Georgia-Tonga, i Lelos nella storia

Tre sconfitte all’alba della Coppa del Mondo potrebbero stroncare chiunque. Quasi chiunque.

Gerogia-Tonga RWC2015

Gerogia-Tonga RWC2015 – Ph. S. Pessina

Più di 200 placcaggi, calci sbagliati, capitani coraggiosi e allenatori compiaciuti. L’Anonima Piloni vi racconta di quando i Lelos fecero la (loro) storia alla Coppa del Mondo.

La cronaca della partita Georgia-Tonga della Rugby World Cup 2015 di cui parla l’articolo la trovate a questo link.

Tre partite, tre sconfitte. Le ultime due contro nazionali che sulla carta sono di livello simile, se non in alcuni casi inferiore. Non è che sia il migliore dei viatici, se di lì a settimane devi affrontare una Coppa del Mondo. Almeno, non se hai deciso che il tuo obiettivo, la tua asticella, stavolta vada posizionata un po’ più in su delle ultime volte. Tre sconfitte però fanno curriculum. E pazienza perdere contro un Newcastle pieno di internazionali, può anche andar bene perdere di misura contro QUEL Giappone, ma contro il Canada si poteva vincerla. E si sarebbe vinta, se quella trasformazione fosse entrata.

Il Canada di Kieran Crowley è messo in campo sì molto bene, ha un fenomeno come DTH Van der Merwe, un paio di buoni giocatori, ma poi basta. Da noi i malumori si sprecherebbero, e si sprecheranno, visto che pure noi cadremo in uno 0 su 3 contro Scozia e Galles. In Georgia, invece, non si riscontrano tagliatori di teste da tastiera in azione. Né golpe di stato in grado di rovesciare le comode poltrone della Federazione. Il director of rugby, un neozelandese, da noi sarebbe stato messo a ferro e fuoco.

Invece Milton Haig, ex mediano di mischia in patria, è quasi felice. No, sangue e urine a posto, potrebbe correre il prossimo Giro. Haig è il selezionatore della Nazionale georgiana dal 2011, è succeduto allo scozzese Richie Dixon. In pochi anni ha portato i Lelos ad alzare la voce, a chiedere una possibilità nel Sei Nazioni. Sì, ma non semplifichiamo. Haig non ha fatto la domandina di rito, quella a cui non avrebbe creduto neppure lui. Ha messo in campo i georgiani come nessuno aveva fatto prima di lui. Nessun miracolo eh, i trequarti faticano ancora a creare pericoli degni di nota.

Sì, ma quella che vuole stupire al Mondiale del 2015 è una squadra matura, solida, con una volontà di ferro. E con un pacchetto di mischia che se non è tra i primi quattro-cinque al mondo ditemi voi chi o cosa potrebbe rimpiazzarlo. Prima e terza linea, per dire, fanno paura: nomi come Zirakashvili, Nariashvili, Kolelishvili e altri sono molto ben conosciuti nell’Europa ovale che conta. I tre match di preparazione, però, vanno male: brucia soprattutto la sconfitta contro i canadesi a Esher, in un match preso in mano con un tempo di ritardo e fuggito per sempre sulle ali della trasformazione sbagliata da Tsiklauri.
Haig però è ottimista.

Non sono in tanti quelli sicuri di averlo capito fino in fondo, ma il neozelandese ha le sue buone ragioni per essere soddisfatto: innanzitutto, non ha perso uomini per infortunio. Dite quello che volete, ma se dovete affrontare un torneo di quasi due mesi è tutto grasso che cola. E deve aver visto, in quei tre match, qualcosa che a noi poveri spettatori è sfuggito. Nel dubbio ha già messo un bel circoletto sul primo match del Lelos. All Blacks e Argentina non sono battibili, la Namibia lo è anche troppo. Lui però ai suoi ha detto “questa”. Tonga.

Eh, mica facile.
I tongani sulla carta sono tutto quello che i Lelos non sono.
Soffrono storicamente in chiusa, placcano duro, è vero, ma il più delle volte fanno fallo.
Solo che se dai loro due metri non li vedi più. Al limite li puoi multare per guida pericolosa, ma nel referto di un arbitro di rugby al massimo può valere come il due di coppe quando la briscola è denari.

Soffrono in mischia chiusa. Parliamone però, perché i tongani in uno dei loro incontri di preparazione espugnano Bucarest, ma non è tanto questo a preoccupare. No, quello che spaventa di più è che i tongani sembrano aver trovato la quadra anche in chiusa, visto che i romeni contro di loro non riescono a prendere il sopravvento nel frangente.
E allora diventa tosta.

