Non solo tecnica: il fiume che ci divide dall’Europa si chiama intensità

La capacità di gestire la tensione e la ricerca del risultato: i quarti di finale di Heineken Cup hanno evidenziato un nostro limite

COMMENTI DEI LETTORI
  1. Cannonball 7 Aprile 2014, 15:24

    Argomento dibattuto a ripetizione dal vituperato corpo tecnico federale. Ascione in primis. La velocità di comprensione ed esecuzione è e sarebbe ciò su cui la federazione vuole lavorare.
    E come la alleno l’intensità? Partendo dai bambini? Dove? Su campi insufficienti con educatori che vanno a zero all’ora? A scuola? Con le maestre che si limano le unghie quando arriva l’insegnante di motoria?
    Il Rugby veloce, intenso, frenetico può scaturire solo in paesi che vivono lo sport con altrettanta dinamicità. Non in Italia, dove il culto dell’allenamento è inesistente. Anche se riusciremo, forse, un giorno a competere per l’alto livello, rimarremo una federazione azzoppata da retaggi culturali che concedono al rugby lo status di sport “diverso”, con buchi formativi enormi. Tanta tanta strada abbiamo davanti..

    • Hullalla 7 Aprile 2014, 15:38

      L’Italia e’ riuscita a dominare la pallavolo per anni, nonostante le gigantesche tare culturali e formative (che sono uno scandalo).
      Julio Velasco chiamava i discorsi simili al tuo (sensatissimo, ma macchiati della stessa tara che stigmatizzano): “alibi”.

      • Maggicopinti 7 Aprile 2014, 18:20

        Non solo. L’Italia è riuscita a dominare la pallavolo per anni, dopo che nei trenta anni prima non aveva praticamente vinto nulla, ed era a distanze siderali dall’URSS, tanto per fare un esempio.
        La soluzione si chiama programmazione, ad ogni livello. Non c’è nulla di non allenabile, nulla che non possa essere riprodotto – se escludiamo il fisico degli isolani. Bisogna che i dirigenti abbiano approcci manageriali, e l’umiltà di andare ad imparare da quelli che ora sono più bravi di noi, copiando dagli esempi migliori. Lo ha fatto Velasco con la pallavolo, lo stanno facendo i paesi dell’Est con il tennis, si può fare anche con il rugby.

        • mistral 7 Aprile 2014, 20:22

          umiltà, parola chiave… è come il coraggio, o c’è o non c’è…

      • Cannonball 8 Aprile 2014, 02:37

        Velasco era un dritto. Ma intanto sbagli nel definire tare formative quelle della pallavolo. Esisteva un campionato altamente competitivo e un numero alto di giocatori, oltre ad una classe di tecnici competente. Il problema, identificato perfettamente da Lucchetta in una intervista a sportweek di un paio di anni fa, è che la FIPAV fino a poco tempo fa non aveva nemmeno un ufficio marketing, poche figure specializzate per trasformare in oro una generazione di fenomeni. Il contrario di quanto accade con il rugby, dove la FIR che riempie l’Olimpico di spettatori è un gigante dai piedi di argilla. Tornando sul discorso strutturale, ovvero delle tare fisiche, spero che tu abbia avuto esperienze con il rugby juniores/scolastico/minirugby per capire e vedere (e deprimersi) quanto i nostri ragazzi siano figli di alimentazione scorretta, sedentarietà, mancanza di cicli annuali di allenamento. Sono alibi anche questi per costruire atleti di alto livello?

      • mezeena10 8 Aprile 2014, 07:21

        velasco non ha insegnato proprio nulla, si è ritrovato la pappa pronta! è stato bravo a dare una nuova mentalita ai ragazzi della cosiddetta “generazione di fenomeni” (non è un caso che ritirati quelli non si sia vinto piu nulla!)..
        casomai son da ringraziare in primis il Professor Skiba, Guidetti padre e tutti i tecnici stranieri ed italiani che han lavorato in concerto per fornire poi a quella nazionale i vari Zorzi Tofoli Gardini Lucchetta etc etc..
        Velasco è stato un grande selezionatore e grande motivatore, ma i ragazzi non li ha formati lui! sapevatelo!!!

        • mezeena10 8 Aprile 2014, 07:24

          nel 1978 il cosiddetto gabbiano d’ argento, vincitore appunto dell’ argento mondiale (dopo un bronzo agli europei di 30 anni prima), era guidato in panchina da Carmelo Pittera, da li in poi si è lavorato tanto per arrivare alla generazione di fenomeni e al 1989!!!

