Come funziona l’attacco dell’Italia che ha stupito tutti

Una struttura di gioco in grado di produrre marcature stupende, come testimoniano i due premi di meta della settimana

Ange Capuozzo, talismano dell’attacco azzurro, segna la meta decisiva in Italia-Australia – ph. Sebastiano Pessina

Nella sostanziale sorpresa dei più, l’Italia ha vinto per due settimane consecutive la palma per la meta più bella della settimana.

Un premio al quale gli Azzurri non sono particolarmente adusi: anche nei propri periodi migliori, non sono mai stati una squadra particolarmente spumeggiante. Anzi, spesso le qualità riconosciute al rugby italiano sono quelle legate alla combattività, alla durezza, al cuore e all’orgoglio trasformati in un’attitudine appassionata e feroce in campo. Un paradigma che la nazionale di Kieran Crowley ha sovvertito con due partite belle e nitide come la fotografia di un film di Sorrentino.

Il capo allenatore neozelandese della nazionale è in carica da giugno del 2021, ma in effetti il suo lavoro è incominciato a novembre dell’anno scorso con il trittico di test match che vide gli Azzurri opposti a All Blacks, Argentina e Uruguay. Se la prima parte del tragitto percorso sotto la guida dell’ex tecnico del Benetton è stata dedicata a costruire un sistema difensivo più efficace del precedente (la media punti subiti per partita è di 28,77 contro i 39,4 sotto Franco Smith e 33,53 con Conor O’Shea), adesso è giunto il momento di parlare dell’attacco dell’Italia.

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Il sistema offensivo 2-4-2

Se l’appassionato calcistico si affeziona all’idea del modulo con cui gioca la sua squadra, il diretto equivalente rugbistico è legato alla distribuzione degli avanti sul campo.

Gli otto giocatori del pacchetto di mischia si schierano sul campo in posizioni più o meno prefissate con l’obiettivo di dare una struttura alla manovra offensiva che consenta a tutti e 15 i giocatori di rendere più efficace l’attacco.

L’Italia utilizza una variante fluida della struttura 2-4-2 storicamente molto cara al rugby neozelandese, in particolare alla squadra di Canterbury e ai Crusaders, ma vista in Europa anche per mano del Connacht di Pat Lam (campione del Pro14 2015/2016) e del Grenoble allenato dall’irlandese Bernard Jackman all’incirca un lustro fa.

Rispetto alle altre strutture offensive più in voga, come l’1-3-3-1 (utilizzato ad esempio dall’Italia di O’Shea) e l’1-3-2-2 (usato dagli Azzurri con Franco Smith), il 2-4-2 è un tipo di struttura non rigida, che permette ai giocatori di esprimere le proprie abilità e di prendere tante diverse decisioni tattiche in base alla lettura della difesa.

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Il 2-4-2 classico, come introdotto nel Super Rugby dai Crusaders, prevede un gruppo centrale di avanti (un pod) formato da 4 giocatori in mezzo al campo, dietro al quale agisce un playmaker, uno dei trequarti. Sui lati del campo, nella zona della linea dei 15 metri, stazionano invece due gruppi speculari composti da due avanti, solitamente terze linee e tallonatore.

L’Italia di Crowley mischia invece un po’ le carte, non utilizzando i due avanti esterni nello spazio, ma tenendo sempre almeno uno molto vicino alla zona centrale, come opzione per il secondo playmaker. Una scelta dovuta alle caratteristiche degli interpreti, così come quella di permettere un avvicendamento continuo fra chi si trova al centro e chi invece gioca sui lati. I due piloni e la seconda più pesante (Sisi o Cannone) rimangono sempre al centro, mentre a Federico Ruzza viene permesso di far valere le proprie skills nello spazio e Michele Lamaro è invece un jolly che non disdegna di essere protagonista sia in mezzo al campo che sui lati dello stesso.

In questo fermoimmagine da Italia-Australia, vediamo la distribuzione degli avanti azzurri: Lorenzo Cannone e Gianmarco Lucchesi sono coinvolti nell’area del contatto su un lato del campo. Un pod di quattro giocatori è pronto a ricevere il pallone da Tommaso Allan, mentre Seb Negri e Federico Ruzza lavoreranno successivamente. Luca Morisi, con le scarpette gialle è il playmaker dietro il pod.

L’Italia al lavoro

Il pod centrale di quattro giocatori consente una grande varietà di soluzioni offensive che lascia la difesa sempre con molti quesiti a cui rispondere.

Nelle due clip qui sopra si possono vedere all’opera diverse varianti. Nella prima l’Italia gioca una situazione off 9, ovvero un pallone agli avanti direttamente dal mediano di mischia, con il secondo giocatore del pod. Da questi, il pallone va al playmaker in asse, che può compiere a sua volta la scelta di servire il quarto avanti con un angolo stretto o servire ancora un giocatore della linea arretrata dietro la schiena.

All’inizio della seconda il pod riceve invece il pallone dal numero 10 (off 10), ma ad essere servito è il terzo componente del gruppo degli avanti, che fissa la difesa e immediatamente a ridosso serve il quarto per un buon avanzamento centrale che spezza in due il campo. L’Italia può sfruttare uno dei benefici della sua struttura offensiva tornando a giocare dal lato chiuso, dove ci sono i due avanti, Lucchesi e Cannone, tornati attivi dopo la fase precedente.

Si configura quindi una situazione identica a quella iniziale, con palla sul lato. La situazione off 10 vede ancora un passaggio al terzo giocatore, che stavolta non serve il quarto ma gioca dietro la schiena per il playmaker, con i due avanti esterni a lavorare su quel pallone.

