Disciplina, cinismo, precisione e placcaggi: quando l’Europa batte il Sud

Alcune statistiche della serie Australia-Inghilterra permettono di leggere l’eterno confronto tra Emisferi

ph. Jason Reed/Action Images

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La Rugby World Cup 2015 ha restituito risultati abbastanza chiari nell’eterno confronto a distanza tra Emisfero Nord ed Emisfero Sud, con quattro semifinaliste tutte provenienti da sotto l’Equatore e due quarti di finale con differenza punti considerevole (Nuova Zelanda v Francia 62-13 e Argentina v Irlanda 43-20). Per carità, la superiorità dell’Emisfero Sud non è mai stata una novità (nell’arco di tempo da inizio 2008 a fine giugno 2014, 82 vittorie (dell’allora) SANZAR, 2 pareggi e 13 successi del Vecchio Continente su un totale di 97 incontri), ma la sensazione che ci ha lasciato l’ultima Coppa del Mondo era che il gap si fosse ulteriormente allargato, con gli inarrivabili All Blacks, la ritrovata Australia targata Cheika, gli Springboks dalla strapotenza fisica e l’Argentina ormai definitivamente e stabilmente entrata nell’Ovalia più importante. Poi è arrivato il Sei Nazioni 2016, con il dominio dell’Inghilterra targata Eddie Jones, seguito dalla finestra internazionale di giugno. Che ha regalato al quindici della rosa la sua prima serie downunder, all’Irlanda la prima vittoria in Sudafrica e, in generale, la sensazione che rispetto al torneo iridato le gerarchie si siano in parte (e con le dovute proporzioni) ridimensionate.

 

Tra le tre grandi serie, quella che più ha colpito per quanto ha offerto è stata certamente quella giocata sul suolo Wallabies. Anche perché ha visto soccombere la squadra di Cheika, tra le tre regine del Sud quella che arrivava con più certezze a questa finestra: non il Sudafrica del nuovo corso targato Coetzee, e nemmeno gli All Blacks senza i 707 pesantissimi caps dei vari McCaw, Carter, Nonu e Conrad Smith e altri senatori che hanno salutato la maglia tutta nera. E come sono arrivati i successi di Brisbane, Melbourne e Sidney?

 

Con una percentuale vicina al 100% di proprie mischie e rimesse laterali conquistate (rispettivamente 13/16 e 33/36), concedendo poche punizioni (8 a partita contro le 11 dei padroni di casa), con l’88% di successo dalla piazzola ma, soprattutto, con pochissimo possesso e territorio, come testimoniano le percentuali in entrambi i casi inferiori addirittura al 35% nei primi due Test. Tutto ciò si traduce in pochissimi minuti palla in mano, tantissimi possessi calciati (23, 31 e 23 complessivamente nella serie) e una marea di placcaggi: 99, 182 e 120 riusciti su un totale di 121, 213 e 150 tentati. E nel tipo di gioco visto e suggerito dalle statistiche, diventano fondamentale alcuni spot in particolare: la terza linea con la coppia Haskell-Robshaw superba in difesa, la prima linea decisiva nel mettere sotto la prima linea avversaria con buona pace della regia australiana e delle linee di spinta di Dan Cole, la possibilità di schierare un doppio play Ford-Farrell con tutti i vantaggi che ciò comporta in termini di kicking game ed exit strategy. E poi serve quella che in questo tipo di gioco è l’abilità fondamentale: il cinismo, la concretezza, la capacità di sfruttare le turnover ball, di raccogliere tutti i punti possibili dalla piazzola e in quelle pochissime occasioni che il 29% di possesso offre. Di fronte a tutto ciò si annullano gli 83 difensori battuti, i 39 break oltre la linea e i 32 offload realizzati dai Wallabies. E se per battere l’Emisfero Sud non servisse copiarne lo stile di gioco ma prenderlo per le corna?

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