Rugby World Cup 2019: l’Italia che guarda dall’alto

La nazionale ha fatto il minimo indispensabile contro Namibia e Canada, preparandosi al meglio per la parte conclusiva del Mondiale

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ph. Sebastiano Pessina

Nella prima settimana della Rugby World Cup 2019 abbiamo potuto valutare l’Italia da un punto di vista diverso dal solito, oltretutto su ben due partite consecutive. È stata un’assoluta rarità che gli azzurri abbiano affrontato due avversarie di livello così basso una dopo l’altra, visto il calendario a cui generalmente sono abituati.

Namibia e Canada erano squadre contro cui il risultato non poteva essere in discussione: per questo i criteri di valutazione per le due partite iniziali del Mondiali non riguardavano strettamente il tabellino finale, bensì la prestazione complessiva e la qualità del gioco espresso dalla squadra di Conor O’Shea.

Giocando due partite nel giro di quattro giorni, inoltre, c’era anche una certa curiosità nel capire come lo staff tecnico avrebbe fatto ruotare i 30 giocatori (Ghiraldini escluso) a disposizione e, di conseguenza, quanto fosse stata efficace la preparazione fisica svolta nel corso dell’estate.

Che Italia è stata?

10 punti, 95 punti segnati, 13 mete all’attivo, miglior attacco (per ora) della Rugby World Cup. I numeri sono tutti dalla parte dell’Italia, che in questo primo scorcio favorevole del Mondiale però non sempre si è espressa nel miglior modo possibile in relazione al contesto. In entrambe le partite gli azzurri non hanno avuto nessun problema nel creare di continuo occasioni in fase offensiva, forte di una migliore organizzazione collettiva, di individualità più talentuose e di una migliore freschezza fisica.

Negli uno contro uno, l’Italia ha battuto 43 difensori contro il Canada e 27 contro la Namibia, creando rispettivamente 17 e 22 break puliti nelle retroguardie avversarie, a dimostrazione di quanto fosse notevole la differenza tra le squadre in campo. Per diversi tratti dell’esordio a Higashiosaka contro gli africani, tuttavia, gli azzurri hanno dominato più per inerzia e per manifesta superiorità che per reali meriti, perché soprattutto nel primo tempo l’approccio alla gara è stato davvero rivedibile.

È stato più apprezzabile il modo in cui l’Italia è scesa in campo nella ripresa, con due mete nel giro di sei minuti, anche se in generale la partita all’Hanazono Stadium è stata giocata in evidente modalità risparmio, che come effetto collaterale ha fatto vedere un’attitudine alla lotta e al sacrificio per il bene comune non eccezionale.

La partita contro il Canada, che pure si presentava come più insidiosa, è invece stata approcciata nel modo migliore possibile. Dal momento dell’ingresso del campo gli azzurri non sono stati solo superiori fisicamente e tecnicamente, com’era giusto che fosse, ma anche agonisticamente brutali al punto giusto con la palla in mano per i primi 20′, che dovevano mettere le cose in chiaro con gli avversari. Nel secondo tempo gli azzurri si sono esaltati soprattutto in contrattacco, con Polledri e Minozzi a creare dei crateri nella difesa canadese, e il match è stato gestito senza troppi patemi.

Il problema, anche piuttosto serio, è stato invece la difesa contrapposta ai nordamericani, che sono riusciti a creare addirittura 15 break profondi nella linea azzurra, a volte distratta e lenta nel riorganizzarsi specie al largo. I canadesi hanno avuto alcune grandi chance per segnare una meta già prima del 69′, quando Coe ha segnato l’unica meta dei Canucks, ma non le hanno sfruttate per errori banali. Che invece il Sudafrica non commetterà, per esempio.

Altre due aree in cui gli azzurri sono stati molto deficitari sono il gioco al piede e il gioco aereo, storiche (e croniche) seccature della nazionale italiana in tempi non solo troppo recenti. Partendo dalle basi, l’Italia non sembra avere mediani di mischia capaci di eseguire costantemente in maniera efficace dei calci nel box, che siano contestabili in qualche modo.

Già questo basterebbe, ma all’Italia storicamente mancano anche dei giocatori che abbiano una naturale predisposizione a cacciare i palloni dopo un calcio o contestare nel gioco aereo, eccezion fatta per un Parisse che però di recente non è riuscito a incidere in questo senso. Hayward ha delle discrete competenze in questo senso, così come Minozzi, ma senza un supporto adeguato al piede non possono fare la differenza.

Contro due squadre come Sudafrica e Nuova Zelanda che utilizzano in maniera splendida il gioco al piede, insomma, sembra facile prevedere grosse e pesanti sofferenze, specie se gli azzurri non dovessero essere scaltri e rapidi nel riorganizzarsi nelle fasi di gioco rotto.

