Dane Coles, dall’ombra di Hore e Mealamu a miglior tallonatore del mondo

Abbiamo intervistato il giocatore di All Blacks e Hurricanes. Che parla di cultura di squadra, leadership, ricambio e gestione della pressione

dane coles all blacks

ph. Sebastiano Pessina

Ad un mese dal trentesimo compleanno, Dane Coles è uno degli uomini chiave della gestione Hansen. Considerato oggi il migliore tallonatore al mondo, sta per finire un ciclo di dodici mesi che lo ha visto alzare la Web Ellis Cup in Inghilterra e il titolo del Super Rugby 2016 come capitano dei suoi amatissimi Hurricanes. Il premio di miglior giocatore dell’anno è andato al compagno di squadra Beauden Barrett, ma essere inserito nella rosa dei possibili vincitori testimonia la stagione di altissimo livello disputata con entrambe le maglie. “E’ un onore immenso – ci ha racconta alla vigilia della sfida dell’Olimpico a proposito della nomination e della stagione scorsa- Ho lavorato duramente quest’anno per poter giocare uno stile di rugby che potesse dare dei risultati importanti. E’ un onore non solo essere nominati, ma anche sapere che sei in lista con altri grandissimi nomi di questo sport, che meritano tutti di vincere”.

 

 

Originario della zona di Kapiti, lungo la costa ovest sopra Wellington, Dane come ogni bambino neozelandese cresce con il sogno di diventare un giorno un All Black: “Per me è sempre stato un obbiettivo giocare prima per gli Hurricanes e poi per gli All Blacks. Se cresci giocando a rugby in Nuova Zelanda è questo che hai nella tua mente. Ed oggi se ci penso è veramente un momento speciale poter aver realizzato i miei sogni. Non è una carriera che dura per sempre quindi sono molto concentrato nel giocare qui per questa squadra e soprattutto per godermi questo periodo della mia vita”.

 

Coles ricorda perfettamente il momento in cui sarebbe diventato un All Blacks, il punto di non ritorno: “Lo ricordo perfettamente, era il 2012. Giocavo come rimpiazzo per Andrew Hore negli Hurricanes da circa tre anni e sapevo che qualcosa doveva cambiare quindi mi sono quasi guardato intorno. Poi c’è stato un gran rimescolamento di carte con il nuovo staff tecnico in franchigia ed Andrew firmò un contratto con gli Highlanders. A quel punto ero diventato il primo tallonatore e mi sono detto che quell’anno avrei debuttato in nazionale maggiore con gli All Blacks“. Il debutto arriva, puntuale, il 10 novembre 2012 al minuto ’62 contro la Scozia a Murrayfield, in un Test Match dell’End of Year Tour che gli All Blacks vinsero 51 a 22.

 

Sono stati anni importanti per Coles. Cresciuto prima dietro Andrew Hore nella franchigia di Wellington e poi dietro Keven Mealamu in nazionale, quest’anno ha accettato la sfida più importante di capitanare gli Hurricanes dopo la partenza di Conrad Smith per la Francia: “All’inizio non ero molto sicuro di voler diventare capitano. Ricordo la conversazione che ho avuto con Chris Boys (allenatore dei gli Hurricanes, ndr) prima del Mondiale in cui mi chiese che ne pensavo di prendere la fascia di capitano della squadra. L’idea non mi allettava inizialmente, poi durante la Coppa del Mondo ci ho pensato molto e sapevo che comunque a quel punto nella mia carriera avevo bisogno di una nuova sfida personale, che mi facesse uscire fuori dalla mia zona di conforto. Ho avuto delle importanti conversazioni con Conrad Smith a riguardo mentre eravamo in Inghilterra: mi disse che alla fine dovevo trovare il mio stile, che non potevo essere un altro Conrad o un altro Richie McCaw. In realtà ciò che volevo e voglio fare è giocare bene, avere delle buone prestazioni in modo che poi i miei compagni possano seguirmi”. La forza dello stile delle squadre neozelandese sta molto nei gruppi della leadership, che vengono appositamente creati per supportare i capitani nei momenti di pressione, per poter prendere le decisioni giuste. “Sì, prima pensavo che potevo, diciamo, guidare la squadra da solo. Ma poi ho realizzato di avere tanti bravi giocatori intorno a me come TJ Perenara, Vicotor Vito, Beauden Barrett, insomma gente che ha indossato la maglia da tanti anni e devi anche farti aiutare da loro, creare un buon gruppo di lavoro. Ma prima di tutto devo dare il meglio che posso in campo”.

