Dal Pro12 al Petrarca, passando per Accademie e fischietti: la via di Andrea Cavinato

Il coach del club padovano rilascia a OnRugby una intervista a 360° dove i temi trattati sono davvero tanti

ph. Corrado Villarà

ph. Corrado Villarà

Andrea Cavinato non ha bisogno di presentazioni: tecnico apprezzato e vincente, un anno fa ha interrotto bruscamente la sua esperienza alle Zebre per uno scontro verbale e fisico con il ds Roberto Manghi. Della vicenda non ne parla perché c’è un contenzioso ancora aperto, ma con OnRugby l’allenatore del Petrarca Padova affronta un po’ di tutto. E intervistato qualche ora prima del calcio d’inizio del primo derby celtico della stagione parte proprio da qui, dalle nostre due franchigie di Guinness Pro12.

 

Zebre e Treviso e Benetton Treviso, che stagione hai visto finora?
Non ho potuto vedere molte partite perché ero impegnato con il Petrarca. Da esterno mi aspettavo che sia Treviso che Zebre occupassero una posizione migliore in classifica visto che entrambe si sono rinforzate sul mercato e hanno un anno di esperienza in più. Poi il Mondiale per un paio di mesi ha portato via tanti giocatori soprattutto a scozzesi e gallesi, in quel frangente pensavo potessero giocarsela alla pari anche con squadre che normalmente sono molto più forti anche in virtù di budget molto diversi. Soprattutto dalle Zebre mi aspettavo qualcosa di più: hanno un grandissimo capitano, George Biagi è persona di grande spessore umano e rugbistico. Credo che abbiano bisogno di continuità per cementare un ottimo gruppo. Però ci sono ancora un po’ di mesi di partite. I bilanci facciamoli alla fine.

 

Jacques Brunel, ct della nazionale ormai in uscita: guiderà l’Italia al Sei Nazioni e poi forse – ancora non è chiaro – anche nel tour estivo ma dal primo luglio la panchina azzurra avrà sicuramente un nuovo titolare. Brunel vive a Parma, ma quanto si è realmente interessato delle Zebre, quante volte veniva al campo a consigliarsi o a dare indicazioni, almeno nel periodo in cui hai allenato i bianconeri?
Preferisco non parlare di queste cose. Brunel comunque interveniva e dava delle direzioni da seguire.

 

Eccellenza: che torneo hai ritrovato dopo quasi tre anni? E’ migliorato o peggiorato? Ci sono novità o bene o male l’andazzo è sempre lo stesso?
Secondo me è leggermente migliorata. Le squadre cercano di dare più ritmo e giocano più con la palla in mano. Trovo però che a fare grandi passi avanti sia stata soprattutto la classe arbitrale: tutti questi nuovi giovani magari non sempre sono ancora tecnicamente preparatissimi per ogni situazione del gioco ma sono tutti molto bravi nel rapporto con i giocatori, hanno piacere nel partecipare al gioco e questo è molto importante. Magari è perché hanno la stessa età, ma sanno parlare con loro e lasciano il palco agli atleti, non vogliono fare i protagonisti. Prima non era così, ora è tutto più semplice e questo è un merito indubbio dell’Accademia arbitrale. Questi giovani fischietti hanno tutti delle grandi possibilità di arrivare nell’alto livello.

 

Il Petrarca sta facendo un grande campionato dopo alcune stagioni difficili
E’ un lavoro partito tre anni fa con Salvan e Moretti. Non sono parole dette così tanto per dire, ma il lavoro che hanno fatto con questi giovani è davvero importante. Hanno costruito dei ragazzi che giocano da qualche anno in prima squadra con tutte le esperienze del caso. E’ fondamentale credere nei propri giovani. Credo che la forza di questa società sia proprio nell’appartenenza e nella volontà di voler fare con le proprie forze e i propri giocatori. Gran parte dei giocatori della nazionale arriva proprio da qui, da Padova, non è un caso. Stiamo andando bene ma dobbiamo sudare fino alla fine, nessuno pensi che siamo già nei primi quattro, sarebbe un errore gravissimo farlo. Io? Ho ritrovato la serenità e la felicità di allenare.