– Guarda gli highlights dell’Italia contro la Namibia e contro il Canada

Considerazioni sparse

La terza linea formata da Sebastian Negri, Jake Polledri e Abraham Steyn ha fatto il bello e il cattivo tempo contro Namibia e Canada, due squadre che semplicemente non avevano i mezzi per contrastare il dominio fisico e atletico imposto dai tre ball carrier azzurri.

Polledri (che viene sempre più spesso utilizzato sulla linea dei trequarti nelle touche italiane) ha rubato l’occhio più di tutti, con 20 difensori battuti, 4 break creati e 154 metri corsi totalizzati in 118 minuti di gioco. I difensori avversari sono letteralmente rimbalzati su di lui, a un certo punto – in particolare i canadesi – anche in maniera piuttosto comica. Nel secondo match ha messo in mostra anche un repertorio tecnico finora tenuto un po’ nascosto, con il bel passaggio per Negri in occasione della meta di quest’ultimo.

Proprio la naturale intesa tra i due ex Hartpury dovrebbe essere la motivazione principale per tenerli in campo insieme fin dall’inizio, senza dover sacrificare Negri in panchina e farlo entrare a partita in corso. L’Italia non ha molti grandi giocatori a disposizione: lasciarne fuori uno è quasi un delitto, per cui è auspicabile che O’Shea trovi lo spazio nel XV titolare a Negri, anche al costo di lasciare in panchina un monumento come Sergio Parisse.

Qualche riga va spesa anche per Matteo Minozzi, anche lui in ottima forma contro il Canada e andato a nozze con le ballerine difese di entrambe le squadre. Contro i nordamericani è tornato a vestire la maglia numero 15, la soluzione probabilmente più congeniale per liberare tutto il talento e l’estro del padovano. Che, tra le altre cose, ha anche fatto vedere nuovamente le sue ottime doti in difesa e nell’uno contro uno, con un paio di placcaggi importanti contro il Canada.

Infine, sarà interessante capire – dopo il naturale turnover di queste prime due partite – chi sarà la prima scelta come pilone destro tra Tiziano Pasquali, Simone Ferrari (che però viene usato anche a sinistra) e Marco Riccioni. Quest’ultimo è più completo in campo aperto e, rispetto agli altri, ha nel bagaglio tecnico delle ottime abilità nel cacciare il pallone nei raggruppamenti, come aveva già messo in evidenza in maglia Benetton. Considerando le note difficoltà azzurre nel contendere il pallone al breakdown, sarebbe uno spreco non sfruttare tutte le qualità del pilone teramano.

In conclusione

L’Italia ha fatto quello che tutti si aspettavano contro due avversarie di rango molto inferiore, dimostrando di essere ben lontana da alcune delle squadre che la precedono nel ranking. Pur giocando male in alcuni momenti delle due partite, mostrando un’attitudine non corretta o esponendosi tatticamente agli avversari, gli azzurri erano intrinsecamente troppo superiori per rischiare concretamente qualcosa. Ma tutto ciò rappresentava di fatto il minimo indispensabile.

La nazionale, compresi i giorni già trascorsi, ha una settimana per preparare quella che dovrebbe essere la-partita-della-verità, verso cui i giocatori e lo staff tecnico starebbero convogliando le proprie energie per tentare di fare il miracolo fin da quest’estate. Sottolineare ancora quanto sia improbabile che l’Italia, ovvero una squadra con tanti difetti emersi pure contro Namibia e Canada, possa rappresentare un vero pericolo per il Sudafrica è superfluo, perché bastano le prestazioni degli Springboks (anche nella sconfitta contro gli All Blacks) a ricordarcelo.

Perlomeno, l’Italia si presenterà alla sua partita più importante del quadriennio in ottime condizioni: con una classifica positiva, la serenità di un gruppo unito e in eccellente forma fisica, senza infortuni gravi e con un dosaggio certosino dei minutaggi.

Nessuno è stato spremuto più del necessario e nessuno è andato nemmeno vicino a giocare due partite per intero. Il più utilizzato è stato Hayward con 125 minuti, seguito da Benvenuti con 121′ e da Minozzi con 115′; Budd e Polledri, primi avanti della lista, sono alla pari con Minozzi, mentre Bigi (in un ruolo dove l’Italia è un po’ corta al momento) ha giocato 114′. Nessun pilone ha invece disputato più di 100 minuti, per una gestione della rosa quantomeno oculata, considerando le due partite a distanza ravvicinata. E quello che attenderà gli azzurri nelle prossime settimane.

Daniele Pansardi

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