          • malpensante 8 Aprile 2014, 16:51

            Anni ’70 in coppa c’erano le corazzate “statali” del’Est ma i club italiani (con un solo straniero) facevano la loro più che dignitosa figura, spesso vincendo in casa e pure facendo imprese all’estero. Voglio dire che c’era tradizione e qualità pur in un assoluto dilettantismo (a parte lo straniero di turno). Assoluto dilettantismo voleva dire assoluto, senza nemmeno i rimborsi spesa, al massimo un occhio benevolo sulla mancata frequenza scolastica e universitaria, o qualche giorno di ferie in più. Ma tanti praticanti e tecnici di altissimo livello: la nazionale di Pittera è il punto più alto di quella stagione, ormai finita e del semipro. Poi, ai tempi di Velasco, professionismo a tutto tondo ma sempre con squadre di club fortissime (stranieri, oriundi e l’Est a ramengo..).

  2. megu65 7 Aprile 2014, 15:49

    Un’italiana ai quarti di Challenge Cup? Ma avete visto Wasps-Gloucester? Ma neanche la nostra Nazionale riesce a giocare con una intensità tale, ovvero a darle ed a prenderle per 80 e passa minuti! tra l’altro un certo signor Festuccia Carlo ha segnato una meta che levati! Il signor Masi Andrea ha fatto la sua consueta partita, stavolta da estremo. Vabbè direte voi sono stati entrambi sostituiti dopo un’ora (anche meno Festuccia). Il fatto è che due italiani così integrati in un team di media classifica inglese, dove li troviamo?
    Spendo una parola sulla (presunta) mancanza di reattività dei bambini italiani: da una parte si tratta degli stessi bambini che eccellono in altri sport, per esempio pallanuoto, basket, pallavolo, scherma, tennis(per citare un successo recente). E quindi mi verrebbe da dire che il materiale umano c’è per cui sono d’accordo nel dire che “mancano gli allenatori”, (in senso ampio s’intende). Dall’altra se confronto i miei figli con me quando ero bambino c’è davvero un’abisso in termini di resistenza alla fatica, iniziativa personale, “fighting spirit”, velocità di apprendimento (mi limito agli sport) ma soprattutto AUTONOMIA DELL’ATTO LUDICO… Non sarà il caso di pensare invece ad un sistema educativo differente a partire proprio da noi genitori ed a seguire tutta la pletora di educatori sempre TROPPO PRESENTI?

    • gsp 7 Aprile 2014, 16:05

      si megu. pero’ gli allenatori non ti insegnano tutto. la ricchezza degli altri, e’ che ce ne sono 10 che potrebbero riuscire e quindi statisticamente e’ piu’ facile trovare giocatori con sufficiente competenza tecnica, atletica, mentale e che fanno anche alla boxe. molte di queste cose non si insegnano e neanche nei contesti rugbistici avanzati ci sono allenatori che tirano tutto fuori dal nulla. e come sempre i giocatori si giudicano sui 4 criteri di cui sopra ma nel complesso.

    • Hullalla 7 Aprile 2014, 23:15

      Secondo me l’anno prossimo vedremo diversi Italiani ben integrati in clubs Inglesi e Francesi (e Gallesi…).
      Il vantaggio di entrare in un club organizzato in un certo modo e scintificamente preparato ad aiutarti a tirare fuori il meglio di te stesso con la sua organizzazione.

  3. Rabbidaniel 7 Aprile 2014, 15:49

    Altra considerazione, in campo in HC, tra sabato e domenica, è entrato, per 10 minuti, un solo italiano, Castrogiovanni.
    Le considerazioni dell’articolo sono di palmare evidenza. I problemi sono tutti lì: budget ridotti, filiera formativa non concorrenziale rispetto agli altri paesi, poco o inesistente appeal del marchio dei club.
    Altrettanto vero che, alla fine, nello strapotere franco-inglese, riesce a inserirsi solo l’Irlanda, ma gallesi e scozzesi si giocano i PO di Pro12 e qualche turno in HC lo passano.

  4. Emy 7 Aprile 2014, 16:17

    Ho visto tutte le partite, tranne il primo tempo del Munster, e ad ognuna, dalla prima inquadratura di stadio e pubblico fino al fischio finale, non sono riuscita a non pensare: “altro pianeta, anni luce, ma non possiamo cercare di imparare qualcosa?”. Tanto sono inevitabilmente lontani, non solo geograficamente, i modelli downunder, tanto del Regno Unito si può dire “l’hanno inventato, è cultura, etc etc”, quanto la Francia è qui dietro e, anche se molti italici storcono il naso sui franzosi, ci somiglia non poco. Eppure con l’ovale in mano è Marte tanto quanto la NZ quasi. Pare brutto studiare, chiedere, informarsi, come funziona da loro il sistema, dalle scuole e dal minirugby in su, per capire se il modello può essere applicato e adattato da noi? Che non vuol dire prendersi ogni tot anni un allenatore francese per la nazionale, ma osservare, farsi spiegare, prendere tecnici e consulenti dalla base fino a gente che lavora nel management e negli staff tecnici del Top14, perchè possano consigliare, orientare e formare gente da noi.
    Il gap è tecnico, tattico, numerico, gestionale, generale e se si vuole lavorare per colmarlo non serve a niente cercare di mettere pezze e toppe qua e là, ma bisogna lavorare, programmare e costruire su basi e competenze. Altrimenti, anche tra altri 100 anni di 6N, loro saranno sempre loro e noi sempre noi.

