Andy Dalton ci porta dietro le quinte della provincia di Auckland

L’ex capitano All Blacks è Amministratore Delegato della ARFU. Ecco come si gestisce una delle maggiori Union neozelandesi

COMMENTI DEI LETTORI
  1. Mr Ian 9 Agosto 2014, 08:45

    Bell articolo come sempre, sulle frasi in neretto, meglio sorvolare….Sono molto curioso di vedere la ITM cup di quest anno, la NZ del dopo mondiale necessità di un importante ricambio generazionale…

    • Melita Martorana 9 Agosto 2014, 11:16

      Grazie Ian. Frasi in neretto da mettere in tasca. Alcune.

  2. Katmandu 9 Agosto 2014, 09:01

    Complimenti Melita, oramai non so più che aggettivi usare, detto questo anche su questo si vede la differenza tra noi e loro ed é impossibile per noi guardare e copiare loro al momento, non ne siamo in grado, meglio prenderne atto e mettere delle regole che aiutano lo sviluppo dei club in tal senso per poi fare un ulteriore step

    • Katmandu 9 Agosto 2014, 09:03

      Ps ma il detto non mi sembra che ultimamente funzioni molto bene, cos’é l’eccezione che conferma la regola? 😉

  3. lamischia 9 Agosto 2014, 10:48

    Vorrei porgere i miei complimenti a Melita per la professionalità e per la scelta di intervistare un uomo così importante. Elevare il dibattito è una scelta da sposare.
    Detto ciò – e fatte salve le debite proporzioni rugbistiche – la distanza che divide Italia e Nuova Zelanda è soprattutto nella considerazione che si ha dello sport in quanto fenomeno. E’ evidente che per molti Paesi è materia culturale – intriso di epica – e al contempo materia economica se è vero che “La cosa bella di avere 7 consiglieri indipendenti è che arrivano al Board senza nessuna affiliazione a nessun club nella nostra regione. Sono uomini di successo nel mondo del business di Auckland come la più grande agenzia immobiliare,la Barfoot& Thomson, o la società dei trasporti di Auckland”, dunque da trattare con lievità nel seguirlo e con serietà nel gestirlo. Per altri Paesi, Italia in primis, è invece meramente e sciattamente un passatempo cosiddetto “basso”. Dunque non si investe nella gestione (si prenda ad esempio l’attuale corsa alla Presidenza FIGC), o comunque la si delega a personalità interne al mondo dello sport, che alcun merito hanno da un punto di vista manageriale; né tantomeno si investe nel racconto, relegato al mercato delle vacche e a gossip di ultima specie.
    Contento che OnRugby e Melita Martorana in questo caso si adoperino per offrirci spunti e spaccati di vita da studiare e applicare se considerati attuabili al nostro mondo e alla nostra realtà.

  4. hyperion 9 Agosto 2014, 12:48

    @Melita Grazie per i tuoi servizi inappuntabili e professionali si vede che “trasudano”,oltretutto,della passione che ci metti nello scrivere e a raccontare.
    Una cosa che mi fa arrabbiare(eufemistico sarebbe più colorito un’altro termine) del suddetto articolo è il passo:
    “Qualche anno fa attraverso i Blues abbiamo tentato di aprire un rapporto di sviluppo con la Fir e la Nazionale U20. Purtroppo non è andato in porto, ma vogliamo comunque dare l’opportunità a giovani giocatori del vostro paese di venire qui e misurarsi con gli attuali e futuri All Blacks usufruendo delle stesse risorse che gli All Blacks hanno a disposizione come supporto tecnico e tattico”.
    Ma mandare dei tecnici italiani ad imparare fa troppo schifo alla fir?
    Grazie ancora un cordiale saluto

