Come si produce una partita di rugby in diretta tv

Con Francesco Pierantozzi di Sky Sport abbiamo provato a capire quanto lavoro c’è dietro a ogni singolo evento

Come si produce una partita di rugby in diretta tv – In foto l’interno del camion regia di Sky Sport per la partita di Firenze – ph. S.pessina

Quando si parla di rugby giocato, si tende spesso a dimenticare tutto quello che c’è dietro la preparazione e la trasmissione di un grande evento, come un match del Sei Nazioni o delle Autumn Nations Series. I successi dell’Italia contro Samoa e Australia sono stati trasmessi in diretta da Sky, e proprio il telecronista di punta della rete, Francesco Pierantozzi, ha spiegato a OnRugby come si produce una partita di rugby in diretta tv.

“Ci sono degli standard da seguire, che vengono stabiliti da Six Nations. Nel caso delle Autumn Nations Series noi mettiamo a disposizione 20 telecamere, comprese le 2 che sono negli spogliatoi” (comandate da remoto, ndr) spiega Pierantozzi: “Per arrivare a trasmettere una partita ci sono mille problematiche da considerare: prima di tutto bisogna fare una scelta, che avviene attraverso delle gare, tra chi è in grado di rispettare gli standard qualitativi richiesti tra i cosiddetti service, delle aziende che producono eventi sportivi. Nel mondo contemporaneo quasi nessuno ha delle risorse interne da questo punto di vista, quindi ci si affida a dei service esterni: nel caso di questi test match noi usiamo un service di Pescara, Cinevideo, e attorno a una produzione televisiva ruotano circa 50 persone. Per ogni singola partita c’è una produzione televisiva, poi il segnale viene dato a chi lo chiede, sempre attraverso un contratto stilato da chi detiene i diritti, quindi in questo caso da Six Nations, sia per il Sei Nazioni sia per le partite giocate in casa dalle squadre del Sei Nazioni. Se mandiamo in onda una partita come Francia-Sudafrica, sarà la televisione francese a fornire il segnale a tutti gli altri. In ogni caso, per quanto riguarda noi, sia nell’evento sia per come gestiamo i servizi, cerchiamo sempre di inserire quello Sky Touch che è un po’ la nostra cifra stilistica: un qualcosa che faccia capire fin dall’inizio che dietro quel lavoro c’è Sky. Poi in generale ogni network può decidere di personalizzare il proprio lavoro, ad esempio una partita a Twickenham avrà una produzione molto ‘classica’, mentre la tv francese tende maggiormente a spettacolarizzare alcuni aspetti del gioco”.

Come funziona la produzione di un match fin dal prepartita?

“Prendiamo l’esempio di Italia-Australia. Dalle ore 13 inizi a far girare delle immagini, che sono l’arrivo delle due squadre, la grafica dell’allenatore con l’intervista. Poi si ha l’inizio del cosiddetto World Feed, che comincia alle 13.50: da quel momento prendi le immagini con la certezza di sapere che è tutto già prodotto per la messa in onda. Il prepartita di Sky – con Diego Dominguez in studio, i servizi, le interviste – viene prodotto da una sorta di piccola regia: si tratta di un prodotto ah hoc, fatto in italiano, quindi ha bisogno di un regista, di un assistente alla regia, di un floor manager che si occupa di portare i giocatori, ed è quindi gestito in un altro modo. Poi dobbiamo considerare anche le persone che montano i servizi, guidate da Paolo Malpezzi che è un po’ il ‘basista’ delle operazioni. Poi c’è un aiuto regista che prende in carico tutti i contribuiti: si costruisce una scaletta con delle immagini, ad esempio l’intervista con i fratelli Cannone realizzata da Moreno Molla, o le immagini di Italia-Samoa. In generale, e questo per me è un motivo di orgoglio, la nostra produzione è tutta italiana, è un modo per dimostrare – così come i ragazzi che scendono in campo – che anche da questo punto di vista siamo assolutamente all’altezza della Francia e dell’Inghilterra”.

Quali sono le principali difficoltà?

