percorso di avvicinamento verso il Sei Nazioni 2018, che si aprirà sabato 3 febbraio. Fino ai giorni precedenti alla prima partita, introdurremo le protagoniste del Torneo con uno speciale a loro dedicato. 

Leggi anche: La Scozia ci crede davvero – Il Galles è a metà del guado – Francia, la nazionale più indecifrabile –L’Irlanda, sfidante numero uno – Inghilterra, per fare un passo nella storia

Dopo tanti anni persi ad attendere Godot, il movimento italiano sta faticosamente cercando di uscire dalla pericolosa impasse in cui si è ritrovata con il passare delle ultime stagioni. Ben consapevole del cumulo di macerie trovato al suo arrivo, Conor O’Shea non ha mai fatto voli pindarici nelle sue dichiarazioni, ma ha sempre sottolineato l’importanza di un progetto a lungo termine che possa finalmente far progredire la palla ovale azzurra, che in precedenza ha sempre rinviato dei cambiamenti ora diventati improrogabili. L’irlandese non è soltanto un uomo di campo (dove delega molto ai suoi assistenti), ma è soprattutto il pianificatore che all’Italia probabilmente mancava negli anni di Brunel, e di cui Nazionale e franchigie avevano disperato bisogno.

I primi segni tangibili dell’influenza di O’Shea sul movimento azzurro sono arrivati, ma rappresentano soltanto gli schizzi iniziali di un disegno più grande, ricco di sfide più o meno difficili con la cultura e la tradizione rugbistica e sportiva italiana. Nel frattempo, per l’Italrugby arriva la battaglia più dura, ovvero quel Sei Nazioni in cui ogni partita pare (comprensibilmente) già persa in partenza mettendo a confronto Azzurri e avversari, e non potrebbe essere altrimenti. In passato, tante occasioni di crescita sono state sprecate: ritrovarsi a dover ancora predicare pazienza, come fa stoicamente O’Shea in ogni momento, è solo un’inevitabile conseguenza.

Come arriva al torneo

I Test Match di novembre hanno messo in luce pregi e difetti piuttosto noti della Nazionale: fasi statiche di ottimo livello, buon impianto difensivo, scarsa efficacia in fase offensiva e netta inferiorità nei punti d’incontro contro Argentina e Sudafrica. È evidente, tuttavia, che le prestazioni dell’Italia andrebbero parametrate soprattutto rispetto ad avversari come le Fiji, nazionale di un livello più vicino a quello degli Azzurri.

Essere nello strano limbo tra Tier 1 e Tier 2, del resto, rende complicati (se non impossibili) tutti i possibili confronti con le altre consorelle del Sei Nazioni, in particolare quella Scozia capace di spiccare il volo negli ultimi anni e salutare la compagnia italiana in fondo alla classifica del torneo. Anche per questo, il Sei Nazioni 2018 può essere considerato come una sorta di tappa di passaggio e sperimentazione verso i prossimi impegni dell’anno, soprattutto il tour in Giappone e i Test Match di novembre con l’attesa sfida alla Georgia, dove non si potrà solo guardare alla prestazione.

Nel Torneo, invece, la sfida più grande per gli Azzurri sarà proprio mantenere alta la concentrazione e non farsi risucchiare dal vortice di negatività che potrebbe arrivare con le presumibili sconfitte, onde evitare di farle diventare delle pesanti batoste come accaduto l’anno scorso (zero punti)  Riuscire a giocare cinque grandi partite, del resto, potrebbe essere il vero successo italiano di questa edizione all’insegna del realismo: “Dobbiamo guardare alle prestazioni – aveva detto O’Shea alla presentazione ufficiale del Torneo – Noi vogliamo vincere tutte le gare, ma dobbiamo anche essere realisti e focalizzarci sulle cose che possiamo controllare”.

Punti forti

Che l’Italia sia la squadra meno attrezzata del lotto non è un mistero. La discrepanza di valori tra le altre cinque squadre e gli Azzurri minimizza l’impatto delle armi a disposizione degli uomini di Conor O’Shea, o quantomeno ne delimita l’efficacia a determinati (pochi) momenti del match. Dove l’Italia potrebbe trovare maggiore continuità è la mischia ordinata, specie se Simone Ferrari riuscirà a confermare i progressi compiuti nell’ultimo anno e mezzo e se Lovotti non risentirà del carburante consumato fino a questo momento in stagione. Il rifugio ideale, poi, sarà presumibilmente la rolling maul, sfruttando gli oliati meccanismi in rimessa laterale.

