Sei Nazioni 2018: Inghilterra, per fare un passo nella storia

Eddie Jones ha ormai plasmato la sua squadra, ma il torneo sarà un’altra occasione per migliorare (e sperimentare)

inghilterra

ph. Reuters

Continua il nostro percorso di avvicinamento verso il Sei Nazioni 2018, che si aprirà sabato 3 febbraio. Fino ai giorni precedenti alla prima partita, introdurremo le protagoniste del Torneo con uno speciale a loro dedicato. 

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Il Mr Wolf inglese è già all’opera dall’autunno 2015. Anche lui, come quello originale, era dovuto arrivare di corsa e senza indugi, stracciando il contratto firmato qualche mese prima con gli Stormers. «Sono Eddie Jones, risolvo problemi». E se si fosse presentato così alla governance della Federazione inglese? Non sarebbe una sorpresa.

Jones ha fatto in modo che tutta la squadra rispettasse fin da subito le sue consegne, dando dimostrazione di aver ben chiaro il percorso da seguire sia sul breve sia sul medio/lungo termine, come dimostrato dal rinnovo fino al 2021 firmato di recente con la RFU. L’australiano ha ripulito sia la tappezzeria sia gli uomini dall’onta della Coppa del Mondo a tempo di record, proprio come l’Harvey Keitel di Pulp Fiction, ma il suo lavoro ancora è tutt’altro che completato. Con due Sei Nazioni già in cassaforte e la sfida agli All Blacks già lanciata da tempo, l’obiettivo ora è solo il Mondiale in Giappone, per schiacciare definitivamente come un’auto in uno sfasciacarrozze il ricordo delle buie notti dell’ottobre 2015. Nel frattempo, nel mirino c’è la possibilità di vincere il terzo Sei Nazioni di fila ed essere quindi la prima squadra a farlo dal momento dell’ingresso dell’Italia nel torneo.

Come arriva al torneo

Le ventidue vittorie in tre ventitré partite giocate dal febbraio 2016 rappresentano già un biglietto da visita completo di tutte le informazioni. L’Inghilterra si è costruita un’aura di imbattibilità scalfita soltanto dalla superba prestazione dell’Irlanda nello scorso marzo, dopo che gli uomini di Jones erano stati capaci addirittura di battere tre volte l’Australia nella terra dei canguri.

A novembre, proprio contro i Wallabies è arrivata l’ennesima straordinaria dimostrazione di forza da parte degli inglesi, vittoriosi per 30-6 a Twickenham al termine di una partita molto sofferta, in cui gli ospiti erano andati vicino alla meta per due volte. Gli altri due successi sono arrivati contro Argentina (con qualche difficoltà) e Samoa (in scioltezza), che hanno confermato la grande solidità della nazionale e lo status di favorita numero uno in vista del Sei Nazioni.

Tuttavia, alcune sfortunate contingenze potrebbero rendere questo torneo quasi un laboratorio di esperimenti per Jones, costretto a rinunciare ad un notevole numero di infortunati. I più importanti? Daly, Billy Vunipola, Hughes e Sinckler, potenzialmente inamovibili nella lista gara dei 23 per il CT australiano, più Marler e Haskell per la prima giornata contro l’Italia. Tra questi, soltanto Daly e Vunipola hanno un posto quasi assicurato nel XV titolare, ma Jones ha comunque colto l’occasione per indicare l’Irlanda come la reale pretendente al trofeo. Strategie comunicative, e nulla più. Anche perché le vere emergenze sono altre, come ha ricordato in maniera bonaria anche Conor O’Shea snocciolando la possibile formazione con cui gli inglesi si presenteranno a Roma.

Punti forti

Forza e resistenza fisica, resilienza e tenuta mentale sono i capisaldi del lavoro di Jones. E se credete che siano delle banalità, è bene ricordare come il dominio inglese non sia stato mai caratterizzato da punteggi roboanti o prestazioni di schiacciante superiorità, ma da partite spesso risolte negli ultimi venti minuti in cui la maggiore tenuta psicofisica inglese ha fatto la differenza rispetto all’avversario. Ancora una volta, il match contro l’Australia a novembre è l’esempio perfetto di tutto ciò, visto che al 73′ la partita ancora era sul 13-6 per i padroni di casa, capaci poi di segnare tre volte in sette minuti.