    • Alberto da Giussano 9 Agosto 2014, 13:11

      Mi permetto di fare una osservazione.
      Non sono le nozioni tecniche che i ns. allenatori devono imparare o gli atleti che diventerebbero dei supermann andando là. Sono le metologie organizzative che fanno la differenza tra noi e loro ed esse sono comunque “intrasportabili” tout court nel nostro paese.
      Dan Carter, Sam Whitelock,Richie McCaw, non sono diventati quel che sono perché in NZ ci sono dei super allenatori che trasformano dei brutti anatroccoli in cigni. McCaw e Carter sarebbe diventati dei fuoriclasse anche se avessero giocato in Italia.
      Il vantaggio competitivo della NZ è rappresentato dal fatto che là, prima di ogni altra cosa un bambino/ragazzo diventa rugbista e quindi nessun talento sfugge dalla rete del rugby.
      A questo va aggiunto che un giocatore degli all black ha una rilevanza sociale di prima grandezza e questo alimenta la filiera del desiderio di diventare in tutto nero.
      Il tutto condito con una organizzazione anglosassone scarna essenziale e tutt’altro che verticistica. Lo stesso lavoro che la signora Melita fa in Nuova Zelanda è la testimonianza della differenza dei due mondi.
      Se proprio si volessero fare dei paragoni fra i due sistemi, andrebbe paragonato il calcio al rugby di NZ. Anche qui le distanze organizzative e culturali sono enormi , ma già più confrontabili.
      Mettere in parallelo Rugby italiano e Rugby NZ è assolutamente inutile e improduttivo, oltre che frustrante.

      • hyperion 9 Agosto 2014, 15:43

        @ AdG
        Mi permetto di dissentire dalla tua disamina ad oggi non esiste,perchè non prevista e perchè molte persone che ne fanno parte non hanne le adeguate competenze,una programmazione univoca ed un percorso di crescita di giocatori,tecnici,arbitri,delle strutture accademiche.
        In UK o in NZ le accademie prevedono allenatori specifici per skills e settori(atletico,fisio,tecnico,psicologico, etc.) e hanno metodologie di insegnamento che noi ci possiamo sognare e sperare di avere un domani.
        Ad esempio il mio primo allenatore aveva delle grandi doti di insegnamento perchè oltre a farci ripetere tutti i fondamentali fino alla nausea,pratica ancorchè sconosciuta nelle odierne accademie fir si bada solo alla dimensione fisica Ascione docet,adottava quello che già fanno ora in NZ,la velocità di esecuzione e cioè ogni singolo fondamentale viene per primo fatto camminando e di volta in volta si aumenta la velocità di esecuzione.
        Quello che tu dici sul fatto che in NZ i giovani non sfuggono alla rete del rugby è verissimo(non mi piace il paragonre col calcio italiano anche lì disastro) quindi a maggior ragione dobbiamo puntare ad avere educatori di qualità che tirino fuori il meglio dai nostri ragazzi visto il bacino ristretto.
        Quindi non c’è nulla si male che dei nostri tecnici vadano ad imparare il mestiere in UK o NZ ma attenzione devono avere come attitudine primaria la capacità di essere prima EDUCATORI poi TECNICI è fondamentale.

        • Alberto da Giussano 9 Agosto 2014, 16:34

          Forse mi hai frainteso o , meglio non sono stato chiaro nell’esposizione del mio pensiero.
          Non solo non c’è nulla di male, ma c’è solo di bene a che ns. allenatori vadano in Nz. ( Casellato docet)
          Il mio punto di vista , ti invita a tenere presente l’enorme differenza organizzativa, che solo in parte può essere colmata dalla crescita professionale dei ns. tecnici. Perché, ammesso e non concesso, di avere tecnici con i controbaffi, se il ns. sistema non riesce a intercettare i giovani talenti il lavoro riesce a metà!

          • hyperion 9 Agosto 2014, 16:54

            @ AdG
            Concetto chiarito è sempre un piacere disquisire con te.
            Cordialità

  5. Ste69 9 Agosto 2014, 17:01

    Dalton, gran giocatore, ma se non ricordo male, ha saltato il primo mondiale non per un infortunio ma perché aveva girato una pubblicità per un taglia erba. Al suo posto gioco un certo Sean Fitzpatrick………

    • Melita Martorana 10 Agosto 2014, 03:09

      Nope, s’infortunò il tendine del ginocchio (hamstring) durante uno degli allenamenti prima della prima partita contro l’Italia.