Il lavoro del quarto giocatore, dunque, diventa estremamente importante. Partendo leggermente più profondo rispetto ai 3 compagni più vicini, ha una funzione sempre diversa: può essere bersaglio di un passaggio esterno del terzo, portatore su un passaggio del playmaker dopo un pull back pass, finto penetrante all’esterno del playmaker per stringere la difesa e giocare al largo.

Stack

Rispetto al classico 2-4-2, l’Italia apporta due aggiustamenti. La prima, lo abbiamo visto, è l’utilizzo dei due avanti esterni dentro il campo e non sulle fasce laterali come fanno, ad esempio, i Crusaders: almeno uno dei due è sempre destinato a dare una linea di corsa con un angolo chiuso quando il pallone viene al largo. La seconda è l’utilizzo degli stack per i trequarti che agiscono sulla seconda linea d’attacco.

Le difese del rugby contemporaneo sono iperaggressive e basano il proprio successo sulla capacità di mangiare spazio all’attacco salendo molto velocemente, in particolare quando il pallone è in volo tra un passaggio e l’altro, leggendone la traiettoria e andando a prendere il giocatore destinatario, mettendolo nel mirino.

Cosa succede, però, se la difesa quel destinatario del passaggio non può vederlo fino a quando non è ormai troppo tardi?

In entrambe le due mete premiate come segnatura della settimana delle Autumn Nations Series, i trequarti italiani rimangono nascosti fino all’ultimo secondo, non dando riferimenti alla difesa e sfruttando le loro ottime qualità di velocisti per invadere lo spazio mentre il pallone va allargandosi, fino a trovare inevitabilmente spazio dove inserirsi.

Nei 22 metri avversari l’Italia cambia modo di giocare. Non più 2-4-2, ma gruppi di tre giocatori che percuotono la difesa attaccando per linee dirette. Fuori, i trequarti organizzano una combinazione brillante con i due centri che attaccano alti, Pierre Bruno che mantiene la larghezza del campo e uno stack composto dall’ala opposta (Ioane) e dall’estremo (Capuozzo).

La difesa australiana cade nonostante sia ben più arcigna di quella samoana, ma nella clip della meta di Pierre Bruno possiamo vedere in azione si la struttura offensiva che lo stack dei trequarti, ovvero il loro allineamento verticale in preparazione della situazione da giocare.

Pierre Bruno mantiene come sempre la larghezza con i piedi sulla linea laterale del campo, mentre la difesa samoana, vedendo solo quello che appare come un grumo di giocatori di fronte a sé rimane stretta, permettendo poi ai giocatori nello stack di fare la differenza

Poche novità

Dopo la vittoria di Firenze, in conferenza stampa, Kieran Crowley ha risposto ad una domanda sullo sviluppo dell’attacco dell’Italia dicendo che lo staff sta lavorando al nuovo sistema offensivo da dopo il Sei Nazioni, ma che c’è voluto tempo e fiducia da parte dei giocatori per metterlo in pratica con successo.

In effetti in questa clip di Georgia-Italia di luglio si può già vedere in azione l’ormai noto pod con quattro giocatori, dopo il punto d’incontro contrario al senso di gioco. L’esecuzione, però, è un po’ più approssimativa rispetto a quelle viste nelle due partite di novembre.

Come ha tenuto a sottolineare Michele Lamaro, i migliori risultati di questa finestra autunnale non sono frutto di un improvviso click che fa girare tutte le cose per il verso giusto, ma di un lavoro insistito, quotidiano e di cesello sui dettagli del sistema offensivo.

Sono quattro, però, gli aspetti fondamentali che hanno consentito all’Italia di migliorare in maniera così palpabile a distanza di quattro mesi: un lavoro sulle skills individuali, in particolare sul catch and pass ravvicinato da parte dei trequarti e sui pull back passes degli avanti, che ora sfidano molto di più la linea difensiva costringendola a farsi fissare; una rinnovata fiducia e una appropriazione da parte degli interpreti di quello che stanno facendo in campo, con un lavoro mentale non da poco che nasce probabilmente proprio dalla frustrazione di una brutta estate; un possesso quantitativamente e qualitativamente ottimo, grazie a fasi statiche ben funzionanti e ad un ottimo lavoro sul punto d’incontro, con il pallone che esce velocissimo; l’abbinamento rispetto agli avversari.

Samoa è una squadra poco strutturata difensivamente, con ottime individualità ma scarso tempo e modo di lavorare insieme per darsi gli strumenti adatti a sfidare il sistema azzurro. L’Australia, invece, ha deciso di contendere poco il possesso sul punto d’incontro ed è stata fisicamente battuta a livello di collisioni, oltre a non aver messo mai pressione agli Azzurri nel gioco aereo quando in possesso di palla.

Adesso per l’attacco azzurro arriva un nuovo esame, ancor più difficile dei precedenti. Il Sudafrica ha una delle difesa più forti al mondo, è una squadra difficile da battere sugli impatti, che ama mettere i bastoni fra le ruote al breakdown, è di livello elitario nelle fasi statiche, e fa del continuo uso del piede e della contesa aerea uno dei suoi marchi di fabbrica. Una sorta di possibile kryptonite con la quale l’Italia dovrà accettare di confrontarsi su terreni fino ad oggi sfavorevoli. Questa squadra, però, ha dimostrato di saper sovvertire gli stereotipi che l’hanno sempre contraddistinta.

Lorenzo Calamai

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