Haig predica calma e sangue freddo neanche fosse Luca Dirisio al Festivalbar. Sa che la mischia georgiana è sulla carta ancora più forte, ma non vuole avere sorprese, non lì. Poi disegna la tattica più semplice ed efficace del mondo: vendere la propria metà campo al piede, rinchiudere i tongani nella loro metà campo e placcare anche l’erba.

Semplice, mica tanto. Lo chiamano gioco semplice, ma perché quadri tutto ci vuole una maestria mica da ridere. Intanto devi avere un bel metronomo al piede, un giocatore in grado sempre e comunque di mettere la palla dove dice lui. Seconda cosa, la pressione. Più che una squadra c’è bisogno di un branco di lupi affamati, ma allo stesso tempo lucidi, in grado di mettere tarli nell’altrui cervello senza per forza fare fallo. E va proprio così: i tongani vanno in vantaggio per primi con un piazzato di Morath, apertura che a livello puramente estetico ricorda un po’ Dan Carter (i paragoni si fermano lì, beninteso), poi però sono costantemente costretti a partire da casa loro. Vuoi perché la linea di difesa georgiana la puoi valicare solamente con i carri armati di Piazza Tien An Men, vuoi perché i trequarti tongani per fantasia e linee di corsa non sono i figiani, né i samoani, ma i Lelos non fanno passare un centesimo di euro.

I problemi per i georgiani sono altri. Metti il piazzatore, per esempio. Kvirikashvili è un discreto uomo d’ordine, bel calcio di spostamento e pure un discreto passo, tanto che da mediano di apertura col passare degli anni è diventato un discreto estremo. Sì, ma al piede in certe occasioni si blocca. Contro l’Inghilterra nel 2011, per esempio, con gli inglesi in estrema difficoltà in mischia chiusa, butta via 15 punti al piede sul più bello. E anche contro Tonga butta via un piazzato abbastanza facile prima di pareggiare i conti. Tonga, come da previsioni, non riesce a guadagnare metri, ma in compenso in mischia chiusa si fa sentire e, almeno all’inizio, non concede grossi sbocchi ai georgiani. A dire la verità i Lelos non sono mai stati famosi per il loro gioco arioso, ma la partita sembra una di quelle destinate a risolversi all’ultimo calcio per i pali.

Solo che, a questo punto, dobbiamo fare un passo indietro.
Perché i georgiani in mischia è vero che sono ergastolani, è vero che sono ruvidi, è vero che a livello di Tier 2 non hanno grossi rivali (se si vuole considerare la nazionale azzurra Tier 1), ma è anche vero che non si è parlato del deus ex machina dei Lelos. La terza linea è composta da due mostri come Kolelishvili e Tkhilaishvili, due metalmeccanici vecchia maniera, incazzati come bestie e cattivi come la peste. Con due così in difesa è il caso di cominciare a sgranare il rosario di nonna. Sì, ma il vero mostro dell’ultimo livello è quello che veste la maglia numero 8 e che aveva, sembra, più di qualche strada tracciata nel basket. Oh, sembra che nel Caucaso qualcuno abbia veramente seminato palloni da basket negli anni ’80, visto che Pachulia, Shermadini, Sanikidze, Markoishvili vengono tutti da lì. La palla a spicchi è il primo amore anche del piccolo (ammesso che lo sia mai stato) di casa Gorgodze, ma ben presto si rende conto che “Si, bello, ma vorrei qualcosa di più fisico”.

Credo che quel giorno, a Tbilisi e dintorni, sia diventato festa nazionale.
O lo diventerà molto presto.
Perché Mamuka, letteralmente il Piccolo Padre (i georgiani devono avere un sense of humour simile a quello inglese), diventa ben presto Gulliver, uno che per fermarlo devi mettere su un esercito o quasi di esseri umani vivi, forti e decisamente incoscienti, prenderlo, schiantarlo a terra e incaprettarlo. Solo così Mamuka Gorgodze diventerebbe vulnerabile, ma nessuno al momento sembra aver accettato i rischi di tale impresa. Gorgodze è gigantesco, ha un placcaggio che demoralizzerebbe pure il più ottimista degli avversari, ma soprattutto due piedi da ballerina gentile omaggio di parquet e palla a spicchi, rapidi nel traffico e in grado di regalargli una velocità letale per il primo placcatore. Molte volte anche per il secondo.