    • Stefo 7 Aprile 2014, 16:24

      Quoto ogni singola parola e virgola…come sempre Emy vai dritta al punto senza tanti giri di parole!

    • Rabbidaniel 7 Aprile 2014, 16:29

      A monte, ancora prima del gap tecnico-tattico ci sono, a mio avviso, due problemi. Uno generale: come si fa sport nelle scuole italiane? La risposta la conosciamo tutti.
      Un secondo di marketing e di “appeal”: un mio parente è distributore di un marchio sportivo medio-grande, fa soprattutto running. Gli ho chiesto che posto abbia il rugby nel mercato degli articoli sportivi ecc. Marginale, è stata la risposta. Siamo sempre lì, gli altri ci superano o per budget o per formazione e, quasi sempre, per entrambe le cose. Si è perso troppo tempo per darsi una strutturazione (formativa e di club) e si sta dilapidando un capitale di entusiasmo, anche e soprattutto del pubblico non rugbistico, dovuto al 6N.

      • Emy 7 Aprile 2014, 16:47

        Ti cito: “gli altri ci superano o per budget o per formazione e, quasi sempre, per entrambe le cose. Si è perso troppo tempo per darsi una strutturazione (formativa e di club)”. Scusa, si è perso secondo te troppo tempo per la struttura formativa, ma la formazione è proprio uno dei punti cruciali su cui gli altri ci superano: c’è qualcosa che non torna nel discorso.
        Dove la vedi la strutturazione, che è proprio quello che manca? Il capitale di entusiasmo del 6N, come lo chiami tu, non serve a niente se poi quelli che hai attirato con l’evento-partita una tantum non trovano le basi su cui quella partita si poggia, e non le trovano perchè non ci sono: non sono basi, sono zattere, che galleggiano e ondeggiano di qua e di là. E così non si può fare bene sport professionistico ad alto livello.
        I 70.000 dell’Olimpico sono forse la cosa peggiore che potesse capitare al rugby italiano, perchè fungono da gigantesco tappeto sotto il quale cercare di nascondere tutto quello che non funziona.

        • Rabbidaniel 7 Aprile 2014, 16:51

          Manca una parte in effetti, la frase che avevo in mente era “Si è perso troppo tempo per darsi una strutturazione (formativa e di club) che ancora non c’è”.

          • Emy 7 Aprile 2014, 16:53

            Così sì che torna. 🙂

          • Giovanni 8 Aprile 2014, 00:13

            @Emy: io me li terrei i 70mila dell’Olimpico. Il problema è che qualcuno in FIR li vede come punto d’arrivo, invece che di partenza…
            P.S.: ti ho chiesto amicizia su FB: mi onori?

      • Hullalla 7 Aprile 2014, 23:20

        1) Ci superano come formazione – verissimo (il modello scolastico Italiano dal punto di vista dell’Educazione Fisica e’ PENOSO e non ha ancora superato il blocco emotivo dovuto al fatto che il Duce privilegiava l’educazione fisica e che quindi la Repubblica deve fare l’esatto contrario… orsu’, son passati un po’ di anni….) – MA la pallavolo ce l’ha fatta.

        2) Ci superano come budget – ci sono stati anni nei quali eravamo NOI a superarli come budget, ma non abbiamo saputo costruire niente di duraturo (e infatti oggi siamo dove siamo). SE oggi avessimo noi budget piu’ alti, come li spenderemmo?

    • Giov 7 Aprile 2014, 18:06

      Supermegaquotone!!!!!!

      • Giov 7 Aprile 2014, 18:10

        Soprattutto quando, qualche post dopo, dai secondo me una definizione perfetta dei “famosi” 70000 dell’Olimpico: ” sono forse la cosa peggiore che potesse capitare al rugby italiano, perchè fungono da gigantesco tappeto sotto il quale cercare di nascondere tutto quello che non funziona”.

