Cosa aspettarsi dal Sudafrica? Il punto sugli Springboks alla vigilia della sfida in Italia

Dopo qualche esperimento fallito, la squadra di Coetzee è tornata a puntare sul classico gioco fisico e verticale

ph. Reuters

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La costruzione di un’identità di squadra prevede che tanti pezzi del puzzle vadano al proprio posto: la produzione di giocatori di livello adeguato, un ricambio generazionale continuo, ma anche un organo di governo solido, competente e che garantisca la fiducia ad uno staff tecnico che, sul campo e anche fuori, deve cercare di ripagarla assemblando una formazione con delle idee chiare su come raggiungere un obiettivo, magari con un piano strategico e tattico ben definito.

 

A questo punto del discorso, è facile intuire come nel sistema sudafricano qualcosa non abbia funzionato a dovere negli ultimi anni, a partire dalla spinosa questione delle quote nere fino alla scelta di Allister Coetzee come head coach degli Springboks, uno degli allenatori probabilmente meno apprezzati di sempre nella Rainbow Nation dopo un annus horribilis come il 2016 (quattro vittorie in dodici partite).

 

In parziale difesa di Coetzee, si può aggiungere che non è nemmeno solo colpa sua. Il 54enne ha preso in mano una squadra in piena rivoluzione post-Mondiale, che ha provato a ricostruire partendo da un gioco più vario e meno ruvido (per quanto possa essere meno ruvido il Sudafrica), ma dei giocatori evidentemente meno dotati rispetto ai rappresentanti delle generazioni precedenti e non hanno aiutato l’allenatore e lo staff.

 

L’apparente stabilità raggiunta con un inizio di 2017 più positivo si è poi dissolta con il disastro contro gli All Blacks ad Albany (57-0), perché da quel momento in poi si è rivisto un Sudafrica nuovamente umorale, incline a cadere nelle trappole avversarie e autolesionistico, ma anche capace di tirare fuori gli artigli e graffiare quando serve. Che, tradotto, vuol dire essere capace di sfiorare la rivincita contro gli stessi All Blacks, di beccarsi il peggior passivo di sempre contro l’Irlanda e di vincere una partita difficile e sul filo del rasoio contro la Francia. Proprio da quest’ultima partita ripartono gli Springboks, tornati (almeno nelle intenzioni) ad essere quella squadra fondata sulla verticalità, sugli impatti e sulla vittoria delle collisioni e dei punti d’incontro, oltre che su delle fasi statiche più solide rispetto al recente passato. Quando non riesci a costruire una nuova identità, perché non restaurare quella vecchia?

 

Che Sudafrica arriva in Italia

A Parigi, la differenza tra Springboks e Francia è stata soprattutto nella gestione del possesso: più semplice e lineare quella degli ospiti, più ambiziosa ma senza le adeguate competenze strutturali e individuali quella dei transalpini, che infatti hanno concesso 18 turnover contro i 7 dei sudafricani. La sagacia tattica e la brillantezza nelle scelte da compiere in campo non sono le prime caratteristiche fondamentali per molti giocatori Springboks, che optano spesso per le più canoniche cariche verticali sull’uomo con l’obiettivo di rompere il placcaggio e far arretrare la difesa. Gli esponenti più noti di questo movimento si chiamano soprattutto Eben Etzebeth, con il suo stile sempre molto particolare, Francois Louw, Pieter-Steph du Toit e, uscendo dalla panchina, Steven Kitshoff, mentre in Malcolm Marx per esempio si nota una maggiore ricerca dello spazio e dell’eventuale offload per il compagno. Quella del tallonatore sudafricano, infatti, sarà sicuramente un’assenza pesante per Coetzee a Padova, anche perché Bongi Mbonambi non sembra poter garantire lo stesso apporto di Marx nel cacciare i palloni a terra e come ball carrier.

L’influenza del 23enne sul gioco sudafricana è cresciuta di partita in partita ed è diventata evidente al pari di quella di Etzebeth, che viene usato sistematicamente da Coetzee come primo o secondo uomo in piedi per fare breccia nella linea avversaria, magari creando quello spazio tra attacco e difesa utilizzabile per allargare il gioco.