Ecco, per leadership, capacità di prendere in mano partite e compagni e prontezza nel dare l’esempio Gorgodze sta ai Lelos come Parisse sta all’Italia. e non è un caso che, nella prima vera azione offensiva georgiana, sia proprio lui ad andare oltre, schiantando e schiacciando l’ovale alla base del palo. Lo stadio di Gloucester, che ha di fatto adottato la nazionale georgiana, esplode in un urlo di liberazione che non so quante volte i Cherry and White di casa hanno sentito. Tonga reagisce, segna anche una meta, ma Nigel Owens annulla per un in avanti che, se esistente, bisogna fare i complimenti all’oculista. Gli isolani non mollano, attaccano qualsiasi possesso, ma la difesa dei Lelos non fa passare uno spillo. Ce ne sono due o tre che stanno facendo un partitone, che forse in altri frangenti e contro difese meno asfissianti meriterebbero maggior fortuna, per esempio Vunga Lilo, estremo completo e molto propenso al gioco d’attacco. O come Telusa Veainu, su cui ha messo gli occhi il Leicester Tigers, ala spettacolosa per inserimenti e corsa rotta. O come Sione Kalamafoni, che in questo stadio gioca dal 2012 e davanti sta dando l’esempio. Sono tutti giocatori in grado di rompere difese e partite, ma non oggi.

Non fino a questo punto, almeno.
E non è che nella ripresa cambi il registro, eh: possesso a Tonga, i georgiani a difendere.
Intendiamoci, non è una difesa perfetta. O meglio, non passa uno spillo, è vero, ma i falli sono tanti. Ma se costringi una nazionale come Tonga a giocare nella sua metà campo il calcio di punizione diventa efficace se e solo se a) hai un calciatore da 60 e più metri, e Frans Steyn non è nato a quelle latitudini, o b) hai delle ancore, leggi touche, maul e mischie, di livello eccelso. No, Tonga la maul di Tonga avanza ma non fa male, a patto che il pallone scenda dalla parte giusta.

E la mischia?
No, lasciate perdere. Anche perché, se i Lelos nel primo tempo hanno mostrato qualche smagliatura di troppo nel pacchetto, nella ripresa si mettono a posto e per le Aquile di Mare non è più cosa. Anche perché, con le fonti del gioco essiccate e con gambe e fiato che cominciano a presentare il conto, o forzi i passaggi o non c’è verso di passare. Risultato: il pallone cade, molte volte. I Lelos ringraziano, triturano la mischia avversaria, come al 48’. Kvirikashvili, però, non centra i pali da posizione centrale. Lo sanno bene pure gli azzurri: appena puoi, gli isolani devi portarli fuori del match, anche e soprattutto a fuoco lento, tre punti alla volta. Se non lo fai cominciano a crederci e, se non hai abbastanza energie mentali, finisci per cedere di brutto. I georgiani però, non mollano la loro metà campo, tra cacciate in ruck e sciagurati possessi tongani. Poco prima della metà del tempo Morath calcia via dai suoi 22 un pallone insidioso. L’ovale è alto e la pressione su Mchedlidze, l’ala georgiana, è buona, tanto che appena riceve palla c’è già un tongano a placcarlo. Peccato che il numero 14 dei Lelos abbia già intuito tutto e, quasi al volo, giri l’ovale a Kvirikashvili. L’estremo disegna una curva alla Mennea e semina diversi avversari, poi scarica per Nemsadze, la seconda linea, in pieni 22. Lo placcano subito, ma i georgiani puliscono la ruck che è un piacere, la palla è già a disposizione. Due passaggi lunghi ad esplorare la larghezza, la difesa tongana ha il fiatone. Gorgodze raddrizza, lo prendono in tre. Ancora in piedi scarica verso Lobzanidze, il mediano di mischia, che ha 18 anni e nessuno finora ci ha fatto caso. Il passaggio lui non se l’aspetta, i tongani lo accalappiano. L’ovale esce senza controllo dalla parte georgiana, il più veloce ad accorgersene è Tkhilaishvili. Non si è visto molto finora, il numero 6, ma visti i 13 placcaggi a referto con ancora 20 minuti davanti qualcuno deve per forza averlo sentito sulla sua pelle. Uscirà di lì a poco, dopo essersi immolato davanti ad un camion lanciato in corsa targato Taumalolo. Il pubblico, a giudicare dall’”ohhh”, deve aver sofferto la botta a metri di distanza. Tkhilaishvili però intanto prende palla e prova la sortita al largo. Tiene a bada un tentativo di placcaggio basso di Lilo. Qui i tongani rimasti a seguire la sua azione leggono un suo voler riciclare il pallone all’interno e gli occupano le ideali linee di passaggio. E allora lui tira dritto, trovando davanti a sé il deserto del Sahara.
Meta, viene giù praticamente tutto.