Il rugby giocato dall’Inghilterra di Jones è piuttosto conservativo, perché punta innanzitutto a soppiantare i rivali nel corpo a corpo e a disinnescarli nei punti d’incontro, restringendo il più possibile la difesa attorno al breakdown per creare spazi al largo che i vari Joseph, Watson e May possono sfruttare. Anche per questo, Jones ha insistito molto in passato per degli allenamenti specifici sui punti d’incontro, mutuando anche da altri sport (il judo) per velocizzare il più possibile questa fase di gioco. Con un gameplan del genere, è comprensibile anche il motivo per cui Jones preme per intensificare sempre di più le sessioni di allenamento per i suoi. Finora, ad avere ragione è soprattutto lui.

L’altro segreto di Pulcinella dell’Inghilterra è l’infinita profondità, che permette allo staff di avere sempre una panchina di assoluto livello e in grado di cambiare la partita. Qualche esempio dallo scorso anno: nella partita contro la Francia la meta decisiva è stata segnata da Te’o; contro l’Italia si è resa necessaria una doppietta di Nowell; in Argentina l’ingresso di Solomona è stato fondamentale; ancora contro l’Australia, che forse deve ancora scontare le colpe della RWC 2015, Danny Care ha servito due splendidi assist partendo dalla panchina. Nei comunicati con cui la RFU annuncia la formazione, del resto, per i panchinari non c’è più la dicitura Reserves, bensì Finishers. Non è solo una finezza linguistica e, in ogni caso, è l’ennesima prova di come l’Inghilterra sia ormai una squadra a immagine e somiglianza del suo allenatore: pragmatica, dalle mille risorse e inscalfibile.

Punti deboli e interrogativi

Nonostante l’Inghilterra cerchi sempre di dettare il suo ritmo e determinare il contesto più favorevole per lei, uno dei pochi difetti della squadra emerge quando non riesce a incanalare la partita sui propri binari. Talvolta l’impressione è che gli inglesi non riescano a smarcarsi dalla tattica pre impostata dallo staff (e Eddie Jones di solito dà consegne molto specifiche ai propri giocatori), nonostante le grandi individualità e la varietà di opzioni in rosa.

I problemi, come detto, vengono spesso risolti dalla panchina a partita in corso, ma la problematicità in fase offensiva resta e spesso viene accentuata dall’assenza di Billy Vunipola, vero e proprio grimaldello delle difese avversarie. Il suo sostituto naturale, Nathan Hughes, non sempre ha offerto lo stesso apporto in quanto a potenza fisica e capacità di andare oltre la linea del vantaggio, e il titolare in questo Sei Nazioni sarà un giocatore molto diverso dai suddetti per caratteristiche tecniche e atletiche, ovvero Sam Simmonds. Eddie Jones deve fare di necessità virtù e, anche se il numero otto dell’Exeter è un giocatore capace di fare la differenza già in Champions Cup, il modo in cui verrà effettivamente utilizzato il 23enne resta un’incognita.

Possibili rivelazioni

Al contempo, Simmonds ha tutte le qualità per emergere come un elemento di punta per la propria nazionale. Mentre Billy Vunipola e Nathan Hughes pesano la bellezza di 130 e 124kg, per Simmonds la bilancia dice appena 103 chilogrammi, e dalla sua struttura fisica dipendono di fatto tutte le conseguenti differenze con i due colleghi. Il giocatore dei Chiefs sprigiona solo all’apparenza meno potenza rispetto agli altri, ma inoltre è ben più dinamico e dispone di una tecnica di corsa che farebbe invidia a molti trequarti di livello internazionale. Per Eddie Jones è una soluzione diversa, seppur meno convenzionale.

Molto simili a Simmonds per struttura fisica e atletica sono anche Gary Graham e Zach Mercer, entrambe terze linee e uncapped: il primo ha 25 anni e si sta mettendo in mostra con i sorprendenti Newcastle Falcons, mentre il secondo ha le stimmate del predestinato e, dopo aver guidato l’Under 20 inglese da capitano, deve solo attendere che i tempi siano maturi per conquistare una maglia anche con la nazionale maggiore.

Daniele Pansardi

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