Cinque grandi momenti di Giovanbattista Venditti in nazionale

Un giocatore che occupa un posto speciale nel cuore dei tifosi italiani

giovanbattista venditti

ph. Sebastiano Pessina

Giovanbattista Venditti è stato senza dubbio uno dei giocatori più importanti e discussi del rugby italiano nell’ultimo decennio. Non il più forte o il più talentuoso, “anche perché non sono un giocatore super tecnico o super intelligente rugbisticamente”, come ha ammesso in prima persona, ma sicuramente uno di quelli di cui si è parlato di più. Nel bene e nel male.

L’abruzzese, a tratti, è stata infatti una figura sportivamente quasi polarizzante. Chi lo considerava un titolare inamovibile per l’Italia portava come motivazioni la sua grinta, l’agonismo e le capacità di usare al meglio un fisico imponente, non tradizionale per un’ala italiana; c’era chi lo considerava anche un giocatore piuttosto mediocre, la cui pochezza tattica e tecnica non potevano essere compensate solo dalla potenza muscolare e dalla corsa. Lui, come già detto, non si è mai nascosto: “La mia carriera si è sempre basata anche su una determinazione speciale”.

Nonostante le critiche e gli acclarati limiti, però, Venditti è stato un giocatore fin troppo unico nel panorama italiano per non avere un peso specifico rilevante nella nazionale. In un periodo storico dove le ali erano spesso centri o estremi adattati, Venditti è stato uno dei pochissimi specialisti nel ruolo: esplosività nel breve, fiuto per la meta e soprattutto la capacità di essere sempre al posto giusto nei momenti in cui contava farsi trovare pronto. Quando l’abruzzese è stato in forma e in ottime condizioni fisiche, né Jacques Brunel né Conor O’Shea hanno voluto fare a meno di lui: è vero che la concorrenza è sempre stata piuttosto bassa, ma è altrettanto vero che rinunciare a un finalizzatore come lui poteva essere complicato e limitante.

Ma se oggi parliamo di Venditti, alla fine, è perché in un certo senso l’abruzzese è riuscito a mettere d’accordo tutti. Come? Legando in maniera indissolubile il suo nome alle più grandi vittorie recenti dell’Italia. È diventato una sorta di uomo del destino, un giocatore amato e apprezzato quasi in maniera trasversale, un po’ inevitabilmente.

Scozia 2012, Irlanda 2013, Scozia 2015, Sudafrica 2016: in quattro delle vittorie più importanti di questo decennio, c’è la sua firma, in modi peraltro più o meno rocamboleschi, che ne hanno contribuito a rafforzare l’immagine di giocatore di culto. Ma di lui si ricordano anche le mete contro l’Inghilterra nel 2012, all’Olimpico, e nel 2017 a Twickenham: partite poi chiuse con delle sconfitte, ma in cui ha comunque lasciato un segno tangibile.

In praticamente tutte questi episodi, poi, Venditti non ha semplicemente raccolto il pallone per schiacciarlo a terra, magari dopo un’elaborata azione iniziata al centro del campo e finalizzata in modo classico dall’ala. Ci ha sempre messo del suo: battendo un difensore di prepotenza, caricando a testa bassa come un ariete, beffando tutti dopo un calcio di punizione o spazzando via Elton Jantjies. Le sue mete decisive non sono mai state del tutto banali.

Venditti non ci ha mai colpito per le sue movenze, l’acume tattico, la copertura del campo o per dei cambi di direzione da ballerino. Non è stato mai particolarmente aggraziato. È stato quel tipo di giocatore che non ti fa restare a bocca aperta per delle giocate spettacolari, ma che ti fa direttamente urlare di gioia per la passione e la furia agonistica che trasmette in ogni suo gesto, in ogni sua esultanza. Ed ecco perché alla fine ha occupato un posto importante nei cuori di tanti appassionati.

Se parliamo di lui al passato, del giocatore che è stato, è perché con grandi probabilità non lo rivedremo più ad alti livelli e in nazionale: giovedì ha rescisso consensualmente il suo contratto con le Zebre, il club a cui è stato legato per sette stagioni, e ha dichiarato di volersi prendere una pausa dal rugby, perché a oggi non è più una sua priorità. Non è chiaro se si sia ritirato o meno, ma per chi scrive è certamente il momento ideale per ripercorrere i grandi momenti nella carriera azzurra di Giovanbattista Venditti. Uno di cui non ci dimenticheremo facilmente.

Primi segnali – Italia v Scozia 2012

È passata solo una settimana dall’esordio di Venditti con la nazionale maggiore quando il nostro segna la prima meta in carriera. La segna a Roma, contro l’Inghilterra, in quell’incontro caratterizzato dal gelo e dalla neve, e dall’occasione pazzesca persa dall’Italia di battere una delle più traballanti formazioni inglesi del decennio.

