Undici anni fa il Bloodgate, uno degli scandali più clamorosi nella storia di Ovalia

Una delle pagine più buie, in tempi recenti, dello sport ovale

Leinster’s Man of the Match Rocky Elsom (C) and Malcolm O’Kelly (L) chase after Harlequins’ scrum half Danny Care (R) during the Heineken European Cup quarter-final rugby match at The Stoop in Twickenham, west of London on April 12, 2009. Leinster won the game 6-5 to advance to the semi-final against Irish rivals Munster. AFP PHOTO / Adrian Dennis (Photo by ADRIAN DENNIS / AFP)

Il 12 aprile dell’ormai lontano 2009, al Twickenham Stoop, gli Harlequins di Nick Evans ricevono il Leinster, tra gli altri, di Brian O’Driscoll, Gordon D’Arcy e Felipe Contepomi, a caccia del primo titolo continentale della sua storia. Nel catino londinese va in scena l’atteso quarto di finale di Heineken Cup (l’attuale Champions), il torneo per club più importante d’Europa.

La partita, come da previsione, è un’autentica battaglia e si sviluppa – sotto gli occhi vigili di un giovane Nigel Owens, direttore di gara della contesa – sul filo di un equilibrio labile, sempre pronto a spezzarsi, da una parte o dall’altra.

Gli irlandesi, grazie al piede di Contepomi – in assenza dello squalificato Johnny Sexton, piazzò il fuoriclasse argentino -, si presentano nell’ultimo quarto di gara avanti 6-0, con un margine inferiore alla distanza di break, prima che Mike Brown, al 65′, accorci con la meta del 5-6.

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Centrando i pali negli ultimi 15′, con un penalty o con un drop, gli arlecchini – con l’inerzia della partita dalla loro parte – si prenderebbero la leadership del match e la qualificazione alle semifinali. Tuttavia, per i locali, c’è un grosso problema in tal senso: Nick Evans, il forte numero 10 neozelandese titolare, esce acciaccato per un problema alla coscia, stessa sorte per il suo sostituto Chris Malone, costretto a lasciare il campo poco dopo per un problema al ginocchio.

Dunque, tocca a Mike Brown prendersi carico dell’incombenza delle punizioni, ma l’estremo inglese fallisce la prima occasione a sua disposizione, e nella mente di Dean Richards, Director of Rugby dei londinesi, balena l’idea decisamente fuori luogo, e soprattutto contro le regole, di far mordere a Tom Williams – l’ultima riserva della squadra – una fiala di sangue, così da poterlo sostituire, per consentirne la medicazione, e contestualmente rimettere in campo Nick Evans, per avere una soluzione migliore al piede.

L’apertura ex All Blacks, una volta tornata in campo, paradossalmente, fallisce il drop del sorpasso (con Leinster che vince e vola verso la coppa), ma la sconfitta più grande per gli Harlequins, in uno Stoop gremito, non è quella meramente legata al punteggio finale.

La compagine londinese perde, in quell’occasione, al cospetto dello spirito del gioco, barando in modo inopinato per avere un vantaggio illecito, e venendo punita sia dal destino, con la sconfitta in campo, che dalla giustizia sportiva, la quale, nelle settimane susseguenti al match – dopo un’indagine sui fatti -, punisce Dean Richards (3 anni di squalifica, al suo posto arriva Conor O’Shea) e Tom Williams (ban di 4 mesi), oltre ad infliggere una sanzione pecuniaria al club. In seguito alla vicenda, poi, anche Charles Jillings, co-proprietario dei Quins, rassegna le sue dimissioni dal suo ruolo.

“Pensare che i fantasmi legati al bloodgate possano smettere completamente di aleggiare nei dintorni del club sarebbe ingenuo. Cose del genere diventano parte della storia di un team, come le stagioni buone o cattive sul campo. Si legano con il tessuto della squadra”, dichiarò alla BBC Mark Evans, CEO degli Harlequins, nella primavera del 2010, ricordando come certe foschie non possano mai diradarsi del tutto, in determinate situazioni.

Matteo Viscardi

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