    • Cannonball 8 Aprile 2014, 02:48

      Ci sono i club che in Italia affrontano il minirugby e il rugby juniores con approccio professionale. ragazzi che si allenano sul campo 4/5 volte alla settimana. Qualsiasi ecole de rugby francese propone 2/3 sedute settimanali per i bambini. Poi, anni dopo, vai a vederli in nazionale under 18 e gli italiani prendono le briscole per tutta europa.
      Allora, come ho scritto in precedenza, per costruire atleti di alto profilo sarà il caso di implementare il vissuto multilaterale, multisportivo e scolastico dei ragazzi? Come si può pensare di avere atleti se quando un ragazzo che arriva sul campo non ha giocato/provato altre discipline che ne stimolano il vissuto motorio? Ripeto, siamo indietro come Comitato Olimpico Nazionale Italiano, non è un problema che può accollarsi solo il rugby.

      • malpensante 8 Aprile 2014, 16:58

        Vero, ma siamo una delle federazioni più ricche, la scuola pubblica è sempre più povera, e con tutti i nostri soldi soffriamo la concorrenza di tutti gli altri sport nella leva e nell’arruolamento. Non sarà il caso di investire per primi noi sulla scuola, magari per il tramite dei club, visto che il CONI se ne sbatte?

  5. gian 7 Aprile 2014, 17:20

    faccio una piccola critica a quanto scritto sull’articolo, non siamo abituati a certi ritmi, loro sì….quindici anni di 6N, diversi italiani (a cui la formazione italiana o comunque l’esperienza italiana è servita per affermarsi) che giocano all’estero, quattro anni di CL……..cosa dobbiamo avere per abituarci a certi ritmi? chi va all’estero e riesce a ritagliarsi il suo spazio fa solo bene, ma se si gioca da “italiano” c’è sempre un problema! non è che forse non è il fitness o la propensione ad essere il punto, ma qualcosa nel nostro sistema?!

    • maremma 7 Aprile 2014, 22:08

      dobbiamo avere per abituarci a certi ritmi niente altro che atleti capaci di farlo e che non abbiamo.
      secondo me li avremo tra qualche anno.
      quando le nazionali giovanili vinceranno qualche partita in più…

  6. WinstonSmith 7 Aprile 2014, 18:29

    Anch’io dico la mia (per quello che può valere): è vero, manchiamo di intensità ed è vero, i nostri ragazzi sono mostruosamente più avanti di noi per quanto concerne la tecnologia ma indietro a noi di alcuni parsec per quanto riguarda la motricità. Sono dei fenomeni a manovrare un joystick o a formattare un computer ma non riescono a fare una capriola e nemmeno si azzardano ad arrampicarsi su un albero. Ma questo, credo, è un dato comune in tutto il mondo occidentale, non penso che in Francia i giovani siano diversi dai nostri e allora perchè quelli vanno a mille e noi siamo fermi? Penso che la differenza la facciano le società sportive in cui i ragazzi vengono formati: due anni fa la società dove giocava mio figlio (U10) è andata in Francia a fare un torneo scoprendo che 1) loro hanno le categorie dispari 2) la loro U11 gioca con la mischia a tre e fanno le touche 3) che è possibile calciare. I nostri ragazzi hanno provato ad adattarsi e qualcosina sono pure riusciti a combinare ma l’organizzazione di gioco dei loro ragazzini di 11 anni da noi se la sognano quasi tutti i ragazzoni di 16. Non penso sia colpa dei ragazzi, devo concludere che la colpa sia di chi i ragazzi li forma.
    Forse sarebbe opportuno che nel minirugby venisse prima di tutto insegnato a muoversi ed a correre, allenamenti di 90 minuti durante i quali i ragazzi stanno fermi per almeno la metà del tempo mentre un allenatore (pieno di buona volontà ma non sempre idoneo a rapportarsi con dei ragazzini) spiega a tre o quattro di loro la complessità di un gesto tecnico mentre gli altri, ovviamente, chiaccherano tra di loro disinteressandosi dei complessi discorsi che l’allenatore rivolge ai compagni, non servono a nulla. Non serve insegnare a placcare, a passare, a fare il sostegno nei raggruppamenti se queste azioni non vengono fatte in movimento ed in velocità. Aumentare l’intensità degli allenamenti dei piccoli è possibile e da questo aumento deriverebbe via l’aumento di intensità di tutti gli allenamenti.
    Più passa il tempo più mi convinco che la pecca più grossa del nostro movimento sta nel fatto che la Federazione investa molto poco, e quel poco spesso in modo superficiale, sulla formazione dei tecnici del minirugby ossia su quelli che per primi accolgono i praticanti e che dovrebbero avere il compito di insegnare ai ragazzi i fondamentali del nostro sport, fondamentali che a mio avviso sono movimento velocità fisicità

    • 6nazioni 7 Aprile 2014, 18:39

      minirugby italiano non esiste, solo tanta buona volontà di allenatori che
      non beccano neanche i rimborsi spesa, volontariato assoluto.
      Grazie che esistono questi appassionati del rugby.
      x la fir buio completo qualche biglietto del 6n….. e stop.

