WRWC 2017: dopo il Girone, verso la fase finale, con coach Di Giandomenico

Abbiamo intervistato il tecnico della Nazionale Femminile dopo le prime tre partite del Mondiale

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

DUBLINO – Tre sconfitte, contro Stati Uniti, Inghilterra e Spagna, e una fase finale del torneo da giocare a partire da martedì per la parta più bassa del tabellone. Abbiamo intervistato il tecnico della Nazionale Femminile Di Giandomenico.

 

Qual e’ il bilancio dell’esperienza della prima fase della Coppa del Mondo a Dublino?

Riguardo a questa prima fase la nostra posizione nel ranking mondiale non sarebbe cambiata molto se avessimo vinto una partita, quello che sarebbe cambiato e’ avere maggiore fiducia nelle nostre possibilità, una questione di morale, vincere dà sempre fiducia. Avremmo affrontato con un po’ più di fiducia questa seconda fase, ma non per questo la fiducia è venuta meno, il nostro torneo deve andare avanti, come già detto le nostre prestazioni durante le prime due gare sono state di qualità. Uno dei nostri problemi è quando l’avversario ci impone un livello maggiore non sempre riusciamo ad adeguarci ed a rispondere in maniera efficace. Durante la partita con la Spagna si sono viste giocate soddisfacenti purtroppo però ricadiamo in errori simili, abbiamo un giorno di riposo in più così possiamo analizzare e lavorare su questi errori.

 

 

Dovrete affrontare la seconda fase con diversi infortuni…

Sicuramente non ci hanno aiutato nella gestione del gioco e delle ragazze. Questi infortuni non devono scoraggiarci, ma c’è fiducia in tutte le 28 giocatrici, quindi nulla cambia, continuiamo a lavorare e dobbiamo avere fiducia nei nostri punti di forza, che sono tanti e lavorare su questi per proseguire nel torneo.

 

 

Qual era l’obiettivo per questa prima fase della Coppa del Mondo? Questi obiettivi sono stati centrati?

Per gli Stati Uniti testare il nostro livello, e in più siamo riusciti a marcare mete. Ma così come contro l’Inghilterra, non ho nessuna recriminazione. Contro la Spagna avremmo dovuto dimostrare più cattiveria. Il torneo si può dire che è diviso in due fasce, le prime sette/otto squadre dove la caratteristica evidente è la componente fisica delle giocatici, se poi ci si affianca la capacità di gioco che esprimono in partita queste squadre, ecco che la differenza è sotto gli occhi di tutti.

Non siam venuti qui per vincere il Mondiale, ma per dare il massimo e cercare di esprimere al meglio quello che è stato il percorso degli ultimi anni, poi valutare i nostri punti di forza, le aree di miglioramento, dove implementare la nostra preparazione fisica e mentale. Non siamo ancora riusciti a dare il nostro 100%, ma le ragazze hanno messo voglia e lavorato al massimo. Si può chiedere loro una maggiore attenzione in errori d’imprecisione, quello sì.

 

 

Dal punto di vista fisico cosa si può fare nel medio e lungo termine, anchei in vista del campionato italiano?

Per quanto riguarda lo sviluppo del campionato domestico italiano c’e’ stata una crescita, ci sono 20 squadre che inizieranno questo campionato e come sappiamo i miglioramenti e la crescita passano dai numeri, prima allargare la base per poi riuscire a dare qualità, questo sta avvenendo anche se la ricerca di campionati di tipo meritocratico si scontra con esigenze di budget delle società, che fanno sforzi enormi. Ma è grazie a loro che noi siamo qui. La necessità di portare le ragazze, sia quelle che giocano all’estero che in Italia, ad una professionalità supportata: ci sono ragazze che han preso l’aspettativa di due mesi dal lavoro per partecipare a questo torneo. Hanno determinazione e motivazione per giocare.

Sicuramente c’è la necessità di mettere le ragazze in condizione di potersi allenare al meglio, attraverso accademie per esempio, ma sempre con un occhio a vita, scuola, università. Noi non abbiamo strutture come UCD (University College Dublin, ndr) dove le giocatrici si possono allenare, non si parla solo di come ma dove si allenano, di strutture. La strada più adeguata all’interno della nostra realtà è mettere in condizione le ragazze di potersi allenare al meglio

 

 

Avete sofferto la pressione di dover riscattare un anno con molte ombre per le selezioni azzurre?

Il pubblico ci segue e ci dispiace deludere le loro attese, le ragazze sono le prime ad essere dispiaciute se non si raggiungono i risultati. Crescita e livello di qualità del gioco sono risultati positivi, però quando mancano i risultati (vittorie) si è dispiaciuti, anche perché  le ragazze sentono la vicinanza dei tifosi.

Le riflessioni sul periodo difficile del movimento rugbistico in Italia sono legittime e ci si deve risollevare tutti insieme, non può essere un singolo settore, la Nazionale maschile che ha più spinta, è un’esigenza che sentiamo tutti noi appassionati di rugby, arrivare a del gioco e dei risultati per avere soddisfazioni in quello che facciamo, senza considerazioni extra-rugbistiche. Il mondo del rugby femminile è completamente diverso da quello maschile, è impossibile fare delle uguaglianze. Non ci siamo mai sentiti superiori, vogliamo che tutti i settori continuino a crescere e dare soddisfazioni al movimento.

 

 

Cosa si aspetta dalla partita contro il Giappone?

A livello di spirito, il Giappone è una squadra combattiva, gioca 80 minuti, concentrata sui compiti e lavora con molta precisione. Noi abbiamo una difesa di qualità, possiamo marcare a tutti, quello che dobbiamo fare è trovare consistenza negli 80 minuti cioè mantenere uno standard di attenzione e di precisione durante tutta la partita, essere molto concentrate sui compiti individuali e collettivi, ognuno fa il proprio lavoro collegato a quello delle compagne. Non ho cambiato idea sulle potenzialità di questa squadra che può fare bene senza porsi troppi limiti, sappiamo che sarà una partita difficile, ma questo è un mondiale, quindi non ci sono partite facili, Hong Kong ha messo in difficoltà il Galles. Quello che farà la differenza sarà  essere concentrati sui compiti e su questo lavoreremo… e poi vediamo se avremo occasione di avere la rivincita contro la Spagna.

 

di Matteo Mangiarotti

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