Verso le Olimpiadi 2016: la palla ovale rotola già a Rio, sulla sabbia di Copacabana

Marco Pastonesi ci racconta un po’ di cose del movimento rugbistico brasiliano, partendo da un luogo celebre

Rio de Janeiro, Copacabana

Sta a Copacabana. Nel punto in cui l’Avenida Atlantica, che incornicia la spiaggia più celebre del mondo, piega verso il centro caldo e colorato di Rio de Janeiro. Due porte con i pali, conficcati nella sabbia. Non paralleli al mare, come tutti gli altri piccoli santuari dello sport, ma perpendicolari alle onde. Come a confermare una diversità, una originalità, una peculiarità tutta sua. Un altro mondo, quello ovale, soprattutto qui, nel regno del calcio.
Il campo da rugby sulla spiaggia di Copacabana è stato inaugurato nel giugno 2015. E’ il primo e, finora, unico campo da rugby – beach rugby – a Rio. Un avamposto, un presidio, forse anche un omaggio. Circondato da campi devoti al calcio, dedicati al futivolei (il calcio giocato con le regole della pallavolo), riservati alla pallavolo, al badminton, ai racchettoni. Assediato dagli spazi per il surf, il windsurf e la vela. Sfiorato da podisti e ciclisti, da triatleti e nuotatori. Osservato, con curiosità, da turisti e passanti, e anche da tutti quelli che si cimentano in piegamenti e trazioni nelle minipalestre – sbarre, parallele, quadri – che disciplinano e sagomano i muscoli di chi è carioca anche per un solo giorno l’anno.

 

Il 2016 è l’anno dell’Olimpiade di Rio. E il rugby torna olimpico, anche se nella versione a sette. Quel campo sulla spiaggia di Copacabana sta lì quasi a ricordare e celebrare l’evento. Strano, a questa latitudine. E pensare che il pallone ovale arrivò in Brasile più o meno nella stessa epoca in cui apparve anche quello sferico.
La prima squadra di rugby risale al 1891: il Clube Brasileiro de Futebol Rugby, a Rio. Non durò molto. Nel 1895 il centro di questa eredità britannica si spostò a San Paolo: il pioniere si chiamava Charles Miller, era brasiliano ma vantava origini inglesi, aveva studiato in Inghilterra, e in Inghilterra aveva conosciuto questo gioco educativo, allo stesso tempo elegante ed esuberante, e ne era rimasto affascinato tanto da introdurlo nell’Athletico Club di San Paolo. Ma la diffusione rimaneva stretta fra gli inglesi di importazione. Finché, negli anni Venti, il rugby cominciò a essere meno precario: merito di uno scozzese, Jimmy  MacIntyre, e di un inglese, Gordon Fox Rule, che nel 1925 fondarono il Sao Paulo Rugby Football Club, collegato all’Associazione Atleticas das Palmeiras, mentre a Rio si espandeva nel Rio Cricket and Athletic Association e a Santos – la squadra bianca della Perla Nera: Pelé – nel Santos Athletic Club.
Poi le prime partite, i primi tornei, i primi campionati, i primi match internazionali contro gli Junior Springboks sudafricani nel 1932 e una selezione britannica, antenata dei Lions, nel 1936. Fino agli anni Duemila, con il Brasile impegnato in un Sei Nazioni sudamericano, categoria A, in cui lotta per non retrocedere nella categoria B.

 

Oggi il rugby brasiliano è a XV e a sette, è uomini e donne (le donne più forti degli uomini), è tutti i 27 stati della repubblica, è circa 250 club e diecimila giocatori tesserati (ma quarantamila stimati), è associazioni come il progetto Vor, Vivendo o rugby, del Curitiba Rugby Clube, che si è guadagnato un premio speciale dell’International Board nel 2014 per la sua opera di divulgazione sociale, soprattutto nelle scuole e per i più poveri, secondo lo spirito del gioco.
A fine gennaio il campo di Copacabana avrebbe dovuto ospitare un torneo internazionale di rugby da spiaggia, per uomini e donne, ma all’ultimo istante gli organizzatori, costernati, si sono visti costretti ad annullare la manifestazione per dissidi e disaccordi con l’amministrazione municipale. Quattro squadre femminili hanno così improvvisato, su un’altra spiaggia, quella di Flamengo, un torneo cinque-contro-cinque. Tra sole e mare, tra placcaggi e mete, tra attimi di eterna bellezza e giovinezza.
Mancano sei mesi alla cerimonia di apertura dei Giochi di Rio (dal 5 al 21 agosto). E il rugby ha lanciato la sua sfida bislunga. A suo modo, un Carnevale. Un Carneovale.

 

di Marco Pastonesi

 

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