 

I suoi Hurricanes hanno dominato la scena internazionale del Super Rugby negli ultimi due anni con la finale persa contro gli Highlanders nel 2015 e il titolo vinto in casa nel 2016 contro i Lions. Con la caduta della compagine Crusaders, a Wellington e dintorni si spera molto nell’inizio di una “Hurricanes Era”, di cui Coles può essere il perfetto rappresentante: “E’ un torneo difficilissimo da vincere. Ma abbiamo una bella squadra e poi non abbiamo tanti giocatori che hanno lasciano a fine stagione. Ci sono giovani di talento che si sono aggregati: un nome su tutti Jordie Barrett. E’ un momento di grande eccitazione per noi. Dobbiamo valorizzare la nostra esperienza e il nostro sostenerci a vicenda per poter affrontare la stagione. Ho visto gli Hurricanes in momenti molto difficili in passato, ma ora ci sono ottimi giocatori e ottimi allenatori. E’ tutta una questione di ricominciare da capo da gennaio”.

 

Capire che Dane Coles è un giocatore molto speciale non è certo difficile, ma vederlo crescere negli ultimi dodici mesi, dopo il ritiro di Keven Mealamu, è stato un piacere per tutti i tifosi kiwi e non che apprezzano la classe di colui che è oggi considerato il miglior tallonatore al mondo: “Abbiamo perso tantissima esperienza dopo la Coppa del Mondo e per me la cosa più importante era, come ho detto, giocare bene e far sì che il mio lavoro fosse riconosciuto dalla squadra. Sai, è molto difficile giocare a certi livelli offrendo prestazioni all’altezza, soprattutto in ambito internazionale. Ho molto rispetto per il ruolo ed è per questo che ogni settimana so che devo dare il meglio che posso per onorare la maglia. Ho il dovere di continuare il lavoro fatto da Keven Mealamu e altri tallonatori prima di lui”.

 

Coles è un tallonatore atipico. E’ facile trovarlo ai lati della squadra allargata di questi tempi. Come un’ala. Sì, un’ala. Internet e social media sono pieni di fotografie e memes di Coles etichettato come miglior ala al mondo, cosa che lo fa molto ridere: “Assolutamente, ci rido su quando vedo cose sui social media, non si può paragonare un prima linea con un’ala… Anzi, un’ala con una prima linea, perché loro là dietro non hanno idea di cosa significhi stare in mischia! In realtà credo di essere molto fortunato, questo è il tipo di rugby che Steven Hansen vuole giocare e a dire il vero a volte non so neanche io che devo fare: mi passano la palla, mi sale l’adrenalina, comincio a correre e buon per me finisco in meta!”.

 

Una delle componenti fondamentali dell’essere All Blacks, ma in generale del giocare a rugby aggiungiamo noi, è il divertirsi nel fare un lavoro che si ama e riconoscere la grande fortuna di poter allacciarsi le scarpe e scendere in campo per colleghi che sono prima di tutto amici: “Una delle cosa fondamentali per me è divertirmi in ciò che faccio. So che non durerà per sempre. Questo è un ambiente molto particolare. Sicuramente è un lavoro, ma alla fine devi poter riuscire a divertirti anche facendo il lavoro dei tuoi sogni. Lavoriamo ogni giorno per l’onore della maglia ma sappiamo che dobbiamo avere anche un ottimo equilibrio per poter mantenere una nostra personale integrità: c’è grandissima pressione, soprattutto a livello psicologico. Ci sono grandi aspettative su di noi quando indossiamo la maglia nera, che vengono non solo da altri ma prima di tutto da noi stessi. E’ importante anche essere amici con i compagni di squadra, divertirmi con loro, prenderci in giro e poi giocare per noi, per il compagno che ti è accanto”.

 

L’equilibrio tra la pressione della prestazione e i momenti di pausa è un area molto curata dallo staff degli All Blacks e di cui si occupa lo Psychological Skills Training per la nazionale. Ogni giocatore deve avere un modo per escludere il rugby dai momenti di riposo durante le settimane di allenamento. Aaron Cruden per esempio legge, mentre Coles si rilassa assieme ai compagni: “Per me è importante passare il mio tempo libero fuori dall’hotel e possibilmente con i miei amici. Per esempio qui a Roma siamo andati in giro, abbiamo visitato i luoghi più importanti della città. Abbiamo la fortuna di viaggiare in posti importanti e sarebbe un peccato perdere l’occasione di fare il turista”.

 

 

In chiusura, una sguardo ad un futuro che si preannuncia roseo in ottica Rugby World Cup 2019 e Super Rugby. “Ho iniziato a giocare a certi livelli a 19 anni ed ho sempre preso una stagione alla volta. Ho sicuramente degli obbiettivi come possono essere i Mondiali ma al momento non ho un vero piano a lungo termine, non so dove sarò tra magari cinque o dieci anni. Però non sono interessato ad andare all’estero: mi piace il rugby che gioco qui, mi piace giocare per gli Hurricanes e per gli All Blacks e al momento sono concentrato per essere il miglior tallonatore che scende in campo. Più in là arriveranno altri giocatori che saranno meglio di me e quindi mi faro da parte: è la natura del nostro lavoro, come ti ho detto non dura per sempre. Dopo il rugby mi vedo a casa, con la mia famiglia i miei bimbi. Magari aiuterò il mio club, darò la mia esperienza al rugby di base dove tutto è iniziato, ma di certo non credo di vedermi allenatore a livello professionale”.

 

Di Melita Martorana

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