Allenatori di rugby e allenatori di calcio

Sette parallelismi tra alcuni coach della palla ovale e della palla tonda, visto che siamo nel pieno dei Mondiali

ph. Reuters

Non è successo di frequente, ma qualche testimonianza di incontri tra allenatori di calcio e allenatori di rugby negli ultimi anni l’abbiamo avuta. Eddie Jones, per esempio, ha dichiarato di essere rimasto colpito da Pep Guardiola ed i suoi metodi di allenamento, fino a dire di averlo fatto diventare un coach migliore, ma ha anche incontrato Tony Pulis e il West Bromwich Albion, club retrocesso lo scorso maggio nel Championship (seconda divisione inglese).

Sempre Pep Guardiola, prima del Sei Nazioni, a Manchester ha ricevuto la visita di Gregor Townsend, e il coach scozzese a sua volta è rimasto impressionato dai metodi utilizzati dal catalano, universalmente riconosciuto come uno dei migliori tecnici del pianeta.

Nonostante l’evidente diversità tra le discipline la tesi di Eddie Jones sulle analogie nei princìpi dei due sport è quantomeno interessante: “Rugby e calcio per certi aspetti sono molto simili per quanto riguarda il movimento della palla nello spazio”. Pensiamo, per esempio, a quelle azioni definite dai telecronisti del calcio «di stampo rugbistico»; l’espressione è un vezzo giornalistico, utilizzata per quelle fasi di gioco in cui il pallone viene mosso orizzontalmente lungo il campo; la locuzione però descrive efficacemente alcune particolari situazioni, in cui i calciatori sono perfettamente scaglionati lungo quei corridoi verticali in cui viene idealmente diviso il terreno di gioco e possono dare vita ad azioni quasi «alla mano» per il loro sviluppo.

cityDal Manchester City di Pep Guardiola, per l’appunto. (L’immagine è tratta da questo articolo de L’Ultimo Uomo)

I paragoni tecnico-tattici tra allenatori di diversi sport sono naturalmente complessi da portare avanti, o perlomeno lo sono in misura maggiore rispetto alle possibili similitudini tra i coach per per palmares o per i trend simili che si sviluppati nel corso della carriera. Nel gioco delle analogie che vi proponiamo di seguito, abbiamo preso in considerazione entrambi gli aspetti: i princìpi attorno al quale è modellata una squadra, la parabola degli allenatori negli anni, la capacità di dare una svolta a situazioni difficili e in generale l’impatto avuto in un determinato ambiente.

Joe Schmidt – Pep Guardiola

Non è solo una questione di palmarès (23 il catalano, 7 il neozelandese, ma nel rugby ci sono molti meno trofei in palio), ma anche di princìpi di gioco. In astratto, le posizioni dei due allenatori sono piuttosto vicine: entrambi prediligono avere il pallone in mano e gestirlo attraverso lunghe fasi di possesso mai fine a se stesso, ma atto a manipolare la difesa e a creare sempre delle situazioni di vantaggio sul campo. Il gioco di Irlanda e Manchester City (ma prima di Leinster, Barcellona e Bayern Monaco) non lascia respiro, sia in attacco sia in difesa, e schiaccia in maniera inesorabile l’avversario all’interno della propria metà campo. I due hanno poi idee diverse su come sfruttare la grande mole di gioco prodotta, che al suo massimo può rendere più divertente il gioco delle squadre di Guardiola piuttosto che quelle di Schmidt, ma il sistema di pensiero può dirsi quantomeno simile: tanti passaggi, pochi errori e una capacità di essere all’avanguardia unica nel proprio sport.
Entrambi stanno segnando un’epoca e, come spesso accade, solo al termine delle loro carriere potremo effettivamente apprezzare in pieno il loro operato.

Michael Bradley – Claudio Ranieri

Ranieri, negli anni, si è guadagnato la fama di normalizzatore, nell’accezione più positiva del termine. La specialità della casa, eccezion fatta per l’assurdo miracolo compiuto con il Leicester nel 2015/2016, è aggiustare tubature che fanno acqua da tutte le parti: in questo senso, si ricordano la salvezza con il Parma 2006/2007, il terzo posto con la Juventus e le vittorie sul Real Madrid con la Vecchia Signora da poco tornata in Serie A, lo Scudetto sfiorato con la Roma nel 2009/2010, il buon periodo di vittorie con l’Inter e l’esperienza al Monaco.
Bradley, allo stesso modo, ha accresciuto la sua reputazione ottenendo ottimi risultati in contesti più o meno disperati o inizialmente non adatti al livello poi raggiunto sotto la sua gestione. Con Connacht delle basi importanti tra il 2003 e il 2010, ha portato Edimburgo ad un’incredibile semifinale in Heineken Cup (non era mai accaduto), è stato assistant coach della Georgia al Mondiale 2015 e ha avuto il coraggio di accettare un incarico scomodo come quello di allenatore delle Zebre.

Gregor Townsend – Jürgen Klopp

John Barclay, capitano della nazionale scozzese, ha definito lo stile di gioco del suo allenatore una sorta di “caos organizzato”, in riferimento al rugby dinamico e in un certo senso frenetico dei Dark Blues e, prima, dei Glasgow Warriors che rendono Gregor Townsend uno dei tecnici più interessanti da seguire nell’evoluzione della sua carriera. La Scozia punta a generare la maggior quantità di entropia possibile per raggiungere il proprio equilibrio, in alcuni casi disordinandosi fin troppo e perdendo la bussola (come successo in Galles nel Sei Nazioni), ma anche prendendo di sorpresa avversari poco preparati (l’Inghilterra, ma in parte anche la Nuova Zelanda).
Le squadre di Klopp, a loro volta, sono tra le più grandi generatrici di caos nel mondo del calcio, vista la spiccata tendenza a giocare in verticale e a recuperare sempre il pallone pressando in avanti dopo averlo perso (il cosidetto gegenpressing). Tutto ad un ritmo piuttosto folle, che come nel caso della Scozia non sempre garantisce l’adeguata continuità di rendimento. Il Borussia Dortmund e il Liverpool, però, sono diventate anche squadre letali proprio per l’imprevedibilità del proprio gioco, che scaraventa letteralmente una partita di calcio dentro una centrifuga, tanto da raggiungere una finale di Champions League nonostante fossero delle outsider.

