Anacleto Altigieri, il ricordo corre nelle parole di chi lo ha conosciuto

Momenti di vita e di rugby: Marco Pastonesi raccoglie scatti fotografici verbali per ricordare un gigante buono

ph. Sarah Williams/Action Images

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Lunedì scorso è morto Anacleto Altigieri, pilone sinistro, 27 “caps” con la Nazionale. Altigieri Paoletti Bona equivaleva al Sarti Burgnich Facchetti: il primo respiro di una formazione, ma anche di una storia e di una grammatica, di una preghiera o di una minaccia. Altigieri rappresentava, interpretava, era anche un rugby: né migliore né peggiore, ma certamente diverso da quello di oggi. Questa è la quinta puntata di un breve viaggio in quel rugby, nel rugby di quell’epoca, e di quei valori.

 

“Paolo Rosi, in tv, lo chiamava ‘la roccia’, ‘la diga’, ‘il muratore di Oriolo’” (Pietro Monfeli).

“La sua specialità era prendere con una sola mano un blocchetto di mattoni, peso 28 chili, e depositarlo sul camion” (Walter Cemicetti).

“In camera, insieme, perché tutt’e due russavamo e nessuno voleva dormire con noi. Mi disse: ‘A frascata’, la Federazione vuole fare il logo sulle maglie. I francesi hanno il galletto, i sudafricani l’antilope, gli australiani il canguro, gli argentini il puma. Perché sulle nostre non ci mettiamo il cinghiale?” (Paolo Paoletti).

“Sono un cacciatore, diceva. Ma era molto di più. Amava la terra e la natura, gli alberi e i fiumi, amava gli animali e li proteggeva” (Adina Berti).

“Ci fece conoscere la Mola, il parco e la cascata. Esplorava, custodiva, costruiva a sue spese. Per verificare lo stato di salute delle acque sulfuree, portava un canarino in gabbia come rilevatore naturale” (Adina Berti).

“Era anche un artista. Con le mani creava opere d’arte: camini, forni, fontane… I forni li aveva studiati a Pompei. E per i camini s’ispirava a Gaudì” (Pietro Monfeli).

“Altigieri Vitelli Bona. Con una prima linea così, alla Rugby Roma, si partiva dal pareggio e non si poteva che arrivare alla vittoria” (Giorgio Lari).

“In quegli anni, in campionato, c’erano almeno cinque prime linee di valore internazionale. Roma, L’Aquila, Petrarca, Rovigo, Treviso… Gente forte, dura, orgogliosa, e molto ignorante” (Fulvio Di Carlo).

“Ogni volta che giocavamo contro la Rugby Roma, quella di Altigieri e Bona, comunque andasse, andava bene. Perché se perdevi, perdevi contro uomini eccezionali. E se vincevi…” (Pietro Mariani).

”L’Aquila e Roma: nemici in campionato, amici e complici in Nazionale” (Fulvio Di Carlo).

“In partita me diceva: ‘A Barge’, nun me rompe er cazzo’” (Franco Bargelli)

“Anacleto puzzava. Ma era una puzza meravigliosa” (Ambrogio Bona).

“Indossava una pancera vecchia, conciata e addomesticata. Così vecchia che dimostrava cent’anni, così conciata che non serviva a nulla, e così addomesticata che ormai s’infilava da sola, bastava allargare le braccia” (Michele Mezzatesta).

“Era una pancera miracolosa: camminava da sola” (Ambrogio Bona).

“Parma, prima di Italia-Romania, a tavola. L’unico posto libero era nel tavolo dove stavamo io, Anacleto e Monfeli. Ivo Mazzucchelli venne invitato a sedersi con noi. Disse: ‘Non vorrei disturbare i professori’” (Paolo Paoletti).

“Venni convocato d’urgenza a Parma, dalla Nazionale juniores a quella maggiore, per Italia-Romania. L’unico posto libero era nel tavolo dove stavano Anacleto, Paoletti e Monfeli. ‘A frascata’ – mi dissero – vie’ qua’. Mi tirarono di tutto” (Franco Bargelli).

“Poi in allenamento volevo mettermi in luce e placcavo anche l’erba. Anacleto mi disse: ‘A Fra’, ma la voi fa’ finita? Tanto nun te fa gioca’. Fatte li cazzi tua’” (Franco Bargelli).