Al solito, lo staff potrebbe chiedere gli straordinari al miglior giocatore della rosa, Sergio Parisse. Come a novembre, il capitano arriverà in Nazionale dopo essere rientrato da poco da un infortunio, ma questo non dovrebbe essere problematico per un atleta sempre in grado di mettere a disposizione della squadra il suo immenso bagaglio tecnico.

La sua intesa con Carlo Canna, poi, si è rivelata in alcuni frangenti molto interessante, e potrebbe essere una delle possibili chiavi di volta per sopperire alla sterilità offensiva azzurra. Più in generale, il beneventano sembra pronto ad assumersi molte più responsabilità anche in Nazionale: del resto, capitano e CT hanno insistito molto sul concetto di “prendersi più rischi”, che lascia presagire una maggiore libertà d’azione per l’istinto del mediano zebrato, apparso troppo ingessato nella strategia preparata a novembre. Per la Nazionale, d’altronde, la vena offensiva di Canna pare imprescindibile, così come le alte percentuali dalla piazzola che porta in dote e la partnership con Marcello Violi, Tommaso Castello (vera testa di ponte per l’attacco azzurro) e Matteo Minozzi.

Punti deboli

La domanda più adeguata per aprire questo paragrafo sarebbe: «Quali sono gli aspetti su cui è necessario intervenire di più per competere a alti livelli?». La risposta più facile sembrerebbe «tutte», ma in campo ci sono soprattutto due macro aree che suscistano particolari preoccupazioni: la costruzione offensiva e il breakdown.

In attacco l’Italia è fin troppo prevedibile per movimenti e strutture di gioco. Molto spesso, a novembre, l’Italia riusciva a prendere e a perdere subito dopo l’abbrivio giusto e quell’avanzamento fondamentale per dare continuità al gioco, non riuscendo poi a trovare altre soluzioni per ripartire da capo se non muovendo il pallone vicino al raggruppamento per le incursioni degli avanti. Contro squadre più potenti fisicamente come Sudafrica e Argentina, il risultato era un ripetuto punching ball sulle difese avversarie.

Le incornate, insomma, non sembrano essere produttive, e forse anche a questo si riferiscono le dichiarazioni di O’Shea e Parisse sulla maggiore assunzione di rischi. Ciò non vorrà dire che l’Italia diventerà una trasposizione delle Zebre (Parisse, in questo senso, è stato molto chiaro), ma che potremmo vedere fin da subito una squadra più dinamica e con singoli più abili a ricercare gli spazi nelle difese altrui, pur senza esasperare questa tendenza.

Tutto questo, inoltre, non potrà prescindere dai miglioramenti dei singoli nel decision making, spesso carente (perlomeno in Nazionale, meno nelle franchigie) quando si tratta di fissare l’uomo, attaccare la linea e porre concreti interrogativi alla difesa.

Senza una maggior presenza nel breakdown (dove continua a mancare una figura specialistica nell’allenarli) e pulizie più rapide, tuttavia, molti dei suddetti discorsi potrebbero essere vani.

Possibili rivelazioni

I ragazzi terribili delle Zebre hanno tutte le potenzialità per rubare l’occhio sulla scena internazionale. Giovanni Licata e Renato Giammarioli sanno interpretare il gioco in maniera moderna, potendo contare su giochi di gambe non comuni alle altre terze linee azzurre che abbinano anche ad un impatto fisico non indifferente, nonostante la struttura non esattamente vunipoliana. Insieme a Parisse, potrebbero formare un reparto estroso e in controtendenza con le ultime scelte operate da O’Shea.

Nella linea arretrata, invece, occhi puntati Matteo Minozzi e sulle sue brucianti accelerazioni. Nella gara contro l’Argentina, in cui ha fatto la sua apparizione più significativa del mese di novembre, ha rubato l’occhio per la capacità di battere sempre il primo difensore pur partendo da ala. Ma le sue ottime prestazioni con le Zebre, in cui spicca anche per distribuzione del pallone nelle seconde ondate offensive, gli consentono di sperare anche in un posto da titolare come estremo.

Daniele Pansardi

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