Una proposta per regolare i permit player dall’alto al basso

Un tema sempre molto delicato, difficile da trattare per motivi storici e culturali. Abbiamo provato a ragionarci su

Ph. Mariani

È di ieri la notizia del prestito di Andrea Bronzini dal Benetton al Viadana. Classe 1997, il promettente trequarti ala ex Under 20 si dividerà tra Ghirada e Zaffanella durante la settimana, e sarà a disposizione di Filippo Frati qualora non dovesse essere selezionato da Kieran Crowley. E quest’ultima eventualità, in effetti, potrebbe capitare a più riprese: con Tavuyara, Ioane, Benvenuti e Sperandio a ricoprire gli slot all’ala, per un Bronzini reduce anche da qualche infortunio in pre stagione gli spazi saranno molto ridotti.

Lo sono stati anche lo scorso anno, del resto: 7 presenze tra Pro14 e Champions Cup, in cui ha messo in mostra una buona qualità ma pure alcuni limiti tipici di un 20enne fisicamente esuberante e volenteroso di evidenziare il suo valore. Bronzini sarà un vero e proprio permit player, dunque; come Lamaro, Fischetti, D’Onofrio, Cannone e gli altri ragazzi che si dividono tra Ghirada, Cittadella di Parma e club, con la notevole differenza che l’ala è sotto contratto con il Benetton.

Non è poca cosa. E sappiamo quanto sia spesso all’ordine del giorno la questione dei giocatori poco utilizzati in Pro14 – per scelta tecnica o perché rientranti da un infortunio – che potrebbero trovare maggiore minutaggio nel Top12.

La vicenda-Bronzini ricalca per modalità quella di Filippo Filippetto di un anno fa, quando il pilone del Benetton passò al Petrarca a fine settembre giocando tre partite in campionato (ora fa parte del team di fisioterapisti alla Ghirada, invece). Fu un accordo estemporaneo tra due società molto collaborative già da diverse stagioni, ma che non sembrava poter essere il preludio a qualcosa di più.

E, a maggior ragione, non lo sarà nemmeno questo per Bronzini, visti i contorni dell’operazione: il giocatore ha cominciato a giocare a Viadana da piccolo, lì ha giocato la sua unica stagione in Eccellenza e ritroverà un ambiente che ben conosce e in cui non farà fatica ad adattarsi. Una trattativa presumibilmente troppo semplice per essere presa ad esempio, insomma.

Ben più complicato, invece, sarebbe il raggiungimento di un accordo che riguardi un gruppo di giocatori che verrebbe ridistribuito tra i club durante il fine settimana, se inutilizzati nelle franchigie. Il portavoce della Lega di club, Alberto Marusso, ci ha detto in un’intervista che “ci sono alcuni problemi formali, di doppio tesseramento ma anche di un oggettivo mantenimento di equità ed equidistanza da parte della Federazione”. La materia non è delle più semplici, ma proviamo a battere qualche strada per cercare di avanzare una proposta più o meno calibrata.

Un draft per scegliere

Prima dell’inizio di ogni stagione, Benetton e Zebre stilerebbero una lista di giocatori che potrebbero trovare poco spazio durante alcuni periodi dell’anno, ovvero quando non ci sono le finestre internazionali di mezzo. Facciamo alcuni esempi concreti. Il Benetton potrebbe inserire De Marchi, Di Stefano, Riccioni, uno dei cinque tallonatori, Pettinelli, Iannone e Rizzi; le Zebre includerebbero magari Luus, Panico, Tenga, Ortis, Tevi, Bakelana e soprattutto Raffaele e Azzolini, i due giocatori che più di tutti dovrebbero essere presi come riferimento quando si pensa a riforme del genere (5 partite il primo, 7 il secondo nella prima stagione alle Zebre).

Da una parte, si consentirebbe ai giovani di lavorare in strutture di alto livello e contemporaneamente dare loro un’opportunità di giocare, magari anche con continuità; dall’altra, permetterebbe ai meno giovani di poter comunque assaggiare il campo in partite ufficiali e in contesti che non siano gli allenamenti. A questo punto, le squadre del Top 12 sarebbero chiamate a scegliere quali giocatori “legare” ad esse nel corso della stagione, fermo restando però un principio di territorialità: prendendo in considerazione l’attuale campionato, le sei squadre venete attingerebbero dal Benetton, le altre dalle Zebre.

Ma chi sceglierebbe chi? E con che ordine?

Si terrebbero in considerazione i risultati della stagione precedente, un po’ come succede al draft NBA per rendere l’idea. Le neopromosse “chiamerebbero” per prime, magari dando la precedenza a chi perde la finale della Serie A, fino ad arrivare man mano al Petrarca da un lato e al Calvisano dall’altro.

Se una squadra dovesse decidere di non scegliere nessun giocatore, potrebbe conservare il proprio slot e avere la precedenza qualora un “celtico” dovesse avere bisogno di mettere minuti nelle gambe dopo un infortunio, o se per scelta tecnica dovesse ritrovarsi indietro nelle gerarchie in modo inaspettato durante l’anno.

Questo regolamento riguarderebbe l’intera stagione regolare di Top 12 ma non i playoff: per le semifinali e le finali i giocatori celtici non sarebbero a disposizione, anche perché in genere il loro campionato finisce alcune settimane prima della finale italiana.

E allora l’equilibrio?

Non è assegnando un giocatore di secondo piano di una franchigia a ciascuna squadra del Top 12 che si alterano gli equilibri del campionato, innanzitutto. Inoltre, questi giocatori non scenderebbero in campo con il club di Top 12 ogni weekend, perché banalmente potrebbero servire a Benetton o Zebre quando bisogna fare turnover o nelle già citate finestre internazionali (quando sono i club di Top 12 a rifornire il Pro14).

Con il meccanismo del draft, facendo scegliere per primi alle peggio piazzate dello scorso campionato, le squadre della zona salvezza avrebbero anzi la possibilità di alzare di qualche tacca il livello della squadra durante alcuni match, ma non in modo da tale da cambiare in corsa le gerarchie.

In conclusione

A prescindere dal metodo, raggiungere una soluzione comune che permetta agli atleti poco utilizzati in Pro14 di giocare in Top 12 sarebbe una vittoria un po’ per tutti. Per le franchigie, che farebbero avere un buon minutaggio a tutti anche se in un campionato di livello inferiore; per i club, che avrebbero maggiore freschezza/esperienza/fisicità a seconda dell’atleta di riferimento; per il giocatore in sé, che continuerebbe a sfruttare le strutture di alto livello ma allo stesso tempo verificherebbe il lavoro settimanale in campo con più continuità.

Ci sono ancora tabù da sfatare in tal senso probabilmente, e qualche barriera culturale da abbattere. Servirà tempo, e una buona dose di consapevolezza sul fatto il campionato non verrebbe “drogato” come molti pensano, o comunque non così tanto da rivoluzionare il torneo.

Daniele Pansardi

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