È una sconfitta che brucia: arrivare così vicino ad entrare nella storia (l’Italia non ha mai battuto l’Inghilterra) e perdere di 4 punti dopo essere stati sopra di 9. E’ carburante che la squadra nazionale indirizza nell’ultimo incontro di quel torneo, contro la Scozia all’Olimpico, stavolta scaldato da un tiepido sole marzolino.

La Scozia arriva con quattro sconfitte e la consapevolezza di un pomeriggio duro, l’Italia con il peso di dover fare risultato. Giovanbattista Venditti ha la testa rasata delle matricole in Azzurro e la voglia giusta per spedire a Edimburgo il cucchiaio di legno.

Ad inizio secondo tempo il punteggio è ancora fermo sul 3-3, con Mirco Bergamasco che ha fallito un tentativo di portare l’Italia avanti dalla piazzola. Gli avanti lavorano con cura un pallone nei 22 metri avversari, nel pacchetto ci sono tutti i giocatori più consumati: quello sceso in campo era allora il pack con il maggior numero di caps mai sceso in campo in un match internazionale.

Sono però i tre giovincelli in campo, Gori, Benvenuti e Venditti, a dare il là alla meta che risulterà poi decisiva: il centro avanza sulla destra, dando impeto a una manovra che sembrava essersi un po’ impelagata; il mediano accelera la sua corsa nel momento importante della penetrazione centrale di Castrogiovanni, riconoscendo la superiorità numerica; Venditti stavolta legge bene la situazione e attacca lo spazio che si apre davanti a sé grazie al vantaggio, aggredisce l’ovale a tutta velocità e cambia bene all’interno per eludere l’intervento dell’ultimo difensore, mentre l’Olimpico esplode di gioia. È la prima firma davvero importante messa da Giamba Venditti in maglia azzurra.

A testa bassa – Italia v Irlanda 2013

L’Italia è reduce da una delle più belle prestazioni della gestione Brunel, a Twickenham contro l’Inghilterra, dove arriva una sconfitta di soli 7 punti grazie a un sontuoso secondo tempo. L’Irlanda ha già perso due partite e pareggiato un’altra e si presenta all’Olimpico senza D’Arcy, Zebo, Sexton e O’Gara. Su Roma splende il sole, è una giornata che anticipa la primavera e tutti i pianeti sembrano allineati per un successo azzurro.

Per una volta, l’Italia tiene fede alle aspettative. Dopo tre piazzati di Orquera nel primo tempo, lo scatto decisivo dei padroni di casa arriva al 48′. Gli azzurri si costruiscono un’occasione unica per segnare con un multi fase dentro i 5 metri irlandesi. A dettare il ritmo c’è Gori, che gioca sul corto per cercare di scardinare la difesa irlandese: a cercare l’ennesima carica in quel momento non è un uomo di mischia, ma proprio Venditti, che però viene fermato subito.

Mentre la situazione si sbroglia sul punto d’incontro è Ugo Gori in prima persona a provarci, ma anche in questo caso l’Irlanda si salva. Gli azzurri in teoria dovrebbero prepararsi per una nuova serie di pick&go con gli avanti, ma il primo a mettere le mani sul pallone per provarci ancora è sempre lui, il numero 14, il primo (e finora unico) prototipo di ala italiana nel corpo di un terza linea. Venditti abbassa ancora il testone e carica dritto per dritto, trovando questa volta lo spiraglio giusto per schiacciare a terra.

Gli azzurri poi vinceranno 22-15, toccando il punto più alto di questo decennio. E Venditti è uno dei protagonisti principali.

Il grande classico vendittiano (parte 1) – Scozia v Italia 2015

Non si tratta né di Sotto il segno dei pesci né di Notte prima degli esami, anche perché Venditti è nato a fine marzo e quindi è già sotto l’Ariete. Ma è una trademark move che Venditti si porterà dietro per il resto della sua vita, un po’ come quei lottatori di wrestling che hanno la propria mossa finale perfettamente riconoscibile. Solo che qui non c’è niente di studiato.

Il 28 febbraio 2015, l’Italia si presenta a Murrayfield con una formazione molto rimaneggiata e senza tanti titolari, tant’è che Brunel è costretto a lanciare dal primo minuto gli esordienti Enrico Bacchin e Michele Visentin; per quest’ultimo sarà l’unico cap azzurro nella sua carriera. Eravamo peraltro già nella fase discendente della gestione Brunel, in cui il CT francese aveva già ampiamente rinunciato a qualsiasi ambizione sulla panchina italiana.

