In tanti per pochi minuti: un problema chiamato Permit Player

Da occasione di crescita a “supplenti”. Le scelte con poca logica e l’unica soluzione possibile

zebre rugby

ph. Luca Sighinolfi

Sabato le Zebre sono scese in campo a Belfast contro Ulster nel recupero della partita rinviata a novembre causa campo ghiacciato. Nel 23 ducale erano presenti tre permit player: Luigi Ferraro, Julien Nibert, e Malou Mornas. Rispettivamente un tallonatore classe 1982, una seconda linea francese classe 1993 ex Stade Francais e un’apertura francese classe 1995. Questi ultimi militano in Serie A con Colorno. Che ci sia qualcosa che non va, non serve nemmeno scriverlo.

Il tema dei permit player è sempre stato uno dei nodi più difficili da districare dal nostro ingresso nel Pro12. Uno di quei temi caldi, una delle conseguenze più ovvie che la partecipazione al torneo celtico avrebbe fatto emergere, e che probabilmente non è stato affrontato in modo sufficientemente accurato né prima dell’ingresso ma nemmeno adesso a partecipazione in corso.

 

 

Permit player. Chi era costui?

Innanzitutto, va chiarita una cosa. Chi è il permit player e a cosa serve? Due sono le risposte. E’ un giocatore “supplente” che in caso di necessita durante determinati momenti della stagione integra la rosa della squadra celtica. Oppure è un giovane promettente a cui viene data la possibilità di testarsi ad un livello superiore a quello in cui normalmente gioca e a cui potrebbe in un futuro prossimo aspirare. ” Che tipo di giocatore diamo? Non il più forte o il più completo in assoluto, ma quello che crediamo possa avere in futuro le potenzialità per il Pro12 e a cui vogliamo dare questa possibilità”, ci raccontava a proposito di permit nei giorni scorsi l’allenatore delle Fiamme Oro Umberto Casellato. Posto che l’opzione da preferire sia la seconda, questa comporta alcune conseguenze. Innanzitutto che il rapporto tra permit e franchigia non sia saltuario e occasionale ma quantomeno su base regolare: i permit andrebbero identificati ad inizio stagione e fatti lavorare assieme alla franchigie a partire magari già dalla preparazione estiva. Un po’ di numeri della stagione in corso vanno però in direzione opposta rispetto a questo scenario ideale.

 

 

Tanti permit per pochi minuti

Le Zebre Rugby questa stagione (considerando anche le amichevoli) hanno fatto giocare 17 permit player. Si tratta di un pilone, un tallonatore, una seconda linea, otto terze linee, un mediano di mischia e due di apertura, tre ali. Il minutaggio maggiore è quello di Cornelli e Pettinelli, quest’ultimo detentore anche del maggior numero di presenze da permit (4). A parte i già citati Cornelli e Pettinelli, solo Fragnito e Balocchi hanno collezionato più di una presenza: tutti gli altri 13 hanno giocato una sola partita per un minutaggio medio pro capite di 22 minuti. A Treviso ci risultano essere invece 11 i permit impiegati questa stagioni nelle gare ufficiali, con Enrico Francescato l’unico a vestire la maglia dei Leoni in più di un’occasione (2).

La domanda a questo punto è: ha senso nel corso di una stagione chiamare otto diversi permit in terza linea per farli giocare scampoli di partita? Contando che il giocatore arriva il lunedì o il martedì e ha a disposizione per ambientarsi dai due ai quattro giorni di allenamento a seconda del giorno e del luogo di gara, la risposta è no. Testarne meno su base regolare, sarebbe un vantaggio per il giocatore, per la squadra di arrivo dove si inserisce (e re-inserisce) meglio e per quella di provenienza dove torna con un bagaglio tecnico superiore. Questa la teoria e questo quanto fatto in alcuni rari casi in passato (Guidi con il giovane numero 9 Panunzi, per esempio). La pratica, però, è molto più difficile.

 

 

Tanti interessi e troppi ostacoli

Per come è strutturato oggi l’Alto Livello, con franchigie senza Accademie e club di Eccellenza subito sotto nella piramide, i possibili motivi di scontro/confronto sono molteplici. Perché io allenatore di Eccellenza dovrei privarmi di un giocatore forte per mandarlo a giocare venti minuti con la franchigia? Perché io Presidente del club di Eccellenza, che ogni tanto più che un investitore mi sento un mecenate, dovrei privare il mio staff tecnico di un giocatore che ho messo sotto contratto? E se ciò dovesse accadere su base regolare ad ogni finestra internazionale, tanto peggio, anche a fronte del pagamento del gettone di presenza che la franchigia corrisponde al club di provenienza (a proposito, considerando le attuali difficoltà economiche delle Zebre anche sotto questa lente si potrebbe leggere la scelta di chiedere giocatori proprio a Colorno, club sì di Serie A ma “amico” poiché pienamente integrato in orbita franchigia). Regolamentare l’attuale sistema dei permit player è fondamentale (ce ne ha parlato anche Matteo Barbini di GIRA), farlo con l’attuale configurazione del sistema ovale italiano, è davvero difficile.

 

 

Accademie celtiche: la soluzione esiste

Ecco perché in un paese di campanili ovali l’unica soluzione a lungo periodo del problema permit è legare in pianta stabile un’Accademia a ciascuna delle due franchigie. Un’Accademia che funzioni come un’Academy inglese o una squadra Espoirs francese, che condivide campo e allenamenti con la Prima Squadra e che quando necessario le fornisce giocatori. A parole la cosa bolle in pentola da parecchio tempo, ma il prossimo ridimensionamento del sistema Accademie dovrebbe dare la spinta decisiva affinché ciò si realizzi. Da quando le Zebre sono nate, più di 50 permit sono transitati dalla Cittadella per vestire la maglia ducale in allenamento o in partita: alcuni sono poi entrati in Pro 12, (Mbandà, Violi, Steyn, Ruzza, Castello, Palazzani, McKinley, Bisegni,…), ma in molti casi la sensazione è stata quella del “supplente” piuttosto che del giocatore di progetto. Segno che il permit è un’occasione che, se sfruttata, può davvero servire a tutto il movimento.

 

di Roberto Avesani

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