“Catania, Amatori Catania-Rugby Roma, per l’occasione al Cimbali e non al Fontanarossa. Piloni Anacleto e Gini, io tallonatore. A un certo momento presi una testata, io svenni e l’altro pure. Dieci minuti giù, privo di sensi. A quel tempo non esistevano sostituzioni. Quando tornai al mondo, vidi, sopra di me, Anacleto. ‘Ahò – mi ordinò – tìrate su’” (Michele Mezzatesta).

“Ad Anacleto piaceva la Befana. Lui, Babbo Natale, non sapeva neanche chi fosse” (Pietro Monfeli).

“Ad Anacleto piaceva Adriano Celentano. Conosceva tutte le sue canzoni a memoria” (Ambrogio Bona).

“Però la sua canzone preferita era ‘Lu pisce spada’, di Domenico Modugno. Sprofondava sul sedile del pullman e se la faceva cantare: ‘Ah, lu vitti, lu vitti, ah, lu vitti ‘mmenzu lu mari, beddi mei…’. E’ la storia d’amore di una coppia di pesci spada. La femmina viene catturata durante la mattanza ed esorta il maschio a salvarsi, ma lui si fa prendere per morire con lei” (Mariano Falsaperla).

“Anacleto era astemio. Meglio così. Se avesse bevuto, avrebbe potuto diventare anche pericoloso” (Walter Cemicetti).

“A tavola. Bollesan, da dietro, sottrasse una bistecca dal piatto di Anacleto. Anacleto gli afferrò la mano e gliela strinse. La mano si gonfiò, cambiò colore, diventò viola. ‘Anacle’ – lo implorai – mollagliela se no si stacca’” (Ambrogio Bona).

“Anacleto era goloso di dolci” (Adina Berti).

“Lo ammiravamo e lo prendevamo in giro. Quando aveva successo con una bella ragazza, dicevamo sempre: non è possibile che Anacleto se ne faccia una così” (Walter Cemicetti).

“Un giorno, in macchina insieme, gente sul ciglio della strada, una Fulvia HF che stava sprofondando in un fiumiciattolo. Anacleto e Pietro si tuffarono per salvare chi era rimasto intrappolato dentro” (Rossana Monfeli).

“Ambasciata della Romania. Scalinata. Un maggiordomo ci guardò, allarmato, forse terrorizzato. Domandò: ‘Ma quanti siete?’. Anacleto cantò: ‘Semo tutt’una famija, semo in centoventitrè’. E noi altri, in coro: ‘Paraponzipò paraponzipò’” (Pierluigi Camiscioni).

“Tour in Sud Africa, Port Elizabeth, Leopards-Italia. Poi, all’aeroporto, un fotografo sudafricano ci regalò fotografie della partita. In una c’eravamo io e Anacleto. Allungai il braccio e la presi al volo. Poi cominciai a correre dentro e fuori il terminal, inseguito da Anacleto” (Paolo Paoletti).

“Rugby Roma-Cus Genova. Altigieri-Vitelli-io, Abbiati-Paoletti-Franzoni. Franzoni aveva le maniche tirate su. Anacleto mi disse di dire a Franzoni di tirarsi giù le maniche, e io gli dissi che non potevo farlo. Allora Anacleto mi disse di dire all’arbitro di dire a Franzoni di tirarsi giù le maniche, io glielo dissi e l’arbitro disse che non poteva farlo. Allora Anacleto afferrò le maniche di Franzoni e gliele tirò giù. Al che Bollesan, capitano del Cus Genova, se la prese con i suoi: ‘Belìn, ma vi fate fare proprio tutto e di tutto’” (Ambrogio Bona).

“Smesso di giocare, un giorno finalmente andai a Oriolo, invitato da Anacleto nel suo ristorante Al Riposo. Magnato e bevuto a sfinimento. E ancora non so come, quando e con chi tornai a casa, a Frascati” (Franco Bargelli).

“Ogni tanto mi scappava una parola in veneto. ‘Mona’, per esempio. Anacleto mi disse che non dovevamo perdere le nostre radici laziali, anzi, viterbesi. E mi fece giurare che ogni parola in veneto sarebbe stata punita con cinque capocciate contro il muro. Da quel giorno fui attentissimo a come parlavo. E dopo 50 anni vissuti a Padova, grazie ad Anacleto, parlo ancora viterbese” (Pietro Monfeli).

 

di Marco Pastonesi

 

La prima puntata: “Bona ricorda Altigieri”

La seconda puntata: “Monfeli ricorda Altigieri

La terza puntata: “Altigieri nelle memorie di Camiscioni

La quarta puntata: “Campi, bar e “crognolini”: con Cemicetti nel rugby che non c’è più

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