    • gian 7 Aprile 2014, 19:08

      non capisco, quando ero un ragazzino io (una vita fa), loro erano ad anni pari e noi dispari e questo li favoriva (adesso è il contrario, ma il risultato lo stesso), io fin dall’under 11 ho sempre fatto la mischia e la touche, a 5, all’inizio (con MM+MA 2centri e due ali), a 6 a U13 (+estremo nei 3/4), dalla U15 completa, e si spingeva fin da bambini, poi hanno detto che ci si faceva male e l’hanno tolta, si calciava fin dalla U13, prima non era vietato, ma si evitava di farlo fare ai bambini, non ricordo se in U13 si trasformasse o meno, poi dicevano che la differenza gli altri la facevano sui 17/18 anni quando loro cominciavano a giocare davvero e noi rimanevamo in una curva di crescita “infinita” (esperienza personale sui 13/14 anni a livello di club si era ampiamente competittivi in europa, torneo giovanile di tolosa secondi con la U13 quarti con la U15, che poi erano una U12 e U14 per adattarci alle loro categorie, tra una quarantina di squadre francesi e 3/4 anglosassoni) e che all’estero per i bambini era più ludico e meno agonistico quindi assorbivano meglio le basi e quando serviva erano più pronti; tutto ciò per dire che siamo noi che viviamo nella confusione più totale, non c’è un modo giusto o sbagliato di crescere i ragazzi (non un modo assoluto, almeno), c’è il bisogno di far crescere i ragazzi come atleti (non importa il livello a cui arriveranno), noi, soprattutto, non siamo in grado di costruire dei veri competitori, o capiamo questo o è meglio che giochiamo a solitario in cameretta

      • WinstonSmith 7 Aprile 2014, 19:45

        Temo che ricette sicure non ve ne siano ma certo è che la differenza negli ultimi anni è andata via via aumentando: continuo ad essere convinto che per essere dei buoni rugbisti bisogna prima di tutto essere dei buoni atleti e che pertanto formare atleti sia funzionale al formare dei rugbisti. Quando avremo un maggior numero di “atleti” potremmo avere un maggior numero di buoni rugbisti, diversamente dovremmo continuare ad accontentarci dei pochi ragazzi dotati naturalmente che si avvicinano al nostro sport

        • gian 7 Aprile 2014, 19:55

          quoto, poi il professionismo vero, che per molti motivi diversi, nelle altre nazioni coinvolge un bacino di potenziali giocatori molto più ampio che da noi, ha portato al dilatarsi delle differenze

      • Hullalla 7 Aprile 2014, 23:29

        Nei peasi anglosassoni non ci sono anni pari e anni dispari: ogni anno e’ una categoria a se stante (si seguono le classi scolastiche…)

        • gian 8 Aprile 2014, 10:34

          in francia sì, quella volta ci adattammo ai parametri francesi, in giro per il mondo c’è anche il parametro del peso, più che dell’età, se è per questo, che fino ad una certa età ha una sua logica nella formazione di un bambino; e comunque il fatto che si giochi senza delle categorie biennali, nei paesi anglosassoni, è la dimostrazione che il fatto che si sia pari o dispari e gli altri diversi, è uno dei tanti alibi che ci portiamo dietro per spiegare la nostra incapacità di formare (oltre alla mancanza di strutture, educatori, etc etc)

        • boh 8 Aprile 2014, 14:16

          6nazioni, anche dalle altre parti nel minirugby è volontariato puro eppure……

    • Hullalla 8 Aprile 2014, 12:11

      Winston, perche’ non alleni anche tu il minitugby?

      • WinstonSmith 8 Aprile 2014, 17:25

        Temo per il motivo più semplice, non ho il tempo da dedicare a questa attività: due/tre pomeriggi alla settimana per gli allenamenti, due/tre domeniche al mese per le partite, tre/quattro serate al mese per aggiornamenti e riunioni varie. E sto parlando del minimo sindacale perchè gli allenamenti si dovrebbero pure programmare (+ o -) e ci vorrebbe dell’altro tempo. Famiglia con figli ancora da crescere e libera professione si portano via pressocchè tutta la mia giornata, mi piacerebbe da matti poter rimettermi in calzoncini e stare nuovamente assieme ai ragazzi ma per ora non se ne parla proprio. Forse l’anno prossimo un piccolo spazio riesco a ritagliarmelo …

  7. 6nazioni 7 Aprile 2014, 18:33

    Probabilmente non avrebbero sfigurato le zebre,benetton…………
    Paolo stai scherzando. Ho visto e rivisto tutte le partite inutile troppo forti,
    secondo il mio modesto parere anche la nazionale perderebbe e di brutto.
    Ritmi spaventosi troppo forti.
    Viste le panchine una cosa pazzesca,nazionali francesi,irlandesi,S.A. S.A,Scozzesi,
    noi abbiamo 5/6 giocatori di questo livello.

