80° minuto: Federico Ruzza, fra numeri e parole

Abbiamo parlato con il seconda linea di Benetton Rugby e Nazionali dei numeri superbi archiviati nella sua stagione di consacrazione

Federico Ruzza – Italrugbystats

Nuova puntata della rubrica dal titolo “80° minuto” curata da Flavio “Fuser” Fogliani, Cristiano Gobbi, Luca Mammoli e Nicola Riccetti di italrugbystats, una pagina che parla del rugby italiano attraverso numeri e statistiche.
“80° minuto” è pensata come un approfondimento che utilizza i valori matematici espressi in campo per interpretare la storia della partita attraverso i numeri che la caratterizzano.

Federico Ruzza, dopo un avvio di stagione letargico, è salito esponenzialmente di colpi, diventando in questo 2019 un giocatore semplicemente imprescindibile per Kieran Crowley al Benetton Rugby e per Conor O’Shea, che nella seconda fase del Sei Nazioni 2019 ha puntato senza esitazioni sul ragazzo di Padova. Abbiamo raggiunto la seconda linea ex Zebre Rugby per commentare assieme a lui i numeri eclatanti archiviati nella sua annata.

Federico, questa è stata una stagione esaltante per voi, con il traguardo storico dei playoff. Inizialmente, però, analizzandola a livello individuale, non hai trovato spazio da subito (in panchina nella prima gara, non convocato nella seconda e nella terza). Tanto che si era iniziato a parlare di te, anche in chiave nazionale, come di un super-sub. Poi, invece, sei esploso sia in azzurro che al Benetton Rugby, diventando sia offensivamente che difensivamente la miglior seconda linea per quelle che sono le nostre classifiche, e il secondo miglior marcatore (insieme a Bigi e Steyn, dopo Faiva) del tuo club. Come si spiega una stagione del genere? Quali erano le tue sensazioni all’inizio, e quali, invece, quelle a valle di un’annata condita da numeri del genere?

Sicuramente quella che si è appena conclusa è stata una stagione estremamente positiva. E’ vero che all’inizio non ero al massimo, e nonostante abbia giocato titolare le prime due amichevoli estive, in Pro14 sono partito dalla panchina alla prima, e poi sono stato fuori le successive due gare. Sappiamo tutti, però, come qua a Treviso ci sia tantissima concorrenza e un turnover mirato, anche nell’ottica di mantenere tutti i giocatori al massimo della forma. E’ chiaro che tutti i ragazzi vorrebbero giocare sempre, ma vista la direzione che sta prendendo questo sport, dove le partite sono sempre più fisiche, è fondamentale avere una rosa ampia che permetta a tutti di avere tempi di recupero adeguati. Il fatto di non essere stato convocato per i test match di novembre, paradossalmente, mi ha aiutato molto a riprendere il ritmo partita, consentendomi di avere più minuti e, quindi, più fiducia in me stesso. Da quel momento mi sono ritagliato sempre più spazio, facendo bene sino a fine stagione.

Leggi anche: 80° minuto: l’analisi statistica della stagione assieme a Marco Riccioni

Al Benetton Rugby sviluppate un gioco incentrato sul possesso e sulla conservazione dell’ovale. Tu come caratteristiche sei una seconda piuttosto atipica, ti piace correre (l’avanti con più clean breaks, 12, quasi il doppio di Faiva, secondo), hai grandi mani e cerchi sempre la continuità offensiva (secondo avanti dopo Barbini per offload). Lo staff ti chiede di sfruttare queste tue caratteristiche innate per generare delle variazioni ad un sistema a volte magari un poco prevedibile, oppure questo è il tuo modo di giocare a rugby e ci sono situazioni in cui la tua visione e le tue scelte travalicano quello che è il game plan generale?

E’ vero, come seconda linea sono un po’ “atipico”, e per questo motivo ho fatto anche molto lavoro specifico durante l’anno per adeguarmi agli standard che il rugby internazionale richiede. Allo stesso modo, però, sono convinto che ogni giocatore abbia le sue caratteristiche e il modo di interpretare il ruolo, ovviamente all’interno di una tattica ben definita: il fatto che io usi molto gli offloads o che abbia skills differenti non è un qualcosa che mi venga chiesto in modo specifico dallo staff, ma è un mio modo di giocare e intendere il rugby. La bravura, però, più che nel gesto in quanto tale, sta nel riuscire capire quando e come farlo. Spesso infatti è meglio non rischiare, optare per un possesso più pulito e aspettare un’occasione migliore. In fondo, però, il game-plan serve proprio questo, ossia mettere tutti i giocatori nelle condizioni migliori per favorire la squadra. Impostando la partita in un certo modo, attraverso la superiorità tattica, si arriva al momento adatto per permettersi un gesto più azzardato, ma che in quel contesto possa essere anche funzionale e non soltanto fine a se stesso.

