Una difesa lucida, un attacco spietato: chi ferma Leinster?

Lavagna tattica dedicata al big match di Dublino, dove gli irlandesi hanno dimostrato di avere troppe armi a disposizione

leinster

ph. Reuters

Il quarto di finale più atteso dell’ultimo fine settimana di Champions Cup fra Leinster e Saracens presentava alcune importanti analogie con l’Inghilterra-Irlanda giocato a Twickenham nella giornata conclusiva del Sei Nazioni. Non solo perché Leinster schierava otto protagonisti del Grande Slam e i Saracens sei nazionali inglesi, ma anche per le premesse che si celavano dietro al big match di domenica.

Leo Cullen e Stuart Lancaster avevano fatto riposare tutti i reduci dal Sei Nazioni, mentre McCall aveva schierato praticamente tutti fin da subito nel match contro gli Harlequins in Premiership, riportando subito in auge il discorso sulla gestione dei minutaggi già abbondantemente esplorato durante il Torneo, visto il rendimento di Irlanda e Inghilterra e le opposte politiche di welfare delle Federazioni.

La maggiore freschezza degli irlandesi, a Twickenham come a Dublino, è emersa con il passare dei minuti, ma i boys in blue hanno anche dimostrato di avere maggiori opzioni a disposizione in fase offensiva. Dal canto loro, i Saracens hanno disputato una grande partita, ma soltanto nel primo tempo, perché dopo hanno progressivamente perso le distanze e sono incappati in tanti piccoli errori sfruttati al meglio dal Leinster, più cinici e accurati nello gestire il possesso: il numero dei turnover, in questo senso, è indicativo (9 contro 15).

Identità ben definite

Gli stili di gioco di Leinster e Saracens, alla lunga, diventano piuttosto riconoscibili: gli irlandesi spiccano per competenze nella conservazione dell’ovale e nel garantire qualità anche dopo un numero piuttosto elevato di fasi, grazie anche alle continue novità tattiche apportate da Cullen, mentre gli inglesi si caratterizzano per un gioco al piede di livello stellare, la confidenza nei passaggi sulla linea del vantaggio e l’abrasività dei ball carrier.

In casa Leinster, poi, non è certamente un mistero che molto passa dalle mani di Johnny Sexton, messo naturalmente nel mirino dai difensori inglesi. Per evitare il gioco al massacro, lo staff tecnico ha deciso di tenere spesso ‘nascosto’ Sexton, facendo ricevere da primo uomo in piedi Nacewa o un avanti, che poi servivano sulla seconda linea offensiva l’apertura.

Prima Leavy, poi Nacewa e altri: il primo pallone toccato da Sexton arriva dopo sei fasi, sia per avere la sicurezza di essere sul piede avanzante, sia per evitare la rush defense dei Saracens.

Tuttavia, a caratterizzare il primo tempo è stato soprattutto l’accurato gioco al piede proprio di Wigglesworth e Farrell, a cui seguiva sempre una pressione e una linea difensiva ben organizzata. Anche se da un contrattacco irlandese è nata la meta di Ringrose (frutto comunque di pregi/errori individuali), per il resto i Saracens hanno costretto sempre gli irlandesi ad arretrare e a restare nella propria metà campo, come dimostrano il 64% di possesso e il 67% di territorio.

Il fatto di non aver segnato una meta nonostante queste percentuali, tuttavia, ci ‘costringe’ a parlare anche della difesa di Leinster, fenomenale per gran parte della partita nell’aggredire, coprire e attendere sulla linea a seconda delle necessità.

Con sistemi difensivi del genere, le statistiche possono diventare facilmente fuorvianti, perché il numero di placcaggi sbagliati viene spesso gonfiato dalle salite rapide da spia del singolo, che hanno come obiettivo quello di togliere spazio all’attaccante; aggredendo così velocemente, il rischio di intervenire con minore precisione aumenta, ma allo stesso tempo il portatore può essere rallentato quanto basta per permettere alle guardie interne o esterne di intervenire.