    • Hullalla 7 Aprile 2014, 23:34

      In campo c’erano due Italiani, dei quali uno, Festuccia, e’ gia’ uscito dal giro della nazionale, per cui si suppone che ce ne siano almeno tre piu’ forti di lui (parlo della teoria, eh…) e l’altro all’ultimo Sei Nazioni (a a causa di un infortunio, per carita’…) quando e’ stato convocato e’ partito dalla panchina, per cui non credo sia considerate mille volte piu’ forte degli altri centri…
      C’e’ una differenza di base ed e’ l’ORGANIZZAZIONE delle societa’.

      Ti dico rapidamente una parolina magica e vediamo come reagisci: Progettoapertura.
      Eh, che dici?

  8. FRANCO 7 Aprile 2014, 18:58

    Ho visto ieri sera su Youtube il primo tempo di Inghilterra – Italia del 2001: il primo tempo fini 33-23. Italia capace di fare due break nella difesa dei futuri campioni del mondo e di marcare due belle mete con Denis Dallan e con Carlo Checchinato. Poi ho guardato le highlights di Inghilterra – Italia al mondiale sudafricano del 1995: partita persa 27-20. ottima squadra capace di restare in partita per 80 minuti con la squadra inglese. Dopo qundici anni di 6 nazioni, ho l’impressione che il gap sia rimasto lo stesso, se non peggio proprio a livello di intensita’ di gioco.

    • mistral 7 Aprile 2014, 20:26

      il gap è aumentato perché loro sono migliorati e noi siamo rimasti tali e quali…

      • FRANCO 7 Aprile 2014, 21:29

        Mistral, il crescente divario sarebbe poi una voragine se nel corso di questi 15 anni l’ITALRUGBY non avesse attinto da bacino dei cosiddetti ORIUNDI che, al netto delle loro lontane o vicine origine italiane, sono di fatto il prodotto di culture rugbistiche straniere (Argentini, sudafricani, australiani, neozelandesi, rumeni, francesi, etc…). La lista e’ lunga: Dominguez, Griffen, Stoica, DeMarigny, Carlo del Fava, Carlos Nieto, Castro e Parisse, Pablo Canavosio (Suo l’intercetto in un indimenticabile 18-18 a Cardiff), Gonzalo Canale, Juan Manuel Queirolo, Robertson, “San Quintino” Goldenhuys, e chissà quanti me ne verranno in mente dopo tipo Aoron Persico…alla fine come non sottoscrivere le riflessioni di Marco Bortolami: “non possiamo non renderci conto che le poche (purtroppo) vittorie dell’Italia dall’entrata nel Sei Nazioni, comprese quelle dello scorso anno o del 2007, siano state più il traino al movimento che non la sua naturale espressione di crescita.”

        • mistral 7 Aprile 2014, 21:40

          in italia il professionismo di club non esiste, treviso e zebre/aironi non sono che un tentativo velleitario di tenere il passo delle altre 5 nazioni… solo con il professionismo il livello individuale si alza, la tecnica individuale viene migliorata nei dettagli… ma occorre avere una base larga da cui attingere, una base che nei paesi ovalmente evoluti si crea fin dalle elementari, e che vede (perchè no) nel professionismo dell’alto livello anche una prospettiva di vita (new zealand e isole del pacifico in primis)… per questo intendo che da noi nulla si è mosso, salvo l’iniezione di soldi nell’alto livello nazionale, che ha fruttato gli 80.000 a san siro ed i 60-70.000 all’olimpico… al di sotto c’é il poco o nulla della quotidianità…

          • mistral 7 Aprile 2014, 21:41

            e lo dico con tutto l’enorme rispetto dovuto ad un movimento di base che, nonostante tutto, ancora ci crede e si danna l’anima per andare avanti, anche se non sa bene da quale parte…

          • Hullalla 7 Aprile 2014, 23:38

            Guarda che in Australia non hanno una base cosi’ tanto piu’ ampia di noi… sono altre le carte che giocano per eccellere…