Fatto questo doveroso preambolo, in queste condizioni gli azzurri si affidano a due cose: la rolling maul e magari qualche colpo estemporaneo. La prima porta a una poderosa meta con Furno, al 9′, mentre il secondo arriva al minuto 36. Dalla piazzola, il calcio – abbordabile – di Haimona è talmente brutto che resta corto e rimbalza prima dell’acca. A questo punto, dalla prima inquadratura si intravedono due cose:

– uno scozzese agitare a vuoto le braccia alla ricerca del pallone
– il balzo felino di Venditti che a una mano (!) prende al volo l’ovale e si schianta al suolo

Il regista è evidentemente confuso. Attorno a Venditti si forma un calca di maglie rosse scozzesi, per cui l’arbitro si consulta con il TMO: è meta. Ma come? Dal replay frontale, si vede come l’ala abruzzese abbia compiuto letteralmente un miracolo per controllare il pallone, facendo una torsione con il braccio al limite del naturale e poi portandosi avanti l’ovale per schiacciarlo a terra.

Quella meta non sarà direttamente decisiva per la partita, ma contribuirà a tenere viva l’Italia fino alla rolling maul dell’ultimo minuto.

Il grande classico vendittiano (parte 2) – Inghilterra v Scozia 2017

Il 26 febbraio del 2017, a Twickenham, l’Italia scende in campo sapendo che probabilmente sarà ancora una volta l’agnello sacrificale contro una delle squadre favorite alla conquista del titolo. Ci si inventa però un piccolo sotterfugio per mettere i bastoni fra le ruote agli inglesi, e provare ad appianare le differenze fra le due formazioni: passerà a storia come The Fox, la volpe, un atteggiamento difensivo che sfruttando un piccolo buco nel regolamento consente agli Azzurri, non impegnando nessun giocatore in ruck, di non dover osservare nessun tipo di linea del fuorigioco, e di poter immediatamente invadere il campo avversario.

L’Inghilterra è stordita, confusa, frustrata. Romain Poite, al centro di tutto ciò, arbitra crogiolandosi nel tepore della conoscenza del regolamento: “Io sono l’arbitro, non il vostro allenatore” chiosa quando Dylan Hartley e James Haskell chiedono spiegazioni.

A mettere la ciliegina sulla torta di un surreale primo tempo ci pensa proprio Giamba Venditti, esibendosi di nuovo nel suo pezzo di repertorio più riuscito: sul 5-3 Allan si presenta dalla piazzola per mettere i tre punti del sorpasso a fine primo tempo, colpisce il palo destro, Twickenham sospira di sollievo ma Venditti si avventa sull’ovale, ne entra in possesso in mezzo a un mare di maglie bianche assopite, e schiaccia in meta per lo scoramento dei padroni di casa.

Si va al riposo sul 5-10, grazie all’ostinazione e alla caparbietà dell’abruzzese nell’inseguire questi palloni, quasi una cieca fede in quello che può succedere. La partita finirà 36-15, con gli Azzurri in partita fino a dieci minuti dal termine, grazie anche a una favolosa marcatura di Michele Campagnaro.

Fare la storia – Italia v Sudafrica 2016

Firenze: lo stadio seppur non colmo ulula d’incoraggiamento. L’Italia si è portata nei 22 metri avversari, se la sta giocando alla pari contro un Sudafrica ingrigito, bolso. Bronzini vede il 3 contro 2 a sinistra, serve Benvenuti che passa a Venditti, mentre De Klerk prova un improbabile intercetto.

Elton Jantjies è l’utimo difensore in concomitanza della linea di meta e l’ala delle Zebre fa tutto quanto di sbagliato si possa pensare in quel momento: invece di tuffarsi nell’angolo per avere una meta sicura, rimane eretto sulle gambe, non cambia la mano in possesso del pallone prima del contatto e con la spalla destra con cui la tiene va a cercare il contatto contro il petto del numero 10 bokke. Jantjies esplode, lo stadio esplode, l’intera Italia del rugby esplode: ce la possiamo fare, e infatti ce la facciamo.

Quella contro il Sudafrica sembra una meta che è una testimonianza dell’esistenza di forze superiori che governano gli esseri umani. Chiamatelo Dio, destino o storia, ma nel successo di Venditti facendo tutto al contrario c’è l’azione di un soggetto che agisce guidato da un’energia infinita, dalla fiducia, dalla tenacia e dalla consapevolezza di azzannare il momento decisivo quando ti si presenta davanti.

Un qualcosa che Venditti ha sempre avuto dentro e si è portato con sé, e che quel pomeriggio di novembre a Firenze ha saputo trasmettere a tutti e 23 gli Azzurri.

Lorenzo Calamai
Daniele Pansardi

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