ITM Cup: mano al calendario, un po’ di senso calcistico non farebbe male

Un torneo-cardine nell’organizzazione del movimento neozelandese, ma in crisi. E, forse, c’è bisogno di scelte forti

L’ITM CUP 2012 è stata assegnata poche settimane fa. Un torneo importante che sta però vivendo un periodo di difficoltà tecnica e di bussiness. Melita Martorana ci porta nella “sua” Nuova Zelanda e ci illustra una soluzione per ridare vita a quello che è il principale torneo nazionale della terra dei  Maori. Insomma, anche laggiù hanno un “problema Eccellenza”, se così si può dire…

 

Sabato 27 Ottobre il Canterbury ha vinto per la quinta volta consecutiva l’ITM Cup nella divisione Premiership, il gradino più alto della competizione tra le 26 provincie neozelandesi. Lo ha fatto contro Auckland nella cosiddetta vecchia maniera Canties, tornando cioè dagli spogliatoi dopo il primo tempo con concentrazione e cinismo che hanno caratterizzato la regione di Canterbury e i cugini Crusaders da più di 10 anni.
La seconda divisione chiamata ITM Championship è stata vinta da Counties Manukau su Otago, prenotando così un posto in Premiership nel 2013. La terza divisione, la Heartland Championship Meads Cup, è stata vinta da East Coast su Wanganui e la quarta divisione –  Heartland Championship Lochore Cup – è andata a Buller, vincitrice in finale su South Canterbury.

 

Mentre si può tirare un sospiro di sollivo sapendo che il rugby kiwi gode di ottima salute e sforna ogni giorno talenti che prima o poi entrano nel mirino All Blacks, lo stesso non si può dire della competizione in se stessa. Soprattutto a livello ITM Cup. Con l’avvento del professionismo e l’allargamento del calendario del Super Rugby e del Rugby Championship, il numero di All Blacks presenti alle partite provinciali sono pian piano svaniti. Tanto che due anni fa, la NZRU ha deciso di cambiare il processo contrattuale dei giocatori della nazionale passando dalle union alle franchigie. Negli ultimi anni il numero degli spettatori presenti alle partite provinciali è calato vorticosamente tanto che una union come il North Harbour staccava circa 8mila biglietti 6 o 7 anni fa, circa 3.500 quest’anno. I motivi sono tanti: l’avvento della PayTV, troppo rugby e soprattutto la mancanza dei big, dei grandi nomi.
Il primo agosto del 2009, dopo aver rotto il tendine d’achille, Dan Carter ritorna a giocare e lo fa nella prima di campionato con Canterbury al North Harbour Stadium, proprio contro North Harbour. Quel giorno 7.250 spettatori andarono allo stadio di Albany per vedere lui. In quella partita che il NH vinse per 22-19 figuravano anche giocatori come Mike Harris, oggi con i Wallabies, e Anthony Tuitavaki, ex Blues e All Blacks.
Oggi leggendo la lista dei giocatori a malapena si riconoscono metà dei nomi perché la maggior parte provengono direttamente dai campi infangati dei club.

 

In più la NZRU ha deciso di cambiare il format del campionato provinciale dividendo le provinces in 2 divisioni appunto, introducendo promozione e retrocessione e accorciando il torneo da 3 mesi a quasi un mese e mezzo con partite giocate tutti i giorni della settimana, a parte il lunedì. L’esperimento, introdotto nel 2011 per dare spazio alla coppa del mondo, è stato confermato fino al 2014. Le reazioni sono diverse: i cosidetti tifosi die-hard amano avere rugby 24 ore su 24, altri faticano a capire il formato e a seguire la propria squadra; i dirigenti apprezzano, allenatori e giocatori un po’ meno. Alla vigilia della sua partenza per l’Europa l’ex mediano di mischia di All Blacks, Highlanders e Southland Jimmy Cowan decide di criticare apertamente il campionato (deve essere una caratteristica del numero 9: anche Justin Marshall criticò vivamente il Tri-Nationsi quando era in partenza per l’Emisfero del Nord). Jimmy sostiene che giocare 3 partite ogni 8 giorni con rose non ampie è un azzardo. Non solo:  la preparazione che consiste nella valutazione della precedente partita, nell’analisi del nuovo avversario, nella pianificazione di una strategia di gioco, nel recupero da infortuni e acciacchi non può essere effettuata al meglio se si gioca il martedì e si torna in campo il venerdì.
In contrasto l’amministratore delegato della NZRU Steve Tew conferma che tutte le union erano favorevoli al cambiamento, consapevoli che costituisce l’unico modo per mantenere l’ITM Cup a 14 squadre. Tew sostiene che lamentele e critiche arrivano soprattutto da quelle squadre la cui stagione non è andata nel migliori dei modi. Tew inoltre aggiunge che senza troppa preparazione, i giocatori possono finalmente “esprimere se stessi e la loro creatività”.

 

Sta di fatto che il numero di spettatori è in calo e che le union soffrono economicamente. E qui si potrebbe introdurre una modifica “europea”, che fa bene nel calcio ed ora anche nel rugby con la Heineken Cup. Una proposta prettamente basata sulla struttura della competizione e la logistica, mentre l’importante e decisivo aspetto della sostenibilità finanziaria è ancora da valutare. Quanti tifosi andrebbero allo stadio a vedere il North Harbour contro Canterbury se Tony Woodcock, Anthony Boric, Dan Carter, Richie McCaw, Kieran Read potessero giocare? Tanti, tantissimi. E allora bisognerebbe rimettere mano al calendario: a settembre e ottobre giocano ITM Cup Premiership e Championship. Le squadre schierano gli All Blacks di appartenenza. Le quattro semifinaliste della Premiership vengono promosse nel Super Rugby, in chiaro stile europeo. Si eliminano le franchigie e il Super Rugby diventa un affare SANZAR con le quettro top provinces da Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica. I quattro posti rimanenti vengono occupati da una squadra argentina, due giapponesi ed una selezione Asiatica (fantarugby? Mica tanto. Tra qualche anno il panorama sarà qualcosa di molto simile…). Il Super Rugby viene giocato con quattro pool da quattro squadre e poi playoff. Alla fine del Super Rugby, gli All Blacks giocano i test di giugno e il Rugby Championship e cosi via.
Non serve sottolineare che tipo di incentivo morale avrebbero le union alla sola idea di poter giocare il Super Rugby. E se il Noth Harbour (per esempio) non è nel Super Rugby che succede a Tony Woodcock e Anthony Boric? Le franchigie hanno già un processo dove giocatori vengono dati e presi in prestito per la stagione, la stessa cosa si può organizzare per le union.
Per quanto le franchigie attuali possano suscitare glamour e attenzione mediatica, il cuore dei neozelandesi è rappresentato dalla comunità, dal rugby amatoriale e dalla maglia che il fratello, lo zio o il vicino di casa ha indossato

 

di Melita Martorana

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