Il produttore di Full Contact: “Volevamo cancellare lo stereotipo del rugbista grosso che beve birra. Seconda stagione? Speriamo”

Il “producer” della serie Netflix sul Sei Nazioni, James Gay-Rees, ha raccontato a OnRugby le difficoltà e gli obiettivi del primo grande prodotto dedicato alla palla ovale

Il produttore di Full Contact: "Volevamo cancellare lo stereotipo del rugbista grosso che beve birra. Seconda stagione? Speriamo" (ph. Sebastiano Pessina)

Il produttore di Full Contact: “Volevamo cancellare lo stereotipo del rugbista grosso che beve birra. Seconda stagione? Speriamo” (ph. Sebastiano Pessina)

La serie Netflix dedicata al Sei Nazioni, Full Contact, ha già fatto il giro del mondo in 10 giorni. La serie ha raccontato in 8 episodi le storie, i protagonisti, i retroscena del Sei Nazioni 2023, ma dietro questi 8 episodi c’è stato un lavoro mastodontico fatto di ricerca, di ore e ore di registrazione e anche di volontà di cancellare qualche stereotipo nei confronti del rugby, come ha raccontato a OnRugby il produttore della serie, James Gay-Rees, già autore di Drive to Survive.

Quali erano i vostri obiettivi?

“Avevamo diversi obiettivi. Volevamo proporre qualcosa che fosse di grande intrattenimento, mostrare nel profondi i personaggi del mondo del rugby perché – come in tutti gli sport – i tifosi vedono solo ciò che viene trasmesso all’esterno, ma non sanno cosa c’è dietro il sipario. Credo che i tifosi siano molto contenti di poter vedere tutto questo. Inoltre, credo che ci siano delle idee sbagliate nei confronti del rugby: c’è ancora chi pensa che i rugbisti siano dei ragazzoni che bevono tanta birra e cose del genere. Io per primo sono un appassionato di rugby, per questo volevamo proporre un’ampia rosa di personaggi e rendere questo sport più riconoscibile e comprensibile”.

Quante persone hanno lavorato alla realizzazione di “Full Contact”? Quanto materiale è stato girato?

“Un numero incredibile. Pensiamo solo alle 40 persone che hanno lavorato giorno dopo giorno nei raduni delle squadre, a cui aggiungiamo la squadra che ha seguito l’intero torneo e tutti quelli che hanno lavorato alla post-produzione e al montaggio. Abbiamo girato moltissimo: si sa che si registra sempre molto di più di quello che poi si trasmette in ogni singolo episodio. Può capitare anche di girare 20 volte tanto rispetto al materiale di cui hai bisogno”.

È stato più difficile girare “Full Contact” rispetto a “Drive to Survive”, che trattava uno sport più seguito e forse più accessibile?

“Non saprei, la Formula 1 in realtà non è così facile da capire. Hai a che fare con le strategie delle gomme, le regole, i pit stop, gli undercuts. Credo sia abbastanza complicato. Ovviamente queste serie non vanno davvero nel profondo di queste difficoltà perché hanno un raggio temporale diverso, si concentrano molto di più sui personaggi, sulle storie, quindi no, non è stato così diverso rispetto a Drive to Survive. Forse la difficoltà maggiore di Full Contact sta nel fatto che nella Formula 1 ci sono solo 20 piloti uno contro l’altro, rispetto a 6 intere squadre di rugby, quindi anche il racconto per certi versi poteva essere più semplice e diretto in quel caso”.

Leggi anche: “Full Contact”: la recensione della serie Netflix dedicata al Sei Nazioni

State pensando a una nuova serie sul Sei Nazioni 2024? È già in programma?

“Sì, stiamo provando ad avere questa possibilità e stiamo già facendo delle riprese, nella speranza di poter fare una seconda stagione. Sai, le seconde stagioni sono sempre un po’ diverse rispetto alla prima, ma continueremo a costruire e a cercare nuove modalità di racconto per creare un nuovo modo di raccontare il rugby: ancora più cose, ancora più dettagli fuori dal campo, ancora più storie. Sono davvero felice di questa serie, penso sia davvero interessante anche per chi non ha mai visto il rugby”.

Lei ha detto di essere un appassionato di rugby. Come vi siete preparati a livello teorico? Avete consultato giocatori, giornalisti, tecnici?

“Devo dire che molte delle persone che hanno lavorato a Full Contact erano già appassionate di rugby, e allo stesso modo c’era chi invece non conosceva molto questo sport. Credo sia stata la cosa migliore, perché avevamo a disposizione sia persone appassionate sia persone che non conoscendo il rugby potevano approcciarsi a questo sport con la mente più aperta rispetto a noi. Sicuramente l’apporto dei protagonisti della serie è stato fondamentale. Prendiamo ad esempio l’Italia: abbiamo parlato tanto con l’allenatore e con i giocatori, molto più di quello che abbiamo poi registrato”.

Com’è stato lavorare con la Nazionale Italiana?

“L’Italia è stata incredibilmente disponibile, ci hanno fatto sentire i benvenuti. Personalmente amo molto l’Italia, ci vengo in vacanza d’estate, è come se avessi già un po’ di affinità con questo Paese, quindi diventa tutto più facile. Per dire, il direttore che ha lavorato su tanto materiale riguardo alla Ferrari per Drive to Survive viva in Italia, anche se è inglese. Ci piace lavorare con gli italiani, sono molto amichevoli”.

Francesco Palma

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