La storia di Carl Hayman: il pilone degli All Blacks che soffre di disturbi psichici legati alle concussion

L’incredibile racconto del prima linea, che dopo il ritiro dall’attività agonistica parla apertamente di quello che sta vivendo

La storia di Carl Hayman: il pilone degli All Blacks che soffre di disturbi psichici legati alle concussion

La storia di Carl Hayman: il pilone degli All Blacks che soffre di disturbi  legati alle concussion (NICOLAS TUCAT / AFP)

Rugby e concussion. Un tema che purtroppo, all’interno del mondo ovale, è sempre di grande attualità e che da qualche tempo si sta cercando di “combattere” nella maniera migliore possibile prestando molta più attenzione agli impatti e ai tempi di riposo successivi a quello che poi succede in campo, con protocolli, studi e osservazioni.

La storia di Carl Hayman: il pilone degli All Blacks che soffre di disturbi psichici legati alle concussion

A riguardo, è stata resa nota da meno di ventiquattro ore, direttamente dalla Nuova Zelanda, la storia di Carl Hayman (oggi 41 anni), il leggendario pilone degli All Blacks (45 caps fra il 2001 e il 2007, e in un periodo anche il giocatore di rugby più pagato al mondo, ndr), che ha deciso di raccontare cosa gli è successo durante la sua carriera ovale e una volta appesi gli scarpini al chiodo, a causa delle concussion con cui ha dovuto fare i conti, senza precauzioni.

“Non lo nascondo – esordisce Hayman – ho passato diversi anni a pensare che stessi impazzendo. Mi sentivo il cervello scoppiare e i mal di testa si susseguivano l’un con l’altro. Poi a un certo punto, dopo una visita con uno specialista, fatta in Inghilterra, mi è stata diagonisticata un encefalopatia traumatica cronica, in pratica una demenza in stadio ancora di sviluppo, ma già presente all’interno del mio cervello: una condizione legata anche ad altri sportivi, mi hanno detto, fra cui i pugili e i giocatori di football americano”.

Una condizione, questa, verificatasi su alcune star della NLF come Junior Seau, Dave Duerson e Aaron Hernandez, ma che nel mondo ovale – almeno nel cosmo degli All Blacks – non sembrava aver trovato corrispondenza. Una “stranezza” che ha spinto Hayman ad allargare il suo campo di ricerca all’interno del rugby, sino ad arrivare agli inglesi Michael Lipman (flanker internazionale, 10 caps) e Steve Thompson (quest’ultimo tallonatore campione del mondo nel 2003) e al gallese Alix Popham (numero 8): tre dei 150 (!, si avete capito bene) ex giocatori professionisti che hanno fatto causa alla Commissione Medica di World Rugby per le conseguenze da concussion.

Il governo ovale si è detto ovviamente rattristato di tutto quello che è successo e che l’obiettivo dei prossimi anni sarà quello di evitare che ciò che si è verificato in precedenza: “Essendoci un’azione legale in corso – ha poi fatto sapere World Rugby – non possiamo aggiungere altri dettagli”.

Ma torniamo alle parole di Carl Hayman

Fatta luce sull’accaduto generale e su quello che vi è intorno, l’ex avanti è tornato a parlare di sè stesso e del suo calvario: “Il tarlo del processo legale è rimbalzato nella mia mente per tanto e non lo dimentico, ma a un certo punto ho pensato di aver bisogno di altre risposte e di dovermi esporre per lasciare qualcosa ai ragazzi che oggi e poi domani giocheranno su un campo di rugby a tutti i livelli”.

Poi ha specificato, in maniera piccata: “A volte non capisco delle cose. Quando ho iniziato a fare il professionista io, si parlava già di una riduzione degli incontri in calendario, della prevenzione e di tutto il resto: oggi siamo ancora allo stesso punto e sono passati più di vent’anni. Se questi impatti di concussion succedono in NFL, dove la stagione dura mediamente 5-6 mesi, con 17-20 partite al massimo, figuratevi in uno sport come il rugby dove si gioca il doppio…”.

La carriera in Francia e i problemi di memoria

Dopo la Rugby World Cup 2007, Carl Hayman dice addio alla carriera internazionale con gli All Blacks, ma continua a essere protagonista nel rugby dei club, in particolare in Francia dove dal 2010 al 2015 veste la maglia del Tolone.

“In Francia se ero disponibile, giocavo. Era così. Mi sentivo indistruttibile, lavoravo tutta la settimana per essere in campo il sabato o la domenica spesso superando anche infiammazioni o altri contrattempi. Non mi sono mai lamentato, ero ben pagato e mi divertivo nel club: col senno di poi, è chiaro, che non l’avrei mai fatto”.

“Ora che ho 41 anni e che sto iniziando a risolvere un po’ di problemi vedo ogni giorno come una sfida da vivere e da portare a termine. Qual è stato il vero problema da giocatore? Che in realtà non sono mai stato vittima di commozioni cerebrali serie, se non in un’occasione, nel 2006, contro l’Australia, in un incontro di Bledisloe Cup, ma subendo tantissimi colpi alla testa è come se la mia sottile corazza si fosse erosa più del dovuto”.

Infine conclude: “Il momento in cui ho capito che qualcosa non stava andando per il verso giusto? A cavallo fra il 2015 e il 2016. Iniziavo ad avere dei mal di testa, poi una volta mi capitò di accompagnare mio figlio alla compilazione di un modulo per il passaporto. Dovetti firmare dei fogli per lui che era minorenne: non ricordavo il suo secondo nome. La cosa mi preoccupò. Tanto che da lì iniziai piano piano a cadere in depressione. Abusai di alcool, credevo mi facesse sentire bene e invece era il peggio che mi stava capitando”.

“Da lì in poi ne combinai una dietro l’altra, una sera ebbi uno scontro fisico con la mia ex moglie: fu colpa mia, mi dispiace ancora adesso. Al processo però, quando mi effettuarono la perizia psichiatrica capirono subito che c’era qualcosa che non andava…”

“E anche adesso quando racconto tutto questo non vi nascondo che ogni tanto la testa mi si annebbia. Per fortuna sono riuscito a rifarmi una vita: ho una nuova persona che mi sta accanto e i miei amici hanno compreso la situazione”.

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