Quindici squadre, quattro Continenti, due Emisferi: guida al Super Rugby 2018

Domani inizia il torneo ovale più complesso e spettacolare. Tutti a caccia dei Crusaders campioni in carica

Super Rugby crusaders

I Crusaders festeggiano il titolo a Johannesurg (ph. Reuters)

È il torneo più spettacolare, folle e – se vi fermate un attimo a riflettere – assurdo che si possa immaginare, capace di coinvolgere quindici squadre, cinque Paesi, quattro Continenti e entrambi gli Emisferi, con trasferte sfiancanti e più tournèe plurisettimanali dall’altra parte del pianeta da affrontare. Il ritorno a 15 squadre e 3 Conference ha snellito in parte il format, ma è difficile pensare che abbia reso meno complessa la logistica e gli incastri del calendario per l’organizzazione del campionato.

– Leggi anche: Super Rugby 2018, ecco come funziona

L’unicità del Super Rugby che inizia domani, per fortuna, non risiede soltanto nella cervellotica gestione del torneo e delle sue riforme, ma anche per quanto vedremo in campo fino alla prossima estate, con la finale prevista il 4 agosto. In quale altra singola competizione si possono mischiare così tanti stili, tendenze e ramificazioni? Abbiamo così il dinamismo e la rapidità dei Sunwolves giapponesi, la fantasia dei Jaguares argentini, la potenza fisica e la presunzione sudafricana, l’estro e l’istinto australiano e lo strapotere strutturale e culturale neozelandese. È il melting pot ovale per eccellenza, caratterizzato da uno spettacolo tecnico e scenografico senza eguali in Ovalia. Sotto questi aspetti, può essere considerato il torneo ovale più simile alla NBA, perlomeno alla sua regular season; anche nel Super Rugby, del resto, le difese spesso ci mettono del loro.

– Il calendario del Super Rugby 2018

Conference australiana

Il 2017 ha risucchiato le franchigie australiane dentro a un buco nero, e non solo perché contro le franchigie neozelandesi sono arrivate solo sconfitte durante la stagione. La migliore delle aussie, i Brumbies, hanno chiuso la stagione con meno punti della peggior neozelandese, i Blues (34 contro 37), mentre in totale sono state appena 6 le vittorie conquistate contro squadre estere. Per di più, l’intero movimento è stato scosso dalla decisione di tagliare i Western Force dal torneo, nonostante la franchigia della West Coast fosse stata la seconda miglior australiana dietro ai Brumbies e davanti a Waratahs, Reds e Rebels.

Proprio questi ultimi hanno maggiormente beneficiato dell’esodo di giocatori da Perth, avendo accolto ben dodici ex Force nella pre-season, tra cui Dane Haylett-Petty e Adam Coleman. L’innesto più importante resta quello di Will Genia, autore di una stagione maiuscola con i Wallabies e tutt’altro che in calo nonostante le trenta primavere sulle spalle. Nella rosa sarà presente anche Geoff Parling, ex nazionale inglese e British & Irish Lions.

La squadra più attrezzata della Conference, in ogni caso, resta quella dei Brumbies, che ritrovano David Pocock e un Cristian Lealiifano impreziosito anche dall’esperienza positiva a Belfast con l’Ulster. A seguire troviamo i Reds con giovani interessanti quali l’attesissimo Taniela Tupou e Izaia Perese, ma senza Quade Cooper e per il momento Karmicahel Hunt; i Waratahs, scottati da un pessimo 2017 con undici sconfitte su quindici, ma con Beale, Foley, Folau e Hooper in rosa per cercare di risollevarsi.

Anche i Sunwolves giocheranno nella Conference australiana e potranno percorrere meno chilometri  rispetto ai 18.000 dell’anno scorso. I nipponici guidati da Jamie Joseph dovranno registrare soprattutto la difesa per dimostrarsi più competitivi, dopo che l’ultima stagione è stata chiusa con 44,7 punti di media subiti.

Conference neozelandese

L’élite del rugby mondiale concentrata in cinque squadre, che nelle ultime stagioni avrebbero dominato come non mai il campionato se non ci fossero stati i Lions, battuti però da Hurricanes e Crusaders nelle ultime due finali. È nelle franchigie che si sviluppa la superiorità poi riportata dagli All Blacks a livello internazionale: come spiegava Filippo Frati in un’intervista a On Rugby qualche tempo fa, i motivi sono da ricercare anche nel lavoro comune svolto dalle franchigie, adattato poi da ciascun allenatore in base a idee e materiale umano a disposizione.

I Crusaders di Scott Robertson, per esempio, hanno costruito un impianto difensivo di primo livello che li ha poi condotti al titolo vinto a Johannesburg, a cui hanno aggiunto poi un attacco efficace e con pochi fronzoli. La forza dei rossoneri risiede soprattutto nel pacchetto di mischia, il cui lavoro viene concretizzato poi da una mediana che ha in Richie Mo’unga la stella e da una trequarti che, quest’anno, sarà allenata nientepopodimeno che da Ronan O’Gara. Per la squadra che è già la più titolata del torneo, nel mirino c’è il titolo numero nove.

Diversa la struttura degli Hurricanes, dotata di attaccanti formidabili a cui non può che essere lasciata maggiore libertà d’azione. Con un’eventuale trequarti formata da TJ Perenara, Beauden Barrett, Julian Savea, Jordie Barrett, Ngani Laumape, Vince Aso e Nehe Milner-Skudder (e restano fuori ancora Proctor e Goosen), ingessare i giocatori in troppi schemi predeterminati sarebbe deleterio. Altre stelle? Ardie Savea, Vaea Fifita e l’imperdibile Asafo Aumua.

