Sir Jonny Wilkinson e il dubbio di Warren

Warren Gatland nel 2013 sta finendo di definire la rosa dei British and Irish Lions da portare in Australia. Non sarà così facile.

Jonny Wilkinson

Jonny Wilkinson

Nel 2013 Warren Gatland sta terminando di selezionare i suoi British and Irish Lions. Non mostra grossi dubbi, non fino ad una semifinale di Heineken Cup. L’Anonima Piloni vi racconta di come un discreto numero 10 inglese, in un pomeriggio inglese, metterà in difficoltà il coach neozelandese

Warren Gatland, seduto, guarda fisso il campo. Osserva. Scandaglia.
Gli mancano gli ultimi ritocchi per i suoi Lions. Si è preso avanti, d’altronde gli avversari li ha sempre affrontati così, anche durante il Sei Nazioni, formazione già annunciata quattro giorni prima della partita. È sicuro, può sembrare tracotante, ma non lo è. Coraggioso e con gli attributi, come vedremo. La sua formazione ce l’ha già in mente, ma ci sono tre o quattro pedine importanti da osservare ancora un po’, ancora per ottanta minuti almeno.

Twickenham non è esaurito, non sta giocando l’Inghilterra. È “solo” una semifinale di Heineken Cup, quella tra i Saracens e la corazzata Tolone, non c’è nessun giocatore vestito di bianco, nessuna rosa sul cuore, magari la prossima volta. Però ci sono i Saracens, squadra solida, quasi sudafricana nell’anima, impenetrabile o quasi in difesa. È in pratica l’ossatura della prima Inghilterra di Stuart Lancaster, soprattutto per quel che riguarda i trequarti. Gatland ha già messo il circoletto rosso su Brad Barritt, centrone. Non sarà tra i primi convocati, i Lions tra i centri sono più che a posto, ma Gatland se lo chiama quando si rende conto che gli infortuni, in un tour lungo e disseminato di trappole, sono come le ciliegie. In prima linea osserva bene il ragazzino Mako Vunipola e il “vecchio” Matt Stevens, che a Watford sta vivendo una seconda giovinezza.

E poi c’è la questione apertura.
Gatland ha già praticamente scelto il suo titolare, Johnny Sexton. Sexton è un fenomeno, non è il degno erede di O’Gara, lui ha imparato molto di più da Felipe Contepomi, uno che a Dublino ha lasciato un grosso segno. Vede gli spazi, attacca la linea. Perfetto per quella Santa Barbara di trequarti che Gatland si vuole portare in Australia. Addirittura gli toglie la pressione dei calci, affidati a Leigh Halfpenny. Solo che ha bisogno di un degno sostituto, principalmente per i match contro le franchigie, ma che gli possa tornar buono in caso di necessità. In verità ci sarebbe già Stuart Hogg, estremo scozzese, che a 10 sa giocare e ha pure un buon piede, ma non è abbastanza. E allora il buon Warren ha puntato tutto sul numero dieci dei Saracens. È il figlio di una leggenda del rugby league inglese, Andy Farrell, che negli ultimi anni farà lo switch e passerà allo union. Farà in tempo ad essere vice-campione del mondo. Si chiama Owen, il ragazzo, Owen Farrell, e ha le stimmate del fuoriclasse. È diverso dal padre, Owen, è biondo, quando mira ai pali ha lo sguardo timido e l’occhio languido, il padre in certe scorribande sembrava veramente Conan il Barbaro. Ma la palla va dove dice lui, alla mano o al piede. Caratterialmente si deve ancora sgrezzare, dopotutto è un ragazzino di 22 anni, ma si è fatto un paio di stagioni da ragazzo di bottega ai Saracens a imparare da un maestro come Charlie Hodgson. Sembra pronto per la grande ribalta ovale, per alcuni lo è già.
In verità Farrell ha già un piede e mezzo nei Lions, ma Gatland lo vuole vedere all’opera contro Tolone perché lì, dall’altra parte, c’è un avversario che potrà dire molte cose di lui. Inglese e biondino, peraltro, anche lui ha una certa dolcezza nello sguardo. E anche lui con una certa dimestichezza con la tomaia. Gioca a Tolone dal 2009, nel parco giochi di Mourad Boudjellal, imprenditore che da qualche anno ha accelerato e vuole una squadra di fenomeni. Negli anni del suo impero mette sotto contratto tra gli altri Bakkies Botha, Carl Hayman, Lobbe, Masoe, Roussow. Si potrebbe andare avanti ancora a lungo. Ma Boudjellal esagera alla voce “mediani di apertura”: si porta a casa Matt Giteau, fenomeno australiano per cui in patria faranno una legge ad hoc per riportarlo in Nazionale giusto in tempo per i Mondiali 2015, Frederik Michalak, nazionale francese, ottimo anche come numero 9, e il biondino inglese di cui sopra. Che ha giocato per una vita a Newcastle affrontando pali, avversari e spalle capricciose, vincendo casomai una Coppa del Mondo e arrivando praticamente da solo in finale nel 2007. Si chiama Jonathan Peter Wilkinson, altre spiegazioni forse non sono dovute.

