Pro Rugby USA: la particolare ricetta di una American Pie ovale

Filippo Ferrarini torna a raccontarci alcuni aspetti del giovanissimo rugby professionistico a stelle e strisce

filippo ferrarini

Dopo un prima infarinata generale su quello che si sta sviluppando oltreoceano, voglio darvi la ricetta di questa American Pie (la loro famosa torta di mele) e come ogni ricetta che si rispetti voglio partire dagli ingredienti base: 20 grammi di zucchero, 4 mele, burro…..
Beh, no, non sono proprio questi i loro ingredienti… ma: qualità degli atleti, cura quasi maniacale del conditioning e del fitness, cura dei dettagli e delle skills.
Il 90% i giocatori sono atleti veri e con atleti veri intendo che hanno un background sportivo invidiabile: infatti a livello di high school e college hanno praticato tutti gli sport dal rugby al basket, dal football all’atletica fino al lacrosse.
Lo sport a livello scolastico qui non è una cosa da poco: gli atleti sono seguiti come i migliori professionisti e hanno accesso ad impianti di allenamento che nemmeno ci sogniamo. Ohio State (il college della città dove vivo) ha un impianto per football, rugby 7 e atletica che nemmeno la più blasonata squadra di calcio possiede. La competizione è altissima e lo sport qui viene preso molto sul serio, dal momento che dà la possibilità di ricevere borse di studio (l’istruzione qui non è proprio regalata) e di conseguenza di avere maggiori possibilità per migliorare il proprio futuro.

 

Alcuni invece arrivano dalla NFL (nella mia squadra c’è ne sono un paio e in totale non penso siano più di 4/5): capacità fisiche e atletiche da extraterrestri e fanno parte di un programma della federazione USA che nasce per introdurli nelle varie nazionali XV e 7. È interessante come siano stati seguiti in questo progetto: sono stati introdotti prima nel campionato domestic a un livello più basso e inseriti in accademie di sviluppo olimpico del seven per curare le skills e introdurli più facilmente al rugby a 15 (non deve essere facile essere abituati a lanciare la palla avanti e a un certo punto vedersela passare indietro), dopo di che sono stati inseriti nelle varie squadre di pro rugby dove stanno continuando a lavorare specificatamente su alcune skills mancanti, in primis la lettura del gioco.

 

Per quanto riguarda la preparazione fisica e atletica mi viene in mente la frase di Daniel Lugo (Mark Whalberg) nel film Pain and Gain: “credo nel fitness”. L’America crede nel fitness. Io ne ho avuto la conferma: sono arrivato a preparazione già iniziata ed in previsione di ciò mi ero allenato al massimo a casa. Qui sono riusciti a condensare la classica preparazione di 2/3 mesi in 3/4 settimane!
L’attenzione è tutta su esercizi che possano simulare il movimento di ciò succede in campo (placcaggio, ruck, scelta davanti alla difesa) riportati però nel fitness. Abbiamo usato gli attrezzi classici della palestra non più di due volte poiché si predilige un lavoro con ruote, sacconi e scudi tutto adattato a un potenziale sforzo e fase di gioco che si può ritrovare poi in partita.
Ovviamente siamo in America quindi è tutto sotto forma di test e vengono raccolti dati ogni giorno per seguire i miglioramenti. Molta attenzione è posta sulla tenuta fisica: alla fine di ogni seduta di fitness c’era da eseguire due volte il bip test (so che tutti sapete di cosa si tratta: i primi giorni mi svegliavo con gli incubi …level 15 start…level 18.1…).

 

Per quanto riguarda il rugby le squadre sono composte da giocatori suddivisi in 3 livelli: tier 1,tier 2, tier 3. Dove tier 1 sono i giocatori con cap nelle Eagles o nei Falcons (nazionale A) e giocatori stranieri, tier 2 sono giocatori di sviluppo e giovani di interesse nazionale e tier 3 sono giocatori part time ai quali è concesso di mantenere il proprio lavoro e spesso sono giocatori locali.
I team sono composti dal 95 per cento di giocatori delle prime 2 fasce, ma l’eterogeneità della rosa porta a curare tutti i livelli del gioco e tutte le skills, da quelle più base della scuola rugby, dal più semplice passaggio all’offload, dal due contro uno e scelte davanti alla difesa fino alle piccole malizie europee. L’obiettivo è che ogni giocatore possa fare tutto (un po’ come nel 7). Ogni atleta risponde con impegno e dedizione, ogni giocatore è una spugna che vuole assorbire più rugby possibile. Questo ben rappresenta quanto questa nazione voglia, con tutta se stessa, respirare rugby. L’America è un paese ambizioso e l’aria migliore, si sa, si respira in cima alla vetta.

 

di Filippo Ferrarini

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