 


Nacewa esce alto su Goode, mancando il placcaggio ma impedendo comunque all’estremo inglese di prendere un vantaggio sostanziale; l’intervento di Lowe e il rientro di Fardy e Cronin sul lato chiuso sono esemplari.

I Saracens hanno avuto grande pazienza in attacco nel primo tempo, conquistando spesso la linea del vantaggio con le cariche di un sontuoso Mako Vunipola (20, record per un pilone), Barritt, Maitland e dell’onnipresente Alex Goode; anche Jackson Wray non ha affatto demeritato, ma se pensiamo che al suo posto sarebbe dovuto esserci Billy Vunipola ogni paragone per il biondo terza linea diventa un fardello troppo grande.

Gli inglesi hanno ripetutamente cercato di fissare al centro del campo i dubliners, per poi allargare sfruttando la grande tecnica di eccezionali passatori come Farrell e Bosch, ma anche nelle poche occasioni in cui i Sarries hanno esplorato la difesa irlandese quest’ultima è riuscita sempre a mettere una toppa più grande del buco.

Più in generale, è stata splendida in particolare la capacità di riposizionarsi e scalare per non farsi cogliere impreparata, a dimostrazione delle grandi doti di lettura da parte della squadra e di un’attitudine individuale – prima che collettiva – soltanto da invidiare.

Far pagare gli errori

Quasi a lanciare un segnale, Leinster ha da subito preso le redini della partita nel secondo tempo, uscendo dalla tana della propria metà campo con eleganza e superbia. Già in precedenza i dubliners erano parsi più elettrici e dinamici con la palla in mano, ma nella ripresa la tendenza si è ulteriormente accentuata.

Il momento chiave arriva al 45′: i Saracens giocano un altro ottimo calcio tattico per mettere pressione, ma con una serie di cariche vicine al punto d’incontro Leinster coglie un po’ di sorpresa le guardie inglesi, riuscendo a prendere l’abbrivio giusto. Sull’allargamento, Ringrose gioca un delizioso grubber che si spegne proprio a due passi dalla bandierina dell’area di meta rossonera.

I Sarries poi fanno tutto a puntino: touche, fasi pre-liberazione, calcio di Wigglesworth sui 10 metri… Solo che la difesa inglese, pur restando compatta, commette un paio di errori decisivi; uno è individuale ed è di Itoje (già a quel punto piuttosto fiacco e inconsistente), che si ferma a caricare ingenuamente sul punto d’incontro, mentre l’altro è collettivo, perché Figallo va a placcare Ryan che invece gravitava nel raggio d’azione di Wray. E le qualità del seconda linea sono sufficienti per servire Leavy nell’intervallo giusto.


Tra Figallo e Wray (ripulito da Murphy prima al limite del regolamento, e costretto a rientrare di fretta in linea, manca probabilmente la comunicazione, mentre Itoje, tentando una velleitaria controruck solitaria, perde un tempo di gioco; sarà decisivo nel placcaggio mancato su Leavy.

Da quel momento, Leinster acquista ancor più confidenza nelle sue uscite difensive, come il placcaggio in avanzamento di Toner – non esattamente il più dinamico degli irlandesi – su Farrell, seguito da un imperioso tentativo di controruck per il quale il verbo ‘ripulire’ appare un eufemismo. Su ogni minima incertezza dei Saracens, nel frattempo sempre meno lucidi, i padroni di casa costruiscono il proprio dominio dei primi venti minuti nel secondo tempo.

E se anche Farrell, di solito sempre impeccabile nel posizionamento difensivo, si fa trovare impreparato e poco reattivo, vuol dire che le gambe non girano come dovrebbero.

Dal break di Leavy non arriverà la meta, perché all’interno dei 22 Leinster perderà in maniera inusuale l’ovale. La marcatura di Lowe arriverà sul multifase successivo, dopo una violenta accelerazione sul lato chiuso di Murphy e Sexton, perché il Leinster difficilmente sbaglia due volte di fila. I Saracens, e gli altri prima di loro, l’hanno imparato sulla loro pelle.

Daniele Pansardi

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