Il rugby dei paesi e delle capitali. Come l’ambiente esterno influenza la professione

Un viaggio di quattro tappe da L’Aquila a Londra, passando per Biarritz e Parigi. Alla guida Andrea Masi

COMMENTI DEI LETTORI
  1. Hullalla 16 Gennaio 2017, 11:02

    “…è fondamentale, mantenere sempre lo spirito e il senso di appartenenza, come insegna il caso Wasps.”

    Strano non abbia citato a questo proposito anche le Zebre… 😉

  2. boh 16 Gennaio 2017, 11:03

    Finalmente, un ex giocatore, che sa dare valutazioni che vanno oltre il puro rettangolo di gioco…e con intelligenza. Qui si vede, che oltre alla crescita tecnica, Andrea ha saputo assimilare anche tutto ciò che fa grande un club nella gestione e managerialità. Avremmo bisogno di queste persone per crescere, non di esperti del terzo tempo.

  3. leo64 16 Gennaio 2017, 12:10

    Ne le Zebre e neanche gli Aironi. Perché lui sa come funziona e che pessimi dirigenti che sono passati dalla due Franchigie.

  4. Meridion 16 Gennaio 2017, 12:11

    e ti vengono in mente le vicende degli Aironi======>Zebre….Ma anche Treviso<===Dogi….Noi si che abbiam fatto le cose per bene!!! Viadana- Parma infatti sono solo 35 km mica 125 come per i Wasps!!! 🙁

  5. massimo1 16 Gennaio 2017, 13:22

    Quindi in Italia con pochi disposti a investire nel rugby che senso ha spingere. Creare franchigie nelle grandi citta’? Teniamoci stretti quei pochi che hanno ancora voglia di mettere soldi nel rugby Zambelli presidente del rovigo e Benetton di treviso …..è una volta c’era melegari da viadana.

  6. giobart 16 Gennaio 2017, 13:56

    Se vuoi che la gente si affezioni, devi creare eventi e non solo la partita, l’esempio americano è semplice, tenere lo spettatore allo stadio almeno mezza giornata, bibite, panini, mascotte, ragazze immagine, musica ecc.
    Se vuoi fare soldi devi investire soldi, altrimenti…vivacchi!

    • boh 16 Gennaio 2017, 14:18

      Noi, preferiamo tenere gli spettatori.. nei centri commerciali panini bibite gelati mascotte ragazze immagine eee amici di Maria.

  7. dengra 16 Gennaio 2017, 16:52

    Bellissimo articolo con reali considerazioni del rugby italico. Purtroppo le piazze storiche con quei valori che Masi evidenzia non esistono più e si vive di ricordi una sorte di film Felliniano in bianco e nero……e le celtiche italiche sono dei finti professionisti.

  8. davp 16 Gennaio 2017, 20:22

    il biarritz di quei tempi era l’emblema di una francia che faceva paura a tutti, neanche lontanamente paragonabile al racing, tolone di oggi, che quando le guardi sembra di vedere una donna con le tette rifatte da quanto ci hanno speso i mangiaschei (con tutto rispetto per le donne).

    p.s:tra le bestie sacre andrea si è dimenticato di balshaw, anche se non è proprio di quelle parti.

  9. parega 16 Gennaio 2017, 21:57

    CLONATE MASI

    • parega 16 Gennaio 2017, 21:59

      da noi mancano solo i dirigenti
      e i tifosi
      e i soldi
      i giocatori
      e gli allenatori
      a parte questo i wasp ci fanno un baffo !!!!!!!!!!!….