Abbiamo già detto che sei una seconda atipica, potremmo dire una seconda “e mezzo”, visto che per alcuni aspetti tendi ad una terza. Al Benetton Rugby ti utilizzano infatti con compiti abbastanza vari: sei coinvolto in molte ruck, come i tuoi altri colleghi del tight-five, ma usualmente sei scelto anche come primo uomo del pod d’attacco, e, dato ancora più curioso, spesso sta a te anche spostare il gioco con i passaggi (contro Munster il non-mediano con più passaggi) in un sistema che tende a 1.0 nel rapporto tra passaggi e ingressi. Sono dati casuali oppure c’è uno specifico piano per te, per permetterti di avere più libertà decisionale. E se si, ti fa piacere la libertà che sembra tu ti sia guadagnato e la conseguente responsabilità che ne deriva?

No, direi che non esiste, quantomeno ufficialmente, questo mio ruolo di playmaker alternativo. Ovviamente il movimento d’attacco ha delle chiamate fisse che vanno rispettate, ma all’interno di questa struttura, Il fatto che io mi trovi in determinate posizioni è molto legato al mio istinto e alla lettura che io faccio del gioco: quando vedo formare un pod d’attacco, per esempio, cerco di essere nella miglior posizione possibile per prendere palla come primo uomo. Questo perché, come giocatore, mi piace avere palla in mano e prendere iniziativa, e penso che i miei numeri offensivi siano figli di questo mio modo di muovermi in campo.

Un altro aspetto positivo della tua stagione è il grande apporto nelle touche, soprattutto in quelle difensive. Quanto conta il lavoro quotidiano, l’analisi dell’avversario e lo stretto contatto con un esperto del settore come Marco Bortolami e quanto, invece, pesa secondo te l’istinto ed il talento naturale, al momento di interpretare una chiamata avversaria?

Anche in questo aspetto la preparazione è fondamentale. Solo attraverso uno studio dettagliato si può arrivare in campo tatticamente pronti, permettendo ai giocatori di far risaltare le loro caratteristiche individuali. Il rugby, contrariamente a quanto spesso si dica, è un gioco di grande pensiero, ma all’interno della partita, paradossalmente, meno un giocatore si trova a dover pensare e più esce fuori l’istinto. Le touche sono l’esempio lampante, a volte mi sono trovato nella situazione ideale per intervenire, ma spesso era stato deciso di saltare proprio in quel punto a priori, in virtù dello studio che avevamo fatto in settimana dell’avversario, come dimostra il fatto che anche Braam (Steyn, ndr) e Marco Barbini hanno fatto ottimi numeri in questa fase di gioco. Questo, ovviamente, è frutto del grande lavoro che fa Marco (Bortolami, ndr), che ci permette di essere performanti nelle fasi statiche, che nel rugby attuale sono diventate sempre più fondamentali, e che quest’anno hanno fatto la differenza per noi in molte occasioni.

Leggi anche: Il mondo di Valentina Ruzza, dove l’ovale è cultura

Sei terzo tra i giocatori del tight-five per placcaggi (dietro a Herbst e Quaglio), e secondo per turnover forzati (dietro a Faiva). Preferisci giocare con a fianco seconde linee come Herbst o Fuser, molto fisici e difensivi, che ti permettono di concentrarti sul breakdown, oppure assieme a ‘grinder’ come Zanni, Budd o Lazzaroni, giocatori più simili a te, perché sei tranquillo sia dell’apporto che puoi dare a terra ma anche al placcaggio?

Sono un giocatore che, in proporzione, ha reso sempre di più in attacco che in difesa, e proprio per questo, durante la stagione, ho lavorato molto su questo fondamentale, e continuerò a lavorare anche in futuro, visti gli standard fisici verso i quali il rugby internazionale sta andando. Ciononostante, i numeri di quest’anno dimostrano un incremento di incisività difensiva rispetto alle stagioni precedenti, e questo non può che farmi che piacere. Per quanto riguarda il discorso generale, al fianco di un giocatore con le mie caratteristiche, più mobile e più forte in touche, si cerca sempre di avere un atleta più grosso e fisico. Non credo, però, che ci sia una relazione tra i miei compagni e i miei numeri difensivi. E’ chiaro, tuttavia, che nel mio ruolo ci sono giocatori più fisici di me che fanno della parte dell’impatto, soprattutto difensivo, un loro punto di forza, molto più di quanto non faccia io.

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