Slow Motion #44: Ignacio Mendy, ne sentiremo parlare?

L’estremo dei Pumitas ha segnato una meta spettacolare durante la prima giornata dei Mondiali Under 20

ph. Leo Galletto/World Rugby

Slow Motion è la rubrica di OnRugby che ogni settimana racconta la meta più bella del weekend, nei minimi particolari, corredata dal video. Il fanatico ovale la segue così: prima se la guarda tutta, e poi torna indietro a leggere paragrafo per paragrafo, alternando il tasto play a quello pausa. Qui la scorsa puntata. Buon divertimento.

Per chi non l’avesse ancora capito, è cominciato il Mondiale Under 20. Il torneo giovanile più importante al mondo è sempre un buon indicatore del lavoro delle Federazioni nel far crescere i propri talenti, anche se ogni giudizio su squadre composte da ragazzi ancora acerbi naturalmente non può essere definitivo. Tra i singoli, in ogni caso, si può già intuire chi ha le qualità, la tecnica o il fisico per imporsi anche tra i professionisti, sempre se non sia già accaduto (casi rari, ma ci sono: Carbonel per la Francia e Nanai-Seturo per la Nuova Zelanda, per esempio).

Ne sanno qualcosa in Argentina, soprattutto per quanto riguarda i trequarti. Dal 2013 a oggi, nella linea veloce dei Pumitas si sono alternati nomi che a quei tempi erano semi-sconosciuti al grande pubblico internazionale, ma che nel giro anche di una sola stagione tra i big hanno brillato (o stanno brillando) di luce propria nel Super Rugby o in nazionale maggiore: Emiliano Boffelli (classe 1995) e Bautista Delguy (1997) per esempio, oppure gli emergenti Domingo Miotti (1996) e Santiago Carreras (1998) tra i Jaguares.

Lo stesso percorso potrebbe essere seguito da altri due trequarti di belle speranze come Santiago Chocobares e Ignacio Mendy, rispettivamente classe 1999 e classe 2000. Di Chocobares abbiamo parlato nello specifico all’interno della guida al Mondiale di inizio settimana, mentre il secondo si è guadagnato solo una citazione: ci sono buone ragioni per credere che sentiremo parlare ancora di entrambi, e Mendy in particolare lo ha dimostrato contro il Galles. La sua meta non ha evitato la sconfitta all’Argentina, ma merita di essere rivista.

Come altri giovani argentini, Mendy è già passato nonostante la giovane età anche dal rugby seven, disputando sei match con la nazionale a 7 nella tappa delle World Series in Sudafrica, a dicembre. È stato inserito già nella rosa dei Jaguares, con cui si allena, anche se non è mai entrato in distinta finora. Se dovesse continuare a mostrare dei numeri come quello di martedì a Rosario, probabilmente Gonzalo Quesada non aspetterà molto altro tempo.

Sul punteggio di 15-20 per il Galles al minuto 60, i Pumitas lavorano un pallone al centro del campo, con la difesa dei Dragoni allineata ordinatamente al largo. Lo schieramento dell’attacco argentino è piuttosto profondo e sia de la Vega che Chocobares spostano il pallone all’esterno senza troppi problemi; il passaggio del numero 12 albiceleste è fatto con il timing e la forza giusta verso Mendy, ma non mette in apprensione la difesa gallese proprio perché arriva piuttosto lontano dalla linea del vantaggio.

Il giovane estremo sudamericano, tuttavia, può sfruttare quella distanza dai difensori per mettersi in moto e puntare alla spalla debole di Llewellyn, il numero 22 in maglia rossa. Mendy prende velocità e al momento del contatto sfugge via al tentativo di placcaggio del gallese, senza nemmeno aver bisogno del frontino che pure aveva accennato. Sguscia via, lasciando a terra il diretto avversario che lo rallenta a malapena.

Mendy comunque impiega un attimo per riaprire di nuovo il gas e comincia a mulinare le gambe con una straordinaria agilità. Per superare il secondo avversario gli basta un sidestep verso sinistra appena accennato, con cui si spalanca le porte verso la linea di meta. A quel punto, per Mendy sono sufficienti un paio di cambi di direzione – senza nemmeno prendersi la briga di fare un altro sidestep – per ritrovarsi di fronte ai pali; a pochi metri dalla linea bianca il mediano di mischia, Morgan, riesce anche a placcarlo, ma quando ormai è troppo tardi.

Daniele Pansardi

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