 

La minaccia Etzebeth, che attira su di sé molte attenzioni, potrebbe essere usata anche come sponda per aprire maggiori spazi al largo, visto che gli Springboks si dispongono bene sul campo offrendo grande profondità. Qui il seconda linea va dietro da Kriel, ma il centro mostra tutti i suoi limiti andando a sbattere sul muro francese e sciupando un’opportunità di correre all’esterno, che testimonia anche come l’opzione di giocare con Etzebeth come ‘scudo’ potrebbe essere sfruttata di più.

 

Anche lo stesso Pollard, del resto, è un giocatore utile a questa causa. Il 23enne è un mediano d’apertura completo, abile ad attaccare la linea ma anche a velocizzare il gioco in cabina di regia. Contro i francesi ha avuto una pessima giornata dalla piazzola, ma il suo passato lascia presumere che si si tratti solo di un episodio; rispetto a Jantjies, Pollard può vantare anche un miglior gioco tattico al piede e, più in generale, sembra essere una manna dal cielo per un Sudafrica che aveva disperato bisogno di aggrapparsi ad un giocatore più solido di Jantjies (e anche dei Cronje), soprattutto nella gestione dei momenti più delicati.

 

Di fianco a lui, invece, giocherà uno dei pochi Springboks nella lista dei 23 a non avere come principale peculiarità quella della ricerca dell’autoscontro, ovvero Francois Venter; un giocatore non straordinario, ma essenziale e non necessariamente scontato, che bilancia in parte l’esuberanza di Kriel in mezzo al campo e che contro la Francia è stato decisamente più funzionale rispetto all’opaco de Allende visto contro l’Irlanda.

 

Il Sudafrica visto a Parigi non dispone di un gioco particolarmente complesso e ricco di soluzioni alternative, pur essendo molto efficace se i ball carrier prendono l’abbrivio giusto nella collisione, ma ha invece dimostrato di poter accelerare con decisione quando può costruire partendo da mischia ordinata. In un’occasione, per esempio, una sequenza di fasi ben impostate dagli Springboks ha poi portato alla meta di Leyds a inizio partita.

 

Il Sudafrica non cambia quasi mai il senso del gioco, ma qui Cronje torna sul lato corto dopo due punti d’incontro e lancia Skosan nello spazio, sfruttando i dummy runner. Lo sviluppo dell’azione porterà alla prima marcatura degli Springboks.

Dove colpire?

Per l’Italia sarà senz’altro primario vincere (o almeno resistere a) la battaglia fisica, pena l’inevitabile perdita di territorio e controllo sulla partita. Gli Azzurri dovranno giocare d’astuzia contro una difesa che collettivamente ha mostrato buona coesione nei movimenti contro i francesi, anche se è stata manipolata a più riprese dalle abili strutture irlandesi e alcuni singoli non rendono come dovrebbero a questo livello. Gli Springboks puntano sempre al raddoppio del placcaggio e all’immediata riconquista del pallone nel breakdown – prendendosi tutti i rischi del caso viste le nuove regole sul punto d’incontro -, o in alternativa a rallentare il più possibile l’uscita dall’ovale. L’Italia non ha certamente le abilità dell’Irlanda nel breakdown, e probabilmente dovrà ricercare in altre aree di gioco i punti deboli del Sudafrica, per esempio nel triangolo allargato avversario.

 

Sia le ali Leyds e Skosan che l’estremo Coetzee non offrono piene garanzie nell’uno contro uno in difesa e nel gioco tattico, per cui metterli nel mirino potrebbe pagare dividendi importanti per i ragazzi di O’Shea con un uso del piede accurato (al contrario, la loro rapidità potrebbe risultare anche letale se Hayward&co. dovessero concedere troppi palloni agevoli) e una ricerca degli spazi migliore di quella vista contro Argentina e Fiji. Ad avere il coltello dalla parte del manico, tuttavia, non saranno gli Azzurri.

 

 

Daniele Pansardi

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