          • mistral 8 Aprile 2014, 13:50

            si, le carte della storia, tradizione, cultura e del dna

    • carlo s 7 Aprile 2014, 21:56

      bravo franco l’ho vista anch’io. Il problema secondo me non è dei giocatori italiani, e dei tecnici anche dei tipi come Munari troppo pieni di se per capire che qui il problema è solo tecnico. Il gap fisico nel tempo è stato colmato manca il gap culturale che si può allenare. Si può allenare all’intensità basta programmare e spendere un po’ di più nella guida tecnica, è meno complicato di quello che appare. Piuttosto che prendere Berquist o il Bue era meglio prendere un bravo tecnico.
      Tutti gli sport minori sono riusciti a colmare il gap tecnico in italia, gli unici che non ce la fanno sono quelli del rugby…
      meditate gente.
      Nonostante tanti oriundi, pseudo oriundi sudfricani etc etc…. qui manca …. il cervello non ce l’ha messo ancora nessuno,.. gli italiani sono bravi, non ci credo che proprio nel rugby ci sia sta penuria di fosforo… e dai su….

  9. nz71000 7 Aprile 2014, 21:04

    Sicuramente la cultura sportiva del nostro paese non ci aiuta….nelle scuole l’educazione motoria è pari a zero…a milano chi fa pratica sportiva agonistica viene guardato con diffidenza dai professori convinti che lo sport sottragga i ragazzi allo studio…mentre la non programmazione scolastica sottopone i ragazzi e bambini ad avere più verifiche nello stesso giorno mentre potrebbero essere spalmate nel tempo, ma, probabilmente non esiste coordinazione tra i vari insegnanti…nella vita quotidiana i bambini vengono parcheggiati con in mano video games…aggiungiamo educatori che amano la propria voce (ho provato a controllare il tempo di lavoro dei ragazzi confrontandolo con il tempo di intervento di allenatori o educatori e ho constatato che siamo a 3 minuti di lavoro e 7 di interventi/monologhi dei presunti tecnici)…se vogliamo partite giocate nel ritmo e intensità gli allenamenti devono essere il più possibile vicini al ritmo partita…aggiungiamo poca scrupolosità degli allenatori/educatori nel fare eseguire i gesti tecnici che troppe volte hanno fretta di aggiungere per mostrare conoscenza e sapienza…beh…mi sembra che ci sia molto su cui migliorarsi!!!! Questa è solo una parte della mia modestissima opinione!!!!!

  10. balin 7 Aprile 2014, 21:31

    probabilmente se si parla della migliore Benetton ci si riferisce almeno a quella che l’anno scorso con le unghie e con denti all’80° ha battuto gli Ospreys in HC, intensità e determinazione mai visti quest’anno

  11. FRANCO 7 Aprile 2014, 21:41
  12. aldo 7 Aprile 2014, 23:37

    Nn abbiamo intensita, allenatori, arbitri, campi, spogliatoi, sedi .. la federazione nelle franchigie investe un bdg 4 mln quando tolosa e simili hanno bgt di 20 mln

  13. Hullalla 7 Aprile 2014, 23:46
  14. Hullalla 7 Aprile 2014, 23:48
  15. Hullalla 7 Aprile 2014, 23:51
    • mezeena10 8 Aprile 2014, 08:51

      la mia preferita di velasco è: “chi vince festeggia, chi perde spiega!”..

