Campi, bar e “crognolini”: con Cemicetti nel rugby che non c’è più

Nuovo appuntamento con Marco Pastonesi che prosegue nel suo viaggio a ritroso nella palla ovale italiana

ph. John Sibley/Action Images

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Lunedì scorso è morto Anacleto Altigieri, pilone sinistro, 27 “caps” con la Nazionale. Altigieri Paoletti Bona equivaleva al Sarti Burgnich Facchetti: il primo respiro di una formazione, ma anche di una storia e di una grammatica, di una preghiera o di una minaccia. Altigieri rappresentava, interpretava, era anche un rugby: né migliore né peggiore, ma certamente diverso da quello di oggi. Questa è la quarta puntata di un breve viaggio in quel rugby, nel rugby di quell’epoca, e di quei valori

 

Scritto così: Cimicio. Pronunciato così: Cìmicio. E detto così, Cimicio, non per colpa dei parassiti, ma per merito del cognome: Cemicetti, poi abbreviato e corretto in Cimicio, su licenza poetica. Se fosse stato ciclismo, Cimicio sarebbe stato a ruota di Anacleto. Se fosse stata atletica, in una staffetta ne avrebbe raccolto il testimone. Se fosse stato pugilato, avrebbero fatto parte della stessa categoria, massimi. Ma le loro vite si sono unite nel rugby, che è anche atletica, a volte pugilato, in un certo senso – quello del pedalare, con o senza bici – addirittura ciclismo, ma che è infinitamente di più.
Itis di Viterbo: tutto è cominciato lì. “Anacleto del ’49, io del ’50. Anacleto pilone, io seconda. Anacleto e io nella stessa scuola, poi nel Rugby Viterbo, Sorbini il presidente storico, un tipografo che stampava manifesti per protestare contro illeciti e denunciare abusi, e Casciani l’allenatore, un professore di educazione fisica innamorato del pallone ovale. E’ stato Anacleto a consigliarmi di seguirlo nelle Fiamme Oro, e lì ho giocato tre anni. Ed è stato Anacleto a propormi di seguirlo nell’Algida Roma, e lì lui 144 e io 87 partite in serie A. Al colloquio con i dirigenti, al circolo Aniene di Roma, mi ha accompagnato Anacleto, come se fosse stato mio padre. Solo che io ero in giacca e cravatta, lui in pantaloni corti, sandali francescani e maglietta zozza di calce. ‘Anacle’, nun te potevi vesti’ mejo?’. ‘A Cimicio, nun te preoccupa’, ce penso io’. Quando siamo entrati nel salone d’onore, accolti dai dirigenti, lui tuona: ‘Eccoce’.

 

E poi tutti gli allenamenti insieme: tre volte la settimana, a Roma. E tutte le trasferte insieme: Anacleto partiva da Oriolo, in macchina, salivamo sul treno a Viterbo, a Orte ci aspettavano pullman e squadra”.
Stadio Fratelli Cervi, oggi Lanfranchi, di Parma: tutto è passato di lì. “Parma-Roma. Touche, quando non esistevano ancora gli ‘ascensori’. Io quarto uomo e secondo saltatore. Dall’altra parte un romeno, enorme, con un occhio bendato, come se fosse un pirata. Fino a quel momento gliele avevo rubate tutte, perché lo battevo in agilità. Dunque, touche. Stavolta la prendo a due mani. Il romeno mi cinge un braccio intorno al collo, mi tira indietro e mi fa cadere a terra. Sopra di me crollano quattro o cinque dei loro e quattro o cinque dei miei. Il romeno non molla il collo e il peso è insopportabile. Non respiro più. Mi sento mancare l’aria e le forze. Consapevolmente, coscientemente, mi accorgo di essere sul punto di morire. ‘Qui – mi dico con l’ultimo barlume di lucidità – si parte’. Ma proprio in quell’istante, inaspettatamente, miracolosamente, il braccio che mi sta strozzando cede. A uno a uno si alzano gli uomini sopra di me. L’ultimo, il romeno, non si muove. E’ svenuto. ‘Arbitro – accusa il capitano del Parma – calcio in testa’. ‘No – difende Anacleto, il nostro capitano – non è stato un calcio’. E precisa: ‘Gli ho dato un crognolino, se no Cimicio moriva’. Il crognolino era una sua specialità: un pugno assestato con le nocche. L’arbitro sentenzia: ‘Se non è stato un calcio, allora mi è piaciuto’. E si va avanti”.

 

Ogni campo ha un ricordo. “Roma, Flaminio, Algida-Petrarca. Fedrigo, seconda del Petrarca e della Nazionale, alto, forte, cattivo. Partita combattuta, tirata, punto a punto. Fedrigo punta Gargiulo, il nostro mediano di mischia. Anacleto lo avverte. Alla prima azione Fedrigo tira una pizza a Gargiulo. E Anacleto, come promesso, gli molla un pugno dal basso verso l’alto. Fedrigo casca come un elefante: prima su un ginocchio, poi sull’altro, quindi su un fianco, infine steso a terra. Anacleto va dall’arbitro, gli dice ‘ciao’ e si autoespelle. Il primo caso di autoespulsione nella storia del rugby”.
Se ogni campo ha un ricordo, ogni bar ha un’avventura. “Fiamme Oro di Padova. Quelli dell’atletica, seri, e quelli del rugby, casinari. Un giavellottista fa il grande. Allora si organizza una sfida al bar dello spaccio: spettatori tutti i celerini, arbitro un brigadiere, sedie e tavolino, gomiti appoggiati, mani impugnate, ‘pronti?’ fa l’arbitro, ‘pronto?’ ripete Anacleto, ‘pronto’ conferma il giavellottista, Anacleto gli sbatte giù il braccio, e con il braccio sbatte giù anche il tavolino, frantumato”.
E se ogni bar ha un’avventura, ogni camera ha una storia: “Nessuno voleva stare in camera con Anacleto. Russava come un treno: gli avanti non avrebbero dormito per il rumore, i trequarti sarebbero morti di paura. L’unico che poteva dormire con lui ero io: siccome ero nevrotico, tanto non dormivo mai”.

 

di Marco Pastonesi

 

La Federazione ha reso noto che nel weekend sarà osservato su tutti i campi un minuto di silenzio in ricordo di Anacleto Altigieri e Gennaro Mancini.

 

La prima puntata: “Bona ricorda Altigieri”

La seconda puntata: “Monfeli ricorda Altigieri

La terza puntata: “Altigieri nelle memorie di Camiscioni

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