I Chiefs cominciano un nuovo ciclo con Colin Cooper al posto di Dave Rennie e con Damian McKenzie al posto di Aaron Cruden come mediano d’apertura titolare, almeno stando alle indiscrezioni che arrivano da Hamilton. Smiley ha giocato il Rugby Championship e il tour europeo con la maglia da estremo per gli All Blacks, ma le cose starebbero per cambiare. Retallick e Cane guideranno una squadra molto rinnovata verso l’obiettivo playoff.

Anche gli Highlanders hanno cambiato allenatore, affidandosi al 37enne Aaron Mauger, e per la franchigia di Dunedin le incognite non mancano. Sul campo, la squadra potrà contare sul ritrovamento Ben Smith, fresco di periodo sabbatico, Aaron Smith e su Lima Sopoaga, all’ultimo ballo in Nuova Zelanda prima del trasferimento ai Wasps.

Tra le cinque franchigie, i meno accreditati del lotto restano i Blues, anche perchè a Auckland hanno visto Otere Black (il nuovo mediano d’apertura) entrare in infermeria prima di vederlo in campo. Rieko Ioane, Sonny Bill Williams dovranno farsi carico di tante responsabilità, soprattutto viste le partenze di Faumuina e Luatua nel pack.

Conference sudafricana

Detto della grande sinergia neozelandese tra All Blacks, franchigie e a seguire tutto il movimento, dove la situazione è piuttosto diversa è invece in Sudafrica. L’auspicio della Federazione, con l’arrivo di Rassie Erasmus come Director of Rugby, è probabilmente anche quella di creare un percorso comune che possa coinvolgere tutte le realtà del torneo e proteggerle al meglio, sfruttando il grande bacino di giocatori a disposizione.

Negli ultimi anni, poi, i Lions hanno sparigliato ulteriormente le carte con il loro gioco espansivo e con il piede sempre schiacciato sull’acceleratore, con cui hanno tenuto alto la bandiera sudafricana nel torneo arrivando in finale per due volte consecutive. I rimpianti per non aver mai trionfato restano tanti e, nel frattempo, l’addio di coach Johan Ackermann sembra aver chiuso in parte un’epopea importante ma senza gloria.

I favoriti per la vittoria della Conference comunque restano ancora loro, anche solo per quanto costruito nelle ultime stagioni. Il loro rendimento, a differenza dell’anno scorso, potrebbe essere maggiormente influenzato dalle sfide contro le neozelandesi nella stagione regolare, cosa che non era avvenuta nel 2017.

Il numero delle contendenti nazionali si è ridotto a tre dopo l’esclusione di Cheetahs e Kings, mentre chi ha maggiori probabilità di insidiare il primato dei Lions sono Stormers e Sharks. I primi si affideranno al gioiellino classe ’98 Damian Willemse come mediano d’apertura, mentre davanti toccherà a Siya Kolisi, Pieter-Steph du Toit, Nizaam Carr e Steven Kitshoff fare la differenza. A Durban, invece, occhi puntati su Curwin Bosch, apertura classe 1997, che dovrà sostituire idealmente Pat Lambie, emigrato intanto al Racing 92. Nella rosa anche Makazole Mapimpi, miglior metaman del Pro14 con i Cheetahs con dieci mete, e l’ex Zebre Gideon Koegelenberg.

Più indietro i Bulls, nobile decaduta nell’ultimo lustro e addirittura 15esima su 18 lo scorso anno. Per cercare di ricostruire una reputazione degna dei tre volte campioni, la franchigia di Pretoria ha scelto John Mitchell come nuova guida tecnica, mentre in campo il leader sarà indiscutibilmente Handré Pollard.

Nel gruppo sudafricano, inoltre, sono stati inseriti anche i Jaguares, squadra tanto imprevedibile e ricca di talento quanto indecifrabile. La franchigia argentina da quest’anno ha un nuovo allenatore, Mario Ledesma, a cui sarà richiesto di migliorare il 13esimo e il decimo posto ottenuti dalla squadra nei suoi primi anni di esperienza nel Super Rugby.

Per l’ex tallonatore dei Pumas, la missione più complicata sarà far trovare una maggiore continuità alla franchigia, troppo spesso rimbalzata violentemente indietro dopo una striscia positiva di vittoria. Nell’off-season è stato detto addio a pedine importanti come Noguera Paz, Herrera e Cordero, dando spazio alla consueta infornata di giovani provenienti dai club argentini e anche ad un gradito ritorno come Tomas Cubelli. Difficilmente basterà per puntare ad entrare tra le migliori otto del Super Rugby.

Regolamento

Ogni squadra giocherà 16 partite in totale, affrontando due volte (andata e ritorno) le franchigie della propria Conference e una volta quattro squadre su cinque degli altri raggruppamenti. Le vincitrici delle Conference e le successive cinque squadre con il miglior punteggio accederanno ai playoff.

Il Super Rugby 2018 sarà giocato con le nuove regole introdotte da World Rugby nello scorso luglio, già entrate in vigore nell’Emisfero Nord dal primo agosto e solo dal primo gennaio a Sud, che riguardano l’introduzione del pallone in mischia, il comportamento del placcatore e la formazione della linea del fuorigioco.

Daniele Pansardi

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