Italia Under 20: Cosa resta di questo Sei Nazioni?

Un bilancio su quanto fatto vedere dagli azzurrini nelle cinque partite del Championship di categoria

Italia Under 20: Cosa resta di questo Sei Nazioni? (Ph. Federugby)

Italia Under 20: Cosa resta di questo Sei Nazioni? (Ph. Federugby)

È stato un mese intenso, a dir poco, per i ragazzi dell’Under 20, impegnati a Cardiff nell’inedito Sei Nazioni di categoria in sede unica (tutte le gare all’Arms Park).

Cinque partite che hanno permesso ai ragazzi più promettenti delle Tier 1 europee di tornare finalmente in campo con continuità sul palcoscenico prodromico a quello internazionale.

L’Italia, in questo contesto, non ha sfigurato. Anzi, al di là di una serie di dettagli da limare ed alcune cose da migliorare, il Sei Nazioni dell’Italia Under 20 si può generalmente considerare positivo.

Per contro, alcuni dettagli hanno impedito di raccogliere dei risultati (1 vittoria da record e 4 sconfitte, seppur tutte giunte in volata) ancora più importanti: spesso è mancata la necessaria freddezza per dare il colpo di grazia agli avversari quando necessario, la troppa frenesia ha portato ad errori evitabili e non sempre le scelte tattiche ma soprattutto quelle strategiche dal campo si sono rivelate azzeccate (ad esempio, il non piazzare contro il Galles o l’insistere con la mischia contro la Francia per poi prendere un calcio contro in attacco), ma si tratta di cose sulle quali si può assolutamente lavorare per permettere a questo gruppo – seppur spaiato, visto che purtroppo non ci sarà il Mondiale – di continuare a crescere e aggiungere qualità al nostro movimento.

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Continuità e difesa

Forse la principale “novità” portata dai ragazzi di Brunello. L’Italia si è mostrata competitiva e sempre in partita in tutti i 5 incontri disputati: pur con qualche fisiologica flessione, gli azzurrini non sono mai usciti dai match, ma hanno saputo soffrire e tenere duro anche in situazioni difficili (in 14 e poi addirittura in 13 contro l’Inghilterra) senza “sbracare”, concedendo raramente punti facili agli avversari.

Non è un caso che l’Italia sia stata l’unica squadra – assieme all’Irlanda – a mettere seriamente in difficoltà l’Inghilterra del Grand Slam per 80′ (la Francia era durata un tempo) tenendo duro anche quando il match rischiava di scivolare via verso l’imbarcata. Gli azzurrini hanno chiuso il torneo con una differenza punti in attivo (+4) e la seconda miglior difesa del torneo, dietro solo all’Inghilterra: basterebbe questo a far capire la portata del torneo disputato.

La profondità del gruppo

Dovendo giocare 5 partite a distanza di 6 giorni l’una dall’altra, non potevano certo bastare solo 15 giocatori di livello. Certo, Massimo Brunello di è affidato con costanza, dal 1′, ad un’ossatura piuttosto stabile in termini di titolarità, ma il gruppo degli azzurrini ha dimostrato di poter mantenere (quasi) invariata la qualità e la competitività pur cambiando formazione: mescolando le carte in tavola l’Italia è stata sempre in grado di giocarsela più o meno alla pari, con la panchina che ha dato il suo apporto aggiungendo (spesso) qualità nei secondi tempi. In particolare, in alcuni ruoli chiave come la prima linea o la mediana, pur cambiando l’ordine degli addendi il risultato non è (quasi) mai mutato: del resto, se quando fai uscire Neculai puoi mettere dentro Hasa, e viceversa, diventa tutto molto più facile.

Le fasi statiche

Mischia: bene, benissimo a tratti, con più soluzioni in ogni ruolo e più giocatori che si sono messi in mostra. Primo tra tutti Ion Neculai, devastante contro l’Inghilterra e sempre con consistenza superlativa nell’arco della competizione, e poi Hasa che nello stesso ruolo ha tenuto sempre a livelli altissimi lo standard azzurro. Stessa cosa anche dall’altra parte con Rizzoli e Spagnolo, mentre i due tallonatori – Baldelli e Di Bartolomeo – hanno lavorato discretamente bene in chiusa ed in campo aperto, trovando qualche difficoltà in più invece nel gestire il lancio in touche (anche se le responsabilità sono da condividere anche con i saltatori). Forse, i numeri 2 peccano in mera struttura fisica per poter impattare anche al piano di sopra, ma ci si può lavorare.

La rimessa laterale con il lancio a proprio favore invece è stata probabilmente il tallone d’Achille di questa nazionale, al pari di percentuale dalla piazzola ed indisciplina. Molti, troppi errori non forzati su lanci talvolta non contesi dagli avversari, in situazioni chiave degli incontri. Molto meglio in difesa, con Nicola Piantella che è stato una vera e propria spina nel fianco per le rimesse avversarie.

