200 metri nuoto ad ostacoli, salto in lungo a cavallo, tuffi a distanza… Le stranezze olimpiche raccontate da Marco Pastonesi
Rugby a sette. Qualcuno la giudicherà una stranezza olimpica, qualcun altro magari si azzarderà a sostenere che è come se i Giochi di Rio de Janeiro ospitassero il calciotto invece del calcio. Ma la storia ci insegna che, soprattutto agli albori della manifestazione a cinque anelli, ci sono stati discipline olimpiche molto più insolite del rugby a sette.
A cominciare dai 100 metri stile libero – nuoto – ma riservati esclusivamente ai membri dell’equipaggio di una nave greca: successe nel 1900, e la gara era così specialistica e selettiva che al pronti-via si presentarono soltanto tre atleti.
Poi il croquet: mazza e palle, archetti e picchetto, il padre del golf e del biliardo. Nel 1900, ai Giochi di Parigi, vi parteciparono sette uomini e anche tre donne, di cui una – Madame Després – era la moglie dell’organizzatore. “Questo gioco – si spiegava – francese nel nome e nell’origine… sviluppa una mente associativa, capace di trasformare le ragazze in ragionatrici e le ragionatrici in persone ragionevoli”. Scarsa l’affluenza: un solo spettatore, inglese, giunto da Nizza per assistere ai turni eliminatori.
Un’altra gara che non ha avuto grande seguito sono stati i 200 metri – nuoto – a ostacoli. Bisognava superare tre difficoltà: la prima era scalare un’asta, la seconda arrampicarsi su una fila di barche, la terza nuotare sotto un’altra fila di barche. A Parigi, nel 1900, vinse un australiano, Freddy Lane, che affrontò le file di barche passando per la prua (le regole, approssimative, lasciavano spazio all’interpretazione). Lane era forte, e conquistò anche i 200 metri, sempre di nuoto, ma a stile libero e senza ostacoli.
Sempre a Parigi, nel 1900, furono inserite due specialità poi subito abbandonate: il salto in lungo e il salto in alto, ma a cavallo. Il primo fu vinto dal belga Constant van Langhendonck, che guidò il suo Extra Dry a una distanza di 6,10 metri. Il secondo si concluse con un pareggio, due medaglie d’oro a pari merito, per i cavalieri Dominique Maximien Gardères, francese, e Giovanni Giorgio Trissino, italiano, e per i rispettivi cavalli Canela e Oreste, capaci di un salto in alto di 1,85.
Più lunga la vita del tiro alla fune: cinque edizioni, la prima ai Giochi di Parigi nel 1900, l’ultima a quella di Anversa nel 1920 (più quella dei Giochi intermedi del 1906 ad Atene), con squadre che variavano la composizione da cinque fino a otto membri. A decretarne la fine, pare, anche qui, la mancanza di un regolamento chiaro e trasparente.
I Giochi di St. Louis, nel 1904, proposero i tuffi per distanza: gli atleti si lanciavano in piscina, poi in acqua dovevano rimanere immobili per 60 secondi, e a quel punto si calcolava la distanza percorsa grazie alla sola spinta iniziale del corpo. Primo si classificò lo statunitense William Dickey, che nella vita fuori dall’acqua avrebbe fatto l’ingegnere: 19,05 metri.
Poliziotti, invece, i due vincitori del getto del peso… pesante: non quello attuale di 7,26 chili, ma quello antico di 56 libbre, pari a quattro pietre, cioè 25,4 chili. Il primo “policeman”, a St. Louis 1904, era Etienne Desmarteau, canadese, che s’impose davanti a cinque statunitensi: assente ingiustificato al lavoro, Desmarteau fu licenziato, ma quando seppero che aveva vinto l’oro olimpico, i suoi superiori fecero finta di nulla e lo riaccolsero con i complimenti. Il secondo “policeman”, ad Anversa 1920, era Patrick McDonald, americano di New York: e a 42 anni e 26 giorni, è ancora oggi il più vecchio atleta ad aver vinto una medaglia d’oro nell’atletica leggera.
E sempre nell’atletica leggera, ecco altre tre specialità particolarissime: il salto in alto, il salto in lungo e il salto triplo, senza rincorsa, ma da fermi. Il dominatore era l’americano Ray Ewry, che dal 1900 al 1912 s’impadronì di otto ori (più altri due nei Giochi intermedi del 1906). Ewry aveva contratto la poliomielite da ragazzo, e si pensava che sarebbe rimasto confinato per sempre su una carrozzina. Invece cominciò a esercitarsi da se stesso, e non solo riguadagnò l’uso delle gambe, ma si trasformò in un atleta superbo: lo ribattezzarono “la Rana Umana”. Fra i suoi record, anche quello in una specialità non olimpica: il salto in lungo all’indietro. Due metri e ottanta. Provate voi.
di Marco Pastonesi
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