La cosa più difficile è trovare delle persone che conoscono il rugby. Prendiamo l’esempio degli EVS: sono delle macchine che registrano i segnali delle varie camere, in modo da avere a disposizione le immagini quando ne hai bisogno, ad esempio quando viene chiamato il TMO. Il problema è che spesso in Italia né i cameramen, né chi lavora agli EVS, né i registi conoscono il rugby. Un caso emblematico è quello del vantaggio: la squadra che ha subito il fallo continua a giocare, commette a sua volta un’infrazione e quindi viene fermata per tornare sul punto del primo fallo. Cosa fa il regista che non conosce il rugby? Si concentra sull’ultima infrazione, e non su quella che ha portato al vantaggio. Noi chiediamo sempre a un giornalista, come Moreno Molla o Paolo Malpezzi, di stare in regia e consigliare e aiutare i registi in queste situazioni. C’è poi il problema degli stadi. In Italia si gioca spesso in impianti prettamente calcistici, quindi abbastanza vecchi, nei quali devi decidere dove posizionare le camere, perché non è detto che vadano bene le stesse posizioni usate nel calcio. Anzi, il rugby ti offre delle opportunità che il calcio non ti dà: puoi mettere un cameraman in mezzo alla gente e nessuno lo disturberà, nel calcio questo non sarebbe possibile. Infine, la burocrazia resta un problema enorme: ad esempio, se volessimo mettere una telecamera su un binario, oppure una skycam dall’alto attaccata a dei fili, bisognerebbe passare da 100 commissioni, con dei tempi lunghissimi. Tant’è che se volessi mettere una telecamera di questo tipo per il Sei Nazioni, ad oggi, metà novembre, sarei già in ritardo”.

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Per quanto riguarda la telecronaca, come ci si organizza?

“Il problema è quello di reperire persone che conoscono il rugby. Molti credono che fare una telecronaca sia facile, invece presenta tantissimi aspetti che non puoi conoscere finché non ti metti le cuffie e accendi il microfono. Non è detto che uno che sappia di rugby possa fare il telecronista, e allo stesso modo se un telecronista non sa di rugby è inutile che lo faccia. Il calcio ha degli altri rischi, anche grossi: chi fa una telecronaca di calcio deve stare molto attento a misurare le parole, sia perché con alcuni tifosi potrebbe rischiare anche la propria incolumità, e poi c’è il rischio di far arrabbiare qualche società o qualche giocatore, però più o meno un telecronista che mastica qualcosa di calcio lo si trova sempre, nel rugby non è così”.

C’è anche una questione di maggiore competenza? Il pubblico del rugby è spesso una nicchia molto esigente

“Sì, ma è una questione che c’entra fino a un certo punto. Uscire dalla nicchia significa poter divulgare uno sport, rendendolo più comprensibile a tutti, e l’occasione è data dalle partite della Nazionale. Una telecronaca non è un convegno per allenatori, se vuoi allargare un pochino i numeri bisogna passare dalla divulgazione, che non è certo semplificazione o banalizzazione dell’argomento, ma una conoscenza che permetta di allargare la base. Altrimenti è un fallimento comunicativo. Lo streaming è sicuramente una via per il futuro, ma teniamo conto che tanti sport che hanno pensato di poter lasciare completamente la televisione e si sono concentrati solo sullo streaming hanno finito per perdere tanti spettatori, perché progressivamente perdi lo spazio per allargarti. Il vantaggio di una media company come Sky è la possibilità di parlare di uno sport al di fuori dell’evento, puoi promuoverlo invece di piazzare la partita ‘a fungo’ e basta. La partita in streaming la guardano gli appassionati, e fra i possibili visitatori perdi dei pezzi, la base non si allarga”.

Come preparate la partita voi telecronisti?

“Ognuno ha un suo modo di prepararla. Per me la chiave è leggere costantemente siti, giornali, e cercare di avere dei dettagli per ogni giocatore, che magari possono essere scontate ma devi avere sempre sottomano. Accanto ad ogni giocatore nella formazione io scrivo qualsiasi cosa: dati, cose essenziali, curiosità e soprattutto aneddoti, senza i quali non si può raccontare lo sport. La passione e la curiosità sono l’anima del telecronista, senza non vai da nessuna parte. L’essere un po’ trasandati, dire ‘si ma comunque me la cavo’ è come presentarsi in onda con una macchia di sugo, trasmetti una sensazione di superficialità. Mi potresti dire che l’abito non fa il monaco, ma nella comunicazione non è così. Non puoi dire ‘tizio ha segnato tante mete’, devi dire quante ne ha segnate, altrimenti è meglio che tu non lo dica. Inoltre, non devi riempire tutta la telecronaca con delle parole: sarebbe come mettere un litro di vino in una bottiglia da 0.75. E poi bisogna correggere la dizione, stando però attenti a non diventare ‘perfettini’ come un attore, perché altrimenti diventi finto e impersonale, ma bisogna correggere i difetti: gli errori di italiano sono inammissibili, così come gli errori di dizione”.

Francesco Palma

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