Mediana e trequarti

Se il pacchetto ha fatto il suo, il reparto arretrato non è stato da meno, anzi. Ottime giocate in attacco -brillante il feeling tra diversi dei trequarti, in grado di proporre con costanza combinazioni efficaci -, ma anche notevole concretezza – seppur con ancora qualche placcaggio di troppo sbagliato – in difesa. Simone Gesi ha rappresentato l’esplosività e l’imprevedibilità degli azzurrini: mai lasciargli tra le mani un pallone vagante, perché può diventare devastante. Dall’altra parte Flavio Pio Vaccari non è stato da meno, con la bellissima cavalcata contro la Scozia a suggellare un torneo di alto livello. Insieme a loro, accomunati dalla capacità di battere (almeno) il primo avversario, c’è anche un superbo Tommaso Menoncello, sempre presente sia da ala che da secondo centro.

A proposito di centri, tanti placcaggi, tanta legna ma anche tanta qualità in attacco per Filippo Drago, uno dei migliori della spedizione azzurra. Fondamentale sia in difesa che in fase offensiva, il centro permit dei Leoni ha spesso messo grandi quesiti sulla linea difensiva avversaria, alternando corrosive cariche in prima persona (assorbendo spesso più di un uomo, aprendo poi lo spazio per le schegge del nostro triangolo allargato), ad una buona trasmissione dell’ovale, nonché all’utilizzo più che valido del piede. A proposito di triangolo allargato: Lorenzo Pani ha fatto un torneo strepitoso. Partito come riserva, ha saputo conquistare il posto da titolare con una grande partita contro la Francia, mostrando un piede potente e gambe eccellenti palla in mano. Infine, non si può dimenticare il lavoro che ha fatto Fabio Schiabel in difesa ogni volta che è stato chiamato in causa, soprattutto contro l’Inghilterra.

Se il reparto arretrato è riuscito a performare bene, va dato merito anche e soprattutto alla mediana: Albanese e Garbisi, pur vivendo entrambi anche alcuni momenti no, hanno dato ritmo e qualità, garantendo insieme un buon apporto per tutti gli 80 minuti. Il primo – player of the match contro la Scozia – ha mostrato di avere un gran motore e una discreta affidabilità gestionale – benché con talvolta eccessiva frenesia -, mentre se dal punto di vista del ritmo Garbisi può salire ulteriormente di colpi d’altro canto ha già dimostrato di avere un piede molto affidabile dalla base, fondamentale nel quale non sempre i mediani di mischia italiani hanno eccelso.

All’apertura, Marin ha mostrato una capacità eccellente di attaccare la linea in prima persona. Per contro, gli errori dalla piazzola hanno pesato non poco, e purtroppo a questi livelli diventa difficile competere senza un calciatore affidabile. Il fatto che siano state provate diverse soluzioni nelle varie partite – Marin, Albanese, Garbisi, Ferrarin – fa capire quanto il problema dei calci abbia pesato nel risultato finale degli azzurrini. Solo Ferrarin contro l’Inghilterra si è dimostrato affidabile, e i punti portati dal suo piede si sono rivelati fondamentali per restare in partita fino all’ultimo.

Breakdown e disciplina

Croce e delizia della nostra nazionale. Gli azzurrini sono stati furiosi e battaglieri nei punti d’incontro – talvolta sin troppo – rallentando diversi possessi degli avversari in zona rossa, quando in difesa in trincea – anche con falli professionali, intelligenti in determinati frangenti di emergenza -, e togliendo loro abbrivio. Il più attivo in questo senso è stato Lorenzo Cannone, ma tutta la terza linea ha dato un apporto di rilievo, con anche i due flanker Vintcent e capitan Andreani. Spesso, però, tale straordinario tasso di attività sul punto d’incontro, macchiato da una foga eccessiva, si è tramutato in indisciplina fuori controllo, con troppi falli “gratuiti” concessi, lontano da situazioni di reale pericolo avversario.

È successo in particolare contro i gallesi (19 falli di cui 7 nei raggruppamenti), con gli azzurrini che hanno faticato ad adattarsi al metro arbitrale. È successo però anche nelle altre 4 partite: 12 falli (5 nel breakdown) contro la Francia, 13 (di cui 9 nel breakdown) concessi anche nella roboante vittoria con la Scozia, 17 (10 nei raggruppamenti) contro l’Irlanda e 16 contro l’Inghilterra, di cui 5 nel breakdown. Dati che complicano la possibiltà di giocarsela contro squadre di questo livello, nel caso abbiano una consistenza anche solo in linea alla tua.

In conclusione, alla fine di questo Sei Nazioni under 20 gli azzurrini, seppur con l’amaro in bocca per quello che avrebbe potuto essere e non è stato (quarto posto alla portata, forse addirittura pure il terzo) possono dirsi promossi: i risultati ottenuti dall’Italia, e soprattutto le prestazioni offerte, devono rappresentare un punto di partenza per continuare l’evoluzione di questi ragazzi, con l’obiettivo a lungo termine di essere competitivi anche sul palcoscenico internazionale seniores. Allo stesso modo, tutti gli errori commessi andranno analizzati nel dettaglio e dovranno rappresentare uno dei focus del lavoro di Franco Smith, nuovo responsabile dell’alto livello: trovare la strategia operativa migliore per consolidare quanto di buono, e limare ogni aspetto che ha mostrato delle lacune, anche le più piccole, perché al piano di sopra non sono ammesse.

Francesco Palma

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