Il Pro12 come calamita per allenatori stranieri: un’occasione (fin qui) persa

L’arrivo di Crowley può segnare una svolta. Ma devono essergli affiancati assistenti italiani

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

“Sull’aver preferito aprire più Accademie a discapito della formazione dei tecnici, la questione è particolare. Dovevamo aspettare altri anni, e poi le Accademie formano anche i tecnici, che sono affiancati da Tutor. E se non davamo loro le Accademie dove si potevano formare? E’ un po’ come l’uovo e la gallina”. Così rispondeva il Presidente Gavazzi nel dicembre 2014 ad una precisa domanda fatta da OnRugby durante uno dei tradizionali pranzi/incontro con la stampa. Sono passati diversi mesi, ma il problema della formazione dei tecnici è una questione sempre attuale e uno dei punti decisivi in cui si gioca la sfida del definitivo salto di competitività nell’alto livello. E a pochi giorni dall’esonero di Umberto Casellato da parte della Benetton Treviso, assume un ulteriore significato.

 

Quando nel maggio 2014 la società veneta aveva annunciato di aver affidato l’incarico di capo allenatore a Casellato, il tecnico trevigiano si trovava in Nuova Zelanda invitato da John Kirwan agli Auckland Blues, come ci aveva raccontato. Le cose con i Leoni sappiamo come sono andate, restano però l’intraprendenza e l’umiltà di chi va a scuola dai professori (e che professori, in quel caso) per imparare. Ora, pensare che tutti i tecnici italiani frequentino uno scuola a quasi 20.000 chilometri di distanza è impensabile (però la federazione potrebbe pensare a un piano in tal senso). Piuttosto, portare qui un Professore con la P maiuscola potrebbe essere un buon compromesso. I discepoli vanno dal maestro, e a cascata ne giovano tutti, dal Pro12 in giù.

 

Già perché se è vero che il torneo celtico ha rappresentato per i giocatori l’occasione si confrontarsi con squadre di alto livello nel corso della stagione, è altrettanto evidente che la partecipazione di due squadre italiane ad una competizione di questo livello può rappresentare per il movimento un biglietto da visita credibile per bussare alla porta di importanti tecnici stranieri (dal Pro12 sono passati, tra gli altri, Cheika e Schmidt). Avere tra le mani una patata così bollente (e costosa) e per principio privarsi della possibilità di usufruirne per attrarre allenatori stranieri di primo livello, è semplicemente deleterio. Anche perché, premessa una simile chiusura e posto il basso livello dell’Eccellenza, l’unica panchina italiana rimasta “appetibile” sarebbe quella Nazionale. Ma la situazione con l’arrivo di Crowley a Treviso potrebbe cambiare.

 

In un mondo ideale, affiancare ad un head coach celtico straniero degli assistenti italiani non sarebbe così senza senso. Con questo non si vuole assolutamente affermare che Casellato non fosse o Guidi non sia un allenatore adatto al livello celtico. Semplicemente, è un modo, neanche troppo complicato, per iniziare a risolvere uno dei problemi atavici del rugby italiano. Anche perché è molto peggio un tecnico non preparato alla guida di un’Accademia che un tecnico non preparato alla guida di una franchigia: quest’ultimo al più fa danno temporanei, il primo permanenti.

Di Roberto Avesani

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