Il complicato momento delle Zebre

I ducali faticano tremendamente a segnare e ad avere continuità. Ma cosa sta andando storto?

Zebre

ph. Luca Sighinolfi

Dalla vittoria contro Edimburgo, venerdì 26 ottobre, qualcosa è cambiato nella stagione delle Zebre. Quella partita ad oggi è l’ultima vera prestazione importante dei ducali in una vera partita di rugby di alto livello, e il fatto che sia arrivata quasi tre mesi fa pone diverse domande su cosa stia andando storto nella franchigia ducale: è un problema di strategie? Di una profondità nella rosa non eccezionale? Di rendimenti al di sotto delle aspettative? Degli avversari che ormai hanno imparato a studiare della squadra parmigiana? Come spesso capita, la risposta non è unica ma al massimo è trasversale, perché tocca un po’ tutti questi temi.

In primis, diamo un contorno al contesto di cui stiamo parlando. Nelle ultime sette partite – si escludono le due contro l’Enisej, poco rappresentative all’interno del campione -, tra campionato e coppa le Zebre hanno sempre perso, ma questa di fatto è la cosa forse meno preoccupante.

A far suonare tutti i campanelli d’allarme è il modo in cui hanno perso: in sette partite, le Zebre hanno segnato in totale appena 49 punti, ovvero 7 di media a partita (in casa contro l’Enisej ne sono arrivati 58, per fare un paragone). Due volte sono rimaste a zero: nelle trasferte contro Cardiff Blues e Ospreys. Il massimo dei punti segnati in questo periodo di tempo è 12, nelle ultime due partite contro Cheetahs e La Rochelle.

La colonna dei punti fatti, nella classifica del Pro14, è impietosa. Tutte le squadre sono arrivate almeno a 200 punti segnati in campionato, compresi i Kings fermi a una sola vittoria (i ducali sono a tre), mentre le Zebre sono ben lontane a quota 163 (12,54 di media). Per capire quale sia il grande problema dei ducali, insomma, non è necessaria un’analisi così approfondita, ma comprendere le origini di questo repentino calo realizzativo diventa piuttosto complicato. Soprattutto se si considerano le gran belle mete segnate ultimamente dalla squadra di Michael Bradley, come quella di Elliott contro il Benetton e quelle di Padovani e Bisegni contro i Cheetahs.

Anche sulla base di quanto visto a La Rochelle, infatti, non si direbbe che manchi la confidenza a questa squadra. Quella è sembrata mancare solo nel trittico di partite contro Cardiff Blues, Munster e Ospreys (dove mancavano anche diversi nazionali, oltre ai noti infortunati), in cui il gioco offensivo era asfittico e senza grandi sbocchi complici anche delle fasi statiche non all’altezza che non permettevano di costruire granché. Dopo le partite contro l’Enisej, le Zebre avevano ripreso a produrre gioco con discreta continuità, ma senza risolvere in modo concreto e sostanziale i problemi.

A passo lento. Troppo lento.

E quindi che Zebre stiamo vedendo?

Le Zebre che vediamo in campo in queste settimane sono capaci di grandi cose come detto, ma all’interno degli ottanta minuti restano delle fiammate fini a se stesse. Belle per lo spettacolo e anche per il punteggio in quel dato momento, ma solo sparuti segnali delle potenzialità di questa squadra quando ha la palla in mano. I princìpi sono gli stessi dello scorso anno, quando è iniziata la gestione Bradley: ricerca degli spazi, variazioni di gioco per sorprendere la linea con cambi d’angolo e sponde interne delle ali – che si inseriscono spesso -, ricerca della verticalità con offload anche forzati e in generale l’obiettivo di tenere vivo il pallone anche in zone complicate del campo.

Per assolvere ai compiti dello staff tecnico, bisogna però ritornare alle basi di questo sport: e se le fasi statiche nelle ultime settimane hanno mostrato cenni di miglioramento, la conquista del pallone metro dopo metro e ruck dopo ruck è ancora deficitaria. Gli avversari tendono a “soffocare” il ball carrier per tenere alto il portatore o per rubargli subito il pallone, oppure adottano strategie piuttosto aggressive sui punti d’incontro che non permettono alle Zebre di ripartire velocemente.

Il risultato finale è che tutte le squadre coprono bene l’ampiezza del campo e vengono colti meno di sorpresa, come ha spiegato Michael Bradley nel post partita di Zebre-Cheetahs: “La differenza rispetto allo scorso anno è che le altre squadre hanno capito che possiamo essere pericolosi e mettono più difensori sulla linea; per esempio, oggi i Cheetahs mettevano spesso 14 giocatori sulla linea, per forzare i calci di spostamento”.

E come se la cavano con i calci di spostamento le Zebre? Non bene, come ha puntualizzato sempre Bradley nella stessa conferenza stampa, poco dopo. “È una parte del nostro gioco che vogliamo sviluppare, ma non è ancora al livello a cui vorremmo essere”. A quel punto, trovare una soluzione per aprire un varco diventa difficile e i giocatori – anche per colpe loro – non riescono a trovare timing e angoli di corsa efficaci, forzando giocate sconclusionate e che producono turnover su turnover.


Sembra una vita fa, ma era solo settembre.

È un ritornello che si è ripetuto contro il Benetton e nei secondi tempi contro Cheetahs e La Rochelle, un’emorragia che fin qui Bradley e lo staff non hanno saputo frenare a dovere. Il gioco al piede, che sarebbe utile per guadagnare territorio o prendere di sorpresa le difese quando le Zebre si impantanano in lunghi multi-fasi in mezzo al campo, non è ancora una risorsa da cui poter attingere, come ha spiegato lo stesso Bradley.

Non ci sono nemmeno molti interpreti per sfruttarlo, del resto: Canna è incostante, Brummer non ha dimostrato grande consistenza (ma non sembra nemmeno il profilo adatto al gioco delle Zebre, tra l’altro) e tra i centri (Castello, Bisegni, Boni, De Battista) nessuno è un maestro di grubber dietro la linea. Cambiando discorso, non si può davvero pensare inoltre di adottare un gioco più conservativo con il pacchetto di mischia, perché le caratteristiche fisiche e tecniche del reparto non lo consentono.

Esagerando, potremmo dire che le Zebre hanno già scelto di che morte morire, ma con qualche accorgimento e un lavoro progressivo su altre situazioni di gioco i ducali possono trovare soluzioni nuove. Ad esempio, si potrebbe rinunciare a qualche percentuale di possesso per giocare di più in contrattacco, fase di gioco in cui le Zebre si trovano evidentemente a proprio agio.

Il calendario – molto duro – e le assenze di giocatori come Violi, Bellini e Minozzi sono un peso notevole nella gestione del gruppo da parte di Bradley, ma gli spunti per migliorare (e qualche nota positiva da alcuni singoli, vedasi Padovani, Mbandà, Boni, Di Giulio e Palazzani) non mancano. Anche perché segnare meno di così è davvero molto difficile.

Daniele Pansardi

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