  6. malpensante 9 Agosto 2014, 19:30

    Oltre alla palla ovale, spero apprezzi un buon bicchiere. Lì è il paradiso australe del Pinot nero, ce ne sono di buonissimi a prezzi umani. Stasera bistecca e Seresin Marlborough Leah 2009. Era lì in cantina in attesa di brindare a un buon articolo. 🙂

  7. San Isidro 10 Agosto 2014, 04:13

    Bell’articolo che dà uno spaccato sulla realtà ovale neozelandese…l’articolazione del rugby neozelandese in unions provinciali, ognuna delle quali con un proprio governo, con propri centri di formazione e con propri campionati amatoriali di club, è un modello che a me piace molto…struttura che alla fine non è dissimile dalla realtà sudafricana e, per certi versi, anche da quella argentina…
    La butto là, ma non mi dispiacerebbe se il rugby italiano fosse organizzato in questo modo, cioè in unions territoriali (al posto dei comitati regionali che alla fine non è che facciano molto), ognuna con un proprio board che gestisca i campionati amatoriali locali e lo sviluppo e la formazione del rugby nel territorio, ad es l’union che si occupa solo della provincia di Roma, quella che si occupa solo della provincia di Treviso, quella che si occupa della provincia di Parma, ecc…ovvio che c’è anche una tradizione storica che noi non abbiamo visto che le province rugbystiche in SA, NZ, Irlanda e Scozia ad es. esistono dalla notte dei tempi, ma una situazione italiana organizzata in questo modo non mi dispiacerebbe…poi si potrebbe dare vita ad un torneo, da giocare nell’arco di poco tempo, tra le selezioni dei migliori giocatori di club di ogni union (ad es. Pretoriani, XV della Marca, Ducato Parma, ecc)…vabbè farnetico, ma era solo un’idea, in Italia poi non saremmo in grado di organizzare una cosa del genere, magari si scatenerebbe una guerra tra alcune unions e la FIR, poi problemi burocratici, ecc…

  8. San Isidro 10 Agosto 2014, 04:22

    @Melita,
    una domada:
    – ma i giocatori di una provincia che fa l’NPC (che sia ITM Cup o Heartland Championship) giocano anche a livello di club? Nel senso: i team provinciali sono superclub già formati, cioè il livello delle province è separato dalla dimensione dei club e i giocatori di un certo livello giocano solo la NPC e basta, oppure sono semplicemente selezioni provinciali che pescano dai club locali? Ad es. in Argentina esiste il Campeonato Argentino che si gioca alla fine dei vari tornei locali di club, ma le province in Argentina sono semplicemente selezioni che pescano dalle squadre legate ad una precisa union territoriale, finito il CA i giocatori tornano ai club…
    ps: ahò se capiti a Roma fatte vedè per un match della Lazio, delle Fiamme, della Capitolina, ecc…

  9. Melita Martorana 10 Agosto 2014, 05:56

    Allora funziona così: le squadre di ITM Cup sono formate da giocatori di club che militano in club appartenenti alla suddetta provincia. L’allenatore di Auckland per esempio da marzo ad agosto non fa altro che andare il sabato a vedere partite di Senior Premier. A volte su indicazione degli spotter (di cui ho parlato nell’articolo dell’accademia del BOP) può andare ad osservare giovani che giocano nei campionati di categoria dei club o addirittura in college rugby. A questi giocatori si aggiungono i giocatori di Super Rugby che non sono impegnati con le nazionali maggiori e non necessariamente giocano con i Blues.
    Heartland funziona nello stesso identico modo per le Union più grandi mentre quelle più piccole hanno club che partecipano nei Senio Premier di union più grande, ma i giocatori provengono sempre dai club di appartenenza alla suddetta union.
    Da chiarire: ITM Cup è semi professionistico mentre Heartland è quasi tutto amatoriale. Il professionismo è solo con SR ed All Blacks.

  10. mezeena10 10 Agosto 2014, 11:23

    ciao bellissimo pezzo melita!
    leggero ot per chi tieni in itm cup? northland? e per quale club?

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