  10. mistral 17 Gennaio 2017, 08:52

    sempre interessanti le impressioni ed i ricordi di chi in prima linea (metaforicamente) c’è stato, e per lungo tempo, e di questa esperienza si dovrebbe fare non dico tesoro (non esageriamo, è pur sempre un rugbyman con tutti i suoi pregi ed i suoi limiti) ma arricchimento reciproco… non entro nel merito della realtà aquilana (troppo viscerale e giovanile, ed ormai purtroppo superata dai tempi) ne’ di quella inglese, ma sulla francese mi permetto alcuni piccoli incisi…
    BOPB: ha segnato un’epoca, con un organico oggi si direbbe stellare, in un periodo in cui il professionismo in francia muoveva i “primi” passi e le regioni storiche dell’ovalia primeggiavano (il sud-ovest pirenaico in generale, il territorio basco in particolare) per passione e praticanti; non va dimenticato che oltre al XV nello stesso territorio (e nelle stesse città) si era nel contempo sviluppato un rugby a XIII di non secondaria importanza… con l’avvento del professionismo professionista Biarritz ha visto sempre più declinare le proprie potenzialità, a causa anche di un management troppo protagonista, prima dentro e poi fuori dal campo e dalla squadra stessa (la citazione ed il richiamo all’imponente Serge Blanco non è affatto casuale)… ed oggi il paese cosiddetto “basco” vive una profonda crisi, sia di identità culturale sia di ricchezza economica, con i risultati che tutti conoscono…
    2) la stagione parigina: Parigi è una città in cui la riscoperta del rugby a XV di alto livello è direi storicamente “recente”, e coincide con l’epoca Guazzini allo SF e (poco più tardi)Lorenzetti al R92 (la cui storid di successive fusioni e modifiche di nome è forse più interessante ma sostanzialmente identica a quella dello SF)… con Guazzini in particolare si scopre l'”evenementiel”, lo spettacolo da affiancare (prima, durante e dopo la partita) alla partita stessa, dentro e fuori dal campo, con majorettes, musica e pon-pon, calendari stile Pirelli, design delle divise di gioco innovativo (magari anche disutibile, ma decisamente nuovo)… e si scopre il “Clasico”, lo scontro al vertice ricorrente tra stadisti tolosani e parigini… è l’epoca d’oro del rugby parigino, ma a sua volta innesca una moda che altri imprenditori (MB in particolare) sapranno sfruttare al meglio in realtà urbane e territoriali molto meno asettiche dei dipartimenti parigini…
    ecco, su questi due punti vorrei proporre un ragionamento, ed in parte controbattere a @davp (con il quale non ho mai incrociato la tastiera, e che saluto cordialmente) ed alle sue tette rifatte
    …malgrado, o grazie, alla evoluzione del rugby evenemenziale, e forse anche grazie (in definitiva) al crollo verticale della super-identità territoriale, si è sviluppato in Francia, a livello professionistico (top14 e proD2, ma anche in parte in fed1) una nuova passione che è al contempo per il gioco del rugby e anche (soprattutto direi) “territoriale” : come si può ignorare la passione viscerale, competente e consolidata dei supportes di castres, tolonesi, auvergnati, tolosani, etc etc, per il rugby a XV definendoli amanti delle tette rifatte?… mi pare denigratorio e superficiale, detto da qualcuno che gli stadi del rugby francese non li frequenta (se non forse attraverso la lente deformata e deformante di alcuni bloggher e alcuni commentatori)…
    con riferimento poi ai “mangiaschei”, sommessamente ricordo che senza “schei” si fa poco (in qualsiasi settore), un conto è il mecenate che destina parte del suo patrimonio privato (Fabre a Castres ne era un esempio mai contestato) altra cosa sono i neo imprenditori che nel rugby hanno visto (anche) una possibilità di business e dal rugby professionistico traggono soddisfazioni non solo sportive (e ce ne sono parecchi, anche se per dis-abitudie si parla quasi solamente del sovraesposto MB)…
    concludendo, identità territoriale non più e solo legata alla “razza” (basca, pirenaica, catalana poco importa) ma al “territorio” (Auvergne, Gironda, Mediterraneo provenzale, Rodano…) e congrua capacità economica per attrarre giocatori di qualità (come Andrea Masi, sicuramente uno dei migliori ambasciatori “autoctoni” del rugby peninsulare, con LoCicero, Perugini, i fratelli Bergamasco e oggi probabilmente Campagnaro…su Sergio Parisse non spendo alcun aggettivo, per me, è risaputo, appartiene alla categoria dei non-classificabili, delle top-star)…
    …attrarre giocatori di qualità, saper rinnovare le divise ed i costumi, poter contare su un management sportivo ed atletico di qualità ed un management economico-finanziario serio, credo sia uno dei modi per poter ancora (per alcuni decenni almeno) sviluppare un rugby professionistico e di massa, legato al territorio ma capace di attrarre al di la dei campanili…

  11. boh 1 Febbraio 2017, 07:31

    Articolo del 16 gennaio, argomenti che dovrebbero ancora oggi invitare al dibattito per migliorare la nostra visione =13 interventi……Gli stati generali… e di cosa discutiamo? Non è un paese per rugby

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