Marco Bortolami intervista in esclusiva per OnRugby il condottiero della Nazionale irlandese
Da promessa del nuoto fino a 16 anni a leggenda della palla ovale, “one club man”. Almeno fino a oggi. Nato e cresciuto rugbisticamente sempre all’insegna del rosso della maglia della Red Army di Limerick, l’ospite di oggi ci racconta come un ragazzo irlandese si sia trasformato in uno dei capitani più importanti del rugby moderno.
“Per chi possiede coraggio e fede nulla è impossibile” è la frase che campeggia a Thomond Park dove Paul O’Connell ha incarnato una visione di rugby tutta determinazione e organizzazione che ha portato la squadra di Munster sul tetto d’Europa.
Estremamente ambizioso, determinato e dedito al massimo perfezionismo, sarà uno dei giocatori chiave della squadra Irlandese che, per la prima volta nella storia, si candida come una delle pretendenti alla vittoria della Coppa del Mondo.
Paul, quali sono i tuoi ricordi da ragazzo della Coppa del Mondo di rugby?
Mi ricordo di aver guardato alcune partite dell’edizione del 1987 a casa con i miei fratelli e mio padre. Paradossalmente non rammento le partite della squadra irlandese…
Ricordo chiaramente l’edizione del 1991 e la devastante delusione provata quando pensavamo di aver superato l’Australia a Lansdown Road, ma un calcio di punizione di Michael Lynagh, allo scadere, vanificò la meta di Gordon Hamilton. Ovviamente, anche l’edizione del 1995, segnata dalla presenza di Jonah Lomu, resta indelebile nella mia memoria.
Tu sei uno dei leader più importanti della nazionale irlandese e hai anche recentemente guidato i British & Irish Lions in Australia, quali sono le qualità di cui ha bisogno una squadra per eccellere alla Coppa del Mondo?
Penso che la personalità di una squadra sia molto importante, ma ci sono tantissime qualità che compongono il carattere di un giocatore e di un team.
È necessario avere dei buoni giocatori che abbiano già sviluppato l’esperienza indispensabile su palcoscenici di assoluto livello e serve disciplina dentro e fuori dal campo. In ogni grande manifestazione ci sono sempre dei momenti di difficoltà ed è proprio in quei momenti in cui il carattere dei giocatori e della squadra viene testato. Devi aver fede nel lavoro di preparazione che hai fatto e devi mantenere la rotta tracciata.
Per sviluppare una cultura vincente, quanto è importante per una squadra l’ambiente in cui lavora?
L’ambiente in cui una squadra opera è dettato dall’atteggiamento degli allenatori e dalla qualità del “coaching” che offrono ai loro giocatori. Devono essere di esempio per la squadra e incarnare tutti quei valori che vogliono che i loro uomini mostrino dentro e fuori dal campo. Quindi i giocatori devono avere l’atteggiamento giusto; quelli di esperienza devono guidare questa attitudine. Le strutture di allenamento sono di secondaria importanza per un gruppo alla ricerca dell’eccellenza. Un team di persone con la giusta mentalità viene prima di tutto.
Da capitano come gestisci la pressione di vincere e come ricerchi il giusto equilibrio tra confidenza e paura di perdere?
Credo che il modo migliore di combattere la pressione di vincere sia quello di concentrarsi a fondo e lavorare duramente su ciò che si sta facendo in quel preciso momento e poi passare oltre, al compito successivo e così via… L’idea di vittoria complessiva è irrilevante, il momento in cui sei “ora” è l’unica cosa che conta.
Il rugby sta cambiando molto velocemente da un punto di vista tecnico, ma da un punto di vista attitudinale vedi dei mutamenti e in quale direzione?
La nuova generazione di giocatori, quella del futuro, non sarà differente da come siamo noi oggi. Certamente quelli che comprenderanno la stretta relazione che esiste fra il duro lavoro quotidiano e il successo saranno quelli che si garantiranno lunghe carriere piene di soddisfazioni.
Quali pensi siano le qualità principali di un grande allenatore e quali le chiavi del suo successo?
Onestamente non so quali qualità siano necessarie per essere un grande allenatore. Quello che sento è che il rugby viene giocato a intensità e velocità sempre più elevate e i giocatori si trovano in uno stato di affaticamento costante. Gli allenatori che mi piacciono maggiormente sono quelli che studiano un piano di gioco facile da eseguire. Credo che molto del rugby di oggi sia troppo elaborato e complicato.
Tu sei uno dei capitani più importanti del rugby moderno, quali pensi siano le caratteristiche fondamentali per un buon leader?
Penso che l’entusiasmo, la preparazione e la fede in ciò che cerchi di realizzare sia un buon punto di partenza.
Si nasce leader o lo si diventa?
Credo che leader si diventi: ognuno di noi può guidare gli altri. Alcune persone riescono a comunicare molto efficacemente, altri sono di esempio e alcuni sanno fare entrambe le cose… In un ambiente in cui tutti sono alla ricerca dell’eccellenza ognuno diventa leader.
Quale pensi sia la squadra favorita per la vittoria della prossima Coppa del Mondo e perché?
E’ molto difficile non pronosticare la Nuova Zelanda come favorita, il talento di cui dispongono rispetto a quello degli altri paesi li mette sempre in una posizione di vantaggio. Mi piace pensare, però, che anche noi irlandesi abbiamo una piccola possibilità di farcela!
Pensi che lo sport e in particolare il rugby abbia una funzione sociale da espletare e perché?
Assolutamente sì! Penso che tutti i valori che apprendi giocando a rugby come l’importanza del lavoro di squadra, l’impegno senza compromessi, la disciplina e la sportività siano fondamentali anche nella vita. Per i giovani giocatori che entrano nelle accademie a 18 anni credo che una laurea di terzo livello dovrebbe essere obbligatoria. Non tutti hanno la fortuna di avere lunghe e ricche carriere professionistiche e questi giovani appassionati giocatori devono anche essere preparati per quello che la loro vita potrebbe essere al di là del rugby.
di Marco Bortolami
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