Bernard Laporte – Carlo Ancelotti

Da una parte ci sono stati Wilkinson, Fernandez Lobbe, Giteau, Juan Smith, Bryan Habana, Botha, i fratelli Armitage e Drew Mitchell; dall’altra avevamo Cafu, Nesta, Maldini, Gattuso, Pirlo, Seedorf, Kakà, Shevchenko, Inzaghi. Non è difficile intuire quale sia la direttrice comune tra due degli allenatori più vincenti nella massima competizione europea del proprio sport. L’epopea continentale con Tolone e Milan è uno dei fiori all’occhiello delle carriere di Laporte e Ancelotti, le cui migliori qualità stanno forse nella creazione dell’amalgama perfetto in spogliatoi così densi di talento, e indirizzarlo verso una strada condivisa da tutti (in questo senso, il lavoro di Laporte a Tolone presentava forse difficoltà maggiori).
I trionfi internazionali sono stati però direttamente proporzionali agli scarsi risultati ottenuti in patria con le due squadre. Laporte è arrivato in finale con Tolone nel 2012, 2013 e nel 2014, ma vincendo solo il Bouclier de Brennus solo in quest’ultima edizione. Ancelotti si è fermato invece ad un solo successo con il Milan in Serie A, nel 2003/2004, in sette anni di permanenza.

Mark McCall – Diego Simeone

Il modo in cui entrambi hanno creato un Sistema ai Saracens e all’Atletico Madrid meriterebbe studi approfonditi e tesi iniversitarie, perché rappresentano due metodi di lavoro interessanti seppur diversi culturalmente e ideologicamente. Entrambi, però, hanno tra le loro caratteristiche salienti soprattutto un impianto difensivo ai limiti della perfezione per meccanismi, comprensione del gioco e soprattutto attitudine.
Quest’ultima è la base fondamentale del Cholismo, così come viene chiamata la cultura creata attorno all’Atletico, i cui tratti fondamentali sono la la totale disposizione al sacrificio per la squadra e la ricerca continua di una rivoluzione per sovvertire il potere delle élite. I Saracens hanno prodotto un impianto di gioco forse più scientifico che filosofico, con il «branco di lupi» ideato da Paul Gustard che ha fatto scuola in Europa ed è stato analizzato e sviscerato in tutti i suoi dettagli negli ultimi anni.
La grande attenzione alla fase difensiva, tuttavia, non ha fatto perdere creatività e spirito d’iniziativa ad entrambi gli allenatori, che parallelamente hanno saputo capitalizzare il talento a disposizione anche con la fase offensiva (più essenziale l’Atletico, più coordinata e complessa per i Saracens).

Andrea Marcato – Zinedine Zidane

È senz’altro il paragone più strambo e azzardato, ma presenta alcune analogie non banali. Entrambi sono stati catapultati sulle panchine di Petrarca e Real Madrid ben prima di quanto osservatori e addetti ai lavoratori; attorno ad entrambi c’era grande scetticismo, per via della loro presunta impreparazione e inadeguatezza all’incarico da rivestire; entrambi hanno rischiato di bruciarsi con il fuoco, dovendo intervenire in contesti scomodi e in quel momento non completamente sereni.
Entrambi, alla fine, ne sono usciti vincitori fin da subito. Predicando tranquillità e sfruttando al meglio il materiale umano a disposizione, sia Marcato sia Zidane hanno lavorato con intelligenza e pazienza, compattando il gruppo e metendo i migliori giocatori della rosa nelle condizioni ideali per fare la differenza. Vincere l’Eccellenza 2017/2018 o la Champions League 2015/2016 (per non parlare delle successive) era tutt’altro che scontato, nonostante entrambi avessero sulla carta gli organici più completi.

Eddie Jones – José Mourinho

È il parallelismo che merita meno spiegazioni di tutti. Due personaggi totalizzanti, per i quali non possono esistere mezze misure: o sei con loro, o sei contro di loro, soprattutto i media. Nella loro indole è insito il ruolo dell’antagonista di turno, condizione che spesso li porta a ritrovarsi da soli contro tutti a difendere l’operato della propria squadra, facendo scivolare le attenzioni mediatiche su di loro (ma tutti e due hanno anche tirato alcune frecciatine ai giocatori di Inghilterra e Manchester United, negli ultimi tempi). Nessuno dei due cerca consenso del resto, ma anzi sia il portoghese sia l’australiano sembrano trarre ulteriore vitalità dai continui scontri innescati con i colleghi e la stampa.
Le differenza, perlomeno di recente, stanno tutte nei metodi di allenamento: Eddie Jones, nonostante le ultime difficoltà, non ha smesso di cercare innovazioni e soluzioni nuove per l’Inghilterra, mentre Mourinho sembra essere diventato l’Anticristo per eccellenza del calcio. Lontani sono i tempi in cui veniva considerato un innovatore (al Porto), mentre ora il Manchester United sembra essere sostenuto solo dalla forza dei tanti fuoriclasse presenti nella rosa.

Daniele Pansardi

 

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