Sei Nazioni: l’Italia del rugby sogna, l’Inghilterra la sveglia. A Roma il risultato è 40-9

Appena tornato da Roma, che dire: non mi illudevo certo di vedere gli azzurri battere gli inglesi, ma, dopo l’exploit di Parigi, il cigno è tornato anatroccolo. Dopo la partita sono stato al pub, dove ho raggiunto degli amici irlandesi, anche loro erano stati allo stadio e commentavano mesti che per un tempo l’Italia aveva retto bene, ma poi…cosa è successo? E l’espressione era di chi si chiede come sia possibile rivedere, più o meno puntuali, le stesse scene di anno in anno da 15 anni a questa parte. Ed è proprio quello il punto: cambiano i giocatori, cambiano gli allenatori ma l’esito non cambia. L’Italia del rugby perde, spesso pesantemente e noi stiamo qui a snocciolare le autogiustificazioni postume: se non avessimo fatto quell’errore al 53′ (questi sono i giovani: prendere o lasciare), se non ci fossero stati quei 3 cambi precoci (gli infortuni fan parte del gioco), se Canna l’avesse messa tra i pali (e quando falliscono i calciatori altrui?) e via discorrendo. La verità è che, finchè han avuto fiato e testa, gli azzurri son riusciti a reggere la pressione inglese, sia pure con alcuni scricchiolii. E qui va fatta una menzione speciale a Garcia che ha messo pezze a buchi vari in difesa, magari ce ne fossero tanti in grado di difendere come lui! Ma la pressione inglese cresceva col passare dei minuti, dalla tribuna si vedeva chiaramente ed infatti la loro meta è arrivata proprio da un placcaggio che ha rispedito indietro i nostri ben all’interno dei 22, da lì han recuperato il possesso e liberato Ford al largo. Nel I tempo abbiamo provato anche a giocare, a fare possesso, ma sono emersi i limiti del nostro incerto passing-game: provate, se rivedrete la partita, a confrontare la sicurezza con cui i tre quarti inglesi si scambiavano la palla in velocità, rispetto alle indecisioni dei nostri. Nel II tempo, al di là dell’intercetto, i nostri sono stati distrutti sui breakdown: la differenza tra il lavoro delle terze inglesi con quelle italiane è stata enorme. E ne ha sofferto la nostra mediana, in particolare Gori che è incappato in una giornata molto negativa, piena di passaggi sbagliati e spesso fuori tempo nel gestire i ritmi del gioco. Anche la mischia ha sofferto tanto e forse, col senno di poi, si poteva provare a mischiare un po’ le carte. Negli ultimi 20-25 minuti la linea difensiva non era mai e poi mai avanzante. La lezione di oggi, in conclusione, è stata una: nel rugby non s’improvvisa nulla, non bastano gli uomini della provvidenza (alla Parisse oggi e domani, chissà, forse Canna o qualcun altro) nè i giovani di belle speranze. Una squadra organizzata, in cui ognuno sa esattamente cosa fare e quando farlo, i cui elementi emergono da una selezione progressiva durissima fin dalle giovanili, batterà sempre chi si affida alle soluzioni estemporanee e vuole illudersi che basti una rondine a far primavera.