Steve Thompson e il rimpianto di aver giocato a rugby

Il campione del mondo inglese del 2003, affetto da demenza precoce, ha raccontato la sua difficile convivenza con la malattia

L'ex-Inghilterra Steve Thompson messo sotto controllo dopo aver pensato al sucidio (Photo by ODD ANDERSEN / AFP)

ph. ODD ANDERSEN / AFP)

Un anonimo ripostiglio, un vecchio borsone e varie buste che potrebbero contenere qualsiasi cosa. Sono questi i luoghi in cui Steve Thompson, ex tallonatore dell’Inghilterra e campione del mondo 2003, ha deciso di seppellire tutti i  simboli più importanti legati alla sua carriera da rugbista. Lui non ricorda di averli vissuti, e tenere attorno a sé e alla portata del suo sguardo le foto di quella Coppa vinta e la medaglia iridata gli provoca solo ulteriore dolore. “Mi sento un impostore. È come se non avessi fatto nulla di tutto ciò”.

Come ha già fatto in passato, Thompson è tornato a raccontare per un documentario di BBC Two la sua difficile situazione personale da ex giocatore affetto da una forma di demenza precoce, causata dalle tante commozioni cerebrali subite quando giocava, di fatto mai diagnosticate o curate e semplicemente ignorate. Nei mesi scorsi, il 44enne aveva ammesso di aver avuto pensieri suicidi per via della malattia e di essere stato messo sotto controllo per via dei suoi problemi, e ora il suo rimpianto è solo quello di aver fatto del rugby il suo lavoro e la sua passione.

“Se non avessi giocato, non sarei diventato un fardello per la mia famiglia” – ha detto Thompson, che durante il documentario ha provato a raccontare della sensazione di annebbiamento che gli provoca la demenza, e che lo porta a interrompersi nel mezzo di un discorso, a dimenticare i nomi dei figli o a lasciare l’auto accesa per ore.”

Thompson è stato uno dei 185 ex giocatori ad aver portato avanti un’azione legale contro World Rugby e le Federazioni inglesi e gallesi per le loro negligenze nel trattamento delle concussion, quando ancora non c’era alcun tentativo di prevenire o fare la dovuta informazioni sui rischi delle commozioni cerebrali nel rugby. Oggi le cose stanno in parte cambiando, anche se forse non alla velocità necessaria, e soprattutto diversi studi scientifici hanno sottolineato come i danni riportati al cervello dai giocatori di rugby possano condurre a malattie come il morbo di Parkinson, demenza o le malattie del motoneurone.

Le storie di Ryan Jones, ex capitano del Galles affetto anche da lui da demenza precoce, e quella di Carl Hayman sono esemplificative in questo senso. E non sono certamente le uniche.

– Leggi anche: sulle concussion serve un serio programma di prevenzione e informazione

Quando Thompson era un atleta, e il professionismo si stava assestando nel rugby mondiale, non esisteva alcun programma che provasse anche solo a garantire la sicurezza degli atleti. L’ex tallonatore ha detto nel documentario di aver fatto delle sessioni di allenamento anche con 100 ingaggi in mischia alla massima intensità. “Se eri stato messo ko da un colpo, ti veniva detto semplicemente di andare avanti. Se avevi un mal di testa, ti venivano date delle pillole per il mal di testa. La concussion non era considerata un infortunio. Era più una cosa del tipo ‘Almeno puoi ancora correre'”.

Da tallonatore, inoltre, Thompson ha voluto rimarcare la grande pressione che veniva esercitata sulla sua testa a causa della mischia, a cui bisognava aggiungere tutte le ruck in cui era chiamato a partecipare. Ai giocatori, ha aggiunto Thompson, veniva detto che la testa era una delle “armi più importanti” che avevano a disposizione.

Tutto questo sta avendo serie ripercussioni sulla vita di tutti i giorni di Thompson, come già accennato in precedenza. Oltre a non ricordare i nomi dei suoi figli, l’inglese ha perso anche dei posti di lavoro per via della sua condizione, perché per i datori di lavoro “sono a pezzi”.

“Non capisci davvero questa situazione fino a quando non ci sei dentro. Ti senti come se non meritassi più di vivere su questa Terra, e che non meriti di trascinare in questa situazione altre persone”.

Thompson ha inoltre accusato la Federazione inglese di non aver ricevuto sostegni di alcun tipo, in particolare dopo aver iniziato la causa collettiva insieme agli altri giocatori.

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