Qualcuno ha fatto notare a Gatland che quel 10 di Tolone potrebbe fare ancora al caso suo, Gatland abbozza. Vuole guardarsi la partita. Che non lascia molto allo spettacolo. I Saracens giocano stretti anche quando sfruttano i trequarti, nonostante dietro ci siano due frecce come Ashton e Strettle. Il Tolone invece sembra non rendere come potrebbe. A detta di molti ha sempre il problema del gioco. Qualche giornalista inglese li ha definiti Galácticos, con chiaro riferimento al Real Madrid di Florentino Perez. Tanti fenomeni, tante “figurine”, ma gioco latitante, o almeno non all’altezza dei nomi. La cosa è in parte vera, perché dietro Giteau, Armitage, lo stesso Wilkinson avrebbero tutto per rompere le partite, ma sembrano avere il freno a mano tirato. Ne viene fuori una battaglia in trincea, di altissimo livello, ma in trincea. E a decidere il tutto, a tramutare in oro il lavoro sporco, ci devono pensare Farrell e Wilkinson. Il giovane Owen ha numeri pazzeschi, gioca bene, è quasi al livello di sir Jonny.
Quasi, però.

Perché Jonny Wilkinson avrà pure 34 anni, sarà pure acciaccato e col passare degli anni le sue partite normali staranno anche rimontando per numero quelle straordinarie, ma quando deve prendere per mano i compagni diventa uno sherpa. Non sbaglia nulla, né dalla piazzola né tatticamente.
I Saracens davanti hanno la possibilità, ad inizio ripresa, di mettere alle corde il Tolone, che rimane anche in 14 per il giallo comminato a Danie Roussow. Farrell sigla il 12 a 15 e poco dopo avrebbe la possibilità di lanciare in meta i suoi: buco di Vunipola in mezzo al campo, il Tolone è costretto ai 5 metri. C’è superiorità al largo, Owen carica il passaggio, ma lo cicca clamorosamente e commette in avanti.

Ecco, se c’è una cosa che non devi fare, almeno quando hai a che fare con dei vecchi filibustieri come quelli di Tolone, è gettare al vento le occasioni. Perché da questo momento in poi gli ospiti si ricompattano e non fanno più passare uno spillo. Lobbe è in ogni raggruppamento, Bakkies Botha non lo vedi ma lo senti, eccome se lo senti. Roussow, prima e dopo il giallo, idem.
E poi ci pensa Jonny.
Dai due palloni a Jonny ed è come metterli in cassaforte.
Tipo quando Masoe costringe un inglese al tenuto e lui posiziona la piazzola nella sua metà campo. Palla in mezzo ai pali con i suoi ancora in 14.
Ecco, la vincono qui, la partita, ma in campo ancora è presto per saperlo.

Da qui in poi, però, i francesi tirano giù la serranda in difesa, non passa più nessuno.
Solo che per chiudere un match del genere non basta più una prestazione mostruosa del pack, non basta più il sacrificio in ogni raggruppamento. C’è bisogno di qualcosa di definitivo. Anche perché 74 minuti di sportellate sono tanti, e non sono per tutti.
Toulon è appena fuori dai 22, Tillous-Borde sta buttando dentro i suoi avanti. Butta dentro anche Bastareaud, che pesa più dei suoi avanti ma che di professione fa il centro. Poi fuori la palla ai trequarti. Wilkinson è schierato piatto, è fermo sulle gambe, troppo fermo per lanciare la linea in modo efficace.
Forse, quel passaggio, non se lo aspetta nemmeno.
Farrell gli è davanti e punta la sua gamba destra.
Tutti, al suo posto, farebbero quel movimento. E tante altre aperture, se braccate così, cadrebbero con la palla in mano.
Ecco, altre aperture.
Jonny no.
Farrell è sospeso a mezz’aria, questione di decimi di secondo.
Jonny rientra sul sinistro e spara il drop.
Farrell lo prende, i due rotolano a terra.
Poi guardano i pali.
La palla è entrata.

Il giovane Owen si dispera e batte i pugni a terra, Jonny lo aiuta a rialzarsi e lo consola con una pacca sulla spalla.
Forse un giorno capiterà anche a te, ragazzo.
Forse un giorno anche tu sarai un vecchio maestro da mettere da parte, uno spettro di carne da sconfiggere insieme alle paure del ventenne di turno. E forse un giorno ti ripeterai con lui. Oggi tocca a me, if you please.
Twickenham ha un fremito. Perché è impossibile che un drop di Wilkinson non scateni fremiti, ovunque tutto questo succeda. È un riff di chitarra di Keith Richards, è una ragazza che ti ricorda che in certi giorni il mondo non è poi così male, è una birra con gli amici dopo una giornata di merda. È un drop di Sir Jonny Wilkinson, e ha il potere di svegliare bei ricordi negli inglesi presenti a Twickenham. Applaudono tutti, anche perché un sigillo del genere non se lo meritano mica tutti i match di questo mondo.

Jonny chiuderà con un altro calcio la partita, segnerà tutti i 24 punti del suo Tolone.
E vincerà l’Heineken Cup.
In tanti chiederanno la sua presenza in Australia, ma lui non ci sarà.
Perché Gatland alla fine non lo convocherà. È sicuro, il neozelandese, può sembrare tracotante, ma non lo è. Avrà ragione lui, perché la serie con l’Australia la vincerà, togliendo dal XV titolare, nell’ultimo decisivo match, perfino uno come Brian O’Driscoll.
Ma chiunque l’abbia visto quel pomeriggio a Twickenham vi dirà che, per una volta, nascosto tra chili di muscoli e sicurezza, Warren Gatland ha malcelato un dubbio.
Segnatevelo, non capiterà ancora così spesso.

Cristian Lovisetto – Anonima Piloni

Il video del drop di Jonny Wilkinson nella semifinale di Heniken cup del 2013:

Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.

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