  16. Giovanni 8 Aprile 2014, 01:03

    Negli interventi ci sono alcune considerazioni interessanti, altre giuste e qualcuna eccessiva. Io dei primi 6N ricordo, tra le altre cose, 80 punti presi a Twickenham ed asfaltate tremende anche in casa: un 45-9 dall’Inghilterra, un 50-8 dalla Francia e così via. Quindi non è proprio esatto dire che non siamo migliorati rispetto a 10-15 anni fa. E’ vero invece che quest’anno siamo tutti molto delusi sia dai risultati della Nazionale (10 sconfitte nelle ultime 11 partite) che da quelli del Benetton (dal 7°posto dello scorso anno all’attuale penultimo). Però non cancelliamo d’un colpo le cose positive: la Francia l’abbiam battuta l’anno scorso e tre anni fa, nei 60 anni precedenti ci era riuscito una volta sola e siamo da 4 anni nella CL e gli effetti si son sentiti. Son d’accordo con chi sottolinea i gap di cultura sportiva e di formazione nell’eta scolastica, rispetto alle altre Nazioni, però non dimentichiamo che la citata pallavolo, oltre Velasco, ebbe pure l’esplosione simultanea di una generazione di fenomeni: Bernardi, Lucchetta, Zorzi, Cantagalli, Giani, Gardini, Tofoli. Nel rugby è più complicato perchè si gioca in 15 e non bastano 8-9 campioni per fare una squadra vincente ne servono almeno il triplo. Poi c’è anche una componente in più: in altri sport di squadra se si commette un errore c’è quasi sempre la possibilità di rimediare, nel rugby è più difficile. Basta un attimo per rovinare 60-70 minuti di una buona prova: quante volte lo abbiamo visto in questi anni? Ed allora, oltre alla base limitata di praticanti, oltre alle strutture inadeguate o fatiscenti, oltre ai tecnici non sempre all’altezza, c’è anche da aggiungere la tenuta mentale. Quella che, per fare un esempio, gli argentini hanno: quante volte li abbiamo visti “sbracare” in questi anni? Io ricordo solo contro SA ad agosto, mentre a noi è successo più volte. E spesso ad un primo errore, ne aggiungiamo subito altri, rendendo vana qualsiasi speranza di recupero. La partita di Parigi ne è un esempio. Poi ci sarebbe da considerare l’approccio a competizioni come Heineken e Amlin, viste più come un obbligo fastidioso di cui disfarsi in fretta che non come un ulteriore opportunità di crescita e di confronto. Insomma i motivi del nostro ritardo, nell’era del professionismo, sono tanti, affrontarli tutti assieme non è semplice, ma aggrapparci agli alibi ed ai 70mila dell’Olimpico serve solo a farci del male.

    • San Isidro 8 Aprile 2014, 03:18

      purtroppo di “sbracata” argentina c’è anche quella di Rosario con i Wallabies…lasciamo perdere i TM estivi con l’Inghilterra visto che li giocavano con pochi titolari effettivi…ah, c’è anche la batosta di Cardiff a Novembre…vabbè comunque sempre meno di noi, tant’è che all’Olimpico ci hanno battuto senza dieci titolari e nove giocatori domestici nei 23…

    • acdxer 8 Aprile 2014, 12:54

      A mio avviso il problema principale è proprio nell’educazione motoria di base. Ho assistito ad Italia-Irlanda under 18 poco tempo fa e le differenze di mobilità laterale ed abilità nella corsa erano evidenti. In occasione di una loro meta su recupero una loro terza linea ha superato sia nello scatto breve che nella progressione un’ala italiana.

  17. alava 8 Aprile 2014, 08:50

    Sono di una piccola società in provincia di Bergamo. Non abbiamo un campo , ci dobbiamo a contare degli avanzi della società di calcio locale. Nonostante tutto abbiamo 50 giovani. siamo gemellati con una squadra Francese, 150 minirugbysti/e 22 allenatori , 3 campi. Non è che la differenza stia qui
    forse noi siamo troppo piccoli ma se non veniamo aiutati c’è poco da fare anche a livelli alti. Non si investe nel minirugby. E pensare che abbiamo un plesso scolastico con 1800 studenti ed un campo in parte inutilizzato
    potessimo avremmo già una 16/18 sia maschile che femminile.
    Mia figlia gioca a rugby , è una U14 non vi dico i km…
    Ciap

Lascia un commento

item-thumbnail

Gloucester, il tecnico Skivington: “Benetton forte e pieno di Nazionali. Gioca diversamente rispetto agli inglesi”

Il director of rugby degli inglesi: "La sfida è adattarsi a un avversario diverso da quelli di Premiership"

2 Maggio 2024 Coppe Europee / Challenge Cup
item-thumbnail

“Il fine settimana più importante nella storia degli Harlequins”

Lo dice Alex Dombrandt, il numero 8 del club londinese che per la prima volta si gioca una semifinale di Champions Cup

2 Maggio 2024 Coppe Europee / Champions Cup
item-thumbnail

Il derby personale di Stephen Varney: “Questa settimana non ho amici al Benetton”

Il mediano di mischia protagonista della sfida tra i biancoverdi e il Gloucester, dove milita

2 Maggio 2024 Coppe Europee / Challenge Cup
item-thumbnail

Champions Cup: l’analisi di Leinster-Northampton e Tolosa-Harlequins

Due semifinali con oltre 100000 spettatori fra Dublino e Tolosa

1 Maggio 2024 Coppe Europee / Champions Cup
item-thumbnail

Challenge Cup: l’analisi di Sharks-Clermont e Gloucester-Benetton

Prima semifinale per i sudafricani, Treviso per la finale di Londra

1 Maggio 2024 Coppe Europee / Challenge Cup
item-thumbnail

Challenge Cup: gli arbitri della semifinale tra Gloucester e Benetton

La sfida tra gli inglesi e i biancoverdi sarà diretta da uno dei fischietti più quotati del momento

24 Aprile 2024 Coppe Europee / Challenge Cup