E se è vero che a difendere ti consumi molto più in fretta che ad attaccare, io mi chiedo come facciano a correre in quella maniera per abbracciare il loro compagno. Come facciano ad essere ancora così vitali, così intensi nei contatti, come tanti Zorba il Greco, rudi ma allo stesso tempo innamorati delle loro radici e delle loro vite. Poi ti viene in mente quel neozelandese, quel Miton Haig che guida da un po’ questi ragazzoni. Ti ricordi di quando, dopo tre sconfitte consecutive nel mese precedente alla Coppa del Mondo, predicava calma e ottimismo. Allora lui forse sapeva tutto, aveva già visto nei suoi un aumento graduale della condizione, e il fatto che non ci fossero stati infortuni di rilievo lo aveva rinfrancato. Mancano ancora venti minuti, idealmente i Lelos potrebbero anche chiuderla nascondendo il pallone, ma non lo fanno. Mettono giù un’altra trincea, forse ancora più furente di prima, con Kalamafoni e gli altri a provare a riaprire la partita. Un paio di falli di troppo, però, installano i tongani nei 22 d’attacco.

Ora è dura: i tongani, disperati, erodono il terreno e costringono i georgiani a fare fallo. Morath ad un certo punto trova il varco giusto al piede e Piutau si avventa sul pallone in piena area di meta, ma lo perde il pallone al momento di schiacciare, complice anche il piede di Lobzanidze. La partita, se finora vi è sembrata noiosa, ora si incendia del tutto. Le Aquile di Mare ci provano in tutti i modi, ma la frenesia è troppa. E i georgiani sono mostruosi. Gorgodze è ovunque, metterà a segno 24 placcaggi, Kolelishvili altri 21, ma non è questo. O meglio, non solo. Sono proprio tutti a sacrificarsi, dal primo all’ultimo, riescono sempre a venirne fuori in qualche modo e ad allontanare la minaccia sia sul campo che sull’orologio.
Fino a 8 minuti dal termine.

L’ennesimo attacco tongano fa danni e l’ovale viaggia al largo. L’ovale arriva a Vainikolo, che deve solo correre in bandierina. Meta, a cui Nigel Owens aggiunge un cartellino giallo a Kvirikashvili, immolato all’altare dei troppi falli georgiani. Tonga ha una chance grande come una casa di rifarsi sotto, ma al primo allargamento Piutau passa la palla in profondità a Vainikolo. Azione buona per basket e pallamano, non per il rugby, mischia. I Lelos distruggono ancora una volta gli isolani e vanno per i pali. Tre punti sarebbero devastanti, costringerebbero Tonga a segnare due mete in cinque minuti. Con Kvirikashvili fuori si presenta alla piazzola Lasha Malaguradze, numero 10 di stanza nel Federal 1, la terza serie francese. Il calcio, però, se ne va a lato, tutto da rifare. Tonga, però, non ha più le gambe, non riesce a risalire, se non per un placcaggio alto di Gorgodze. La touche però è storta e i Lelos nascondono l’ovale.

In cambio tirano fuori bandiere su bandiere, qualcuna finisce pure in campo.
Corrono e saltano da una parte all’altra e hanno portato 203 placcaggi.
Milton Haig, dall’alto della sua postazione, osserva tutto e tutti.
Compiaciuto.
Nonostante tre sconfitte che, in altri lidi, avrebbero potuto essergli fatali.

Le tre sconfitte gli daranno ragione, perché il Canada si dissolverà a poco a poco e il Giappone, appena un paio di ore più tardi, sconvolgerà il mondo ovale nell’ormai leggendario match contro gli Springboks.
Ma lui intanto si gode 23 ragazzoni dall’aspetto truce, facciamo una trentina con quelli in tribuna, che saltano, recuperano bandiere e sorridono come ragazzini.
Chiederà ancora il 6 Nazioni, quasi andrà idealmente a prenderselo a Cardiff, fermato solamente da una mischia no contest.

Milton Haig, dall’alto (o dal basso, vista l’altezza ampiamente valicabile) del suo essere stato un discreto numero 9, nota che non aveva mai avuto il privilegio di portare a spasso, da giocatore, una mischia del genere. Ma che ha ancora tutto il tempo per prendersi qualche soddisfazione
Tra ottimismo e legnate.
Compiaciuto, fino alla fine.

Cristian Lovisetto – Anonima Piloni

 

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