 

Spesso negli scorsi anni hai criticato i giovani che uscivano dalle accademie per il tipo di atteggiamento mentale: dicevi che molti di loro pensano di essere già arrivati e che un certo percorso lo ritengono quasi obbligato. E’ così anche per i giovani accademici che giocano in Eccellenza o c’è una mentalità un po’ diversa?
C’è una notevole differenza in effetti. Sono sempre stato contrario alla squadra delle Accademie che partecipa alla Serie A perché manca un elemento fondamentale come la diversità di età che significa trasferimento di conoscenze ed esperienza, cosa che invece succede nei club dell’Eccellenza. Da quando c’è il Pro12 io vedrei molto, molto meglio che Treviso e Zebre avessero la loro Accademia e ci fosse un interscambio continuo con la prima squadra per permettere ai più giovani di crescere velocemente. Oggi invece abbiamo accademie che sono là, da sole e slegate da tutto.
Il senso di appartenenza nel rugby è fondamentale, non si può affrontare questo sport senza e credo che l’Argentina all’ultimo Mondiale abbia dato l’ennesima dimostrazione in tal senso. Se vogliamo cancellare i club o trasformarli in un sottoprodotto abbiamo già perso in partenza.

 

I club al centro del movimento quindi?
I giovani ritrovano il senso appartenenza nelle loro società, è fondamentale per spingersi oltre le proprie possibilità, per cercare qualcosa in più in se stessi quando si è in difficoltà. E’ una religione, non puoi indossare con la stessa disinvoltura qualsiasi maglia, anche se importante.
Questo manca ai ragazzi delle accademia, fatto salvo che le accademie sono importanti ma non vanno create dove ci sono club o aree storicamente forti nella costruzione dei giocatori. Le trovo inutili in Veneto, le trovo inutili Roma e a L’Aquila. La trovo inutile anche a Calvisano. Trovo inutili quelle accademie che si sovrappongono ai club, perché lo stesso lavoro puoi farlo all’interno del club e fare un campionato dove le accademie si scontrano con le giovanili delle società. So che esiste un torneo delle accademie e si dice che serve per alzare il livello ma io una volta ho visto una partita tra l’Accademia di Mogliano e quella di Prato: dopo 20 minuti stavano già 40 a 0, a chi serve questa cosa? Che livello vogliamo alzare, di cosa stiamo parlando?

 

A proposito di giovani, servirebbe un campionato U20?
Ne servirebbe uno U19. E poi uno U17 e U15. Se metti in piedi un torneo U20 ogni società ha bisogno di creare quattro squadre, ovvero l’U14, l’U16, l’U18 e l’U20. Con una U19 sono solo tre. Io tornerei al dispari come una volta, con il secondo anno dell’U17 che può salire in U19. Avrebbe dei benefici diretti fino all’Eccellenza: io posso attingere all’U18 del Petrarca, ma quanti hanno a disposizione lo stesso bacino per qualità e quantità? Credo pochi. Con un U19 di due anni potremmo fare un lavoro di alto livello.
Faccio un esempio: ho analizzato partite che una volta erano la storia del rugby giovanile, tra queste anche Petrarca-Rovigo U18 e i dati lasciano basiti. Si parla di meno di 20 minuti di gioco effettivo, il Petrarca ha fatto 36 placcaggi, una cosa inesistente. Oppure 40 touche perché le due squadre calciavano continuamente in rimessa laterale pur di non giocare palla in mano. Un torneo che non ha stimolo, velocità e competizione. Poi nell’U18 ci sono tre anni, davvero tanti, troppi. Non critico chi ha provato a fare questo esperimento, ma intelligenza vuole che davanti a un fallimento si alzi la mano e si dica “non funziona, torniamo indietro”. Continuare a sbagliare è allucinante, secondo me.

 

Dalle Accademie escono tantissimi giovani, ma tanti sono anche i buoni prospetti in Eccellenza…
Credo che sia arrivato il tempo veramente di credere fermamente sui nostri giocatori. Stranieri a fine carriera o eleggibili e oriundi mediocri non ci servono, anzi , penso siano dannosi per il movimento. Le franchigie erano nate per tenere in Italia i nostri migliori profili e per far crescere gli italiani di talento, non credo che i risultati potrebbero essere peggiori, anzi.

 

Come hai vissuto l’esonero di Filippo Frati, che ha così stupito per la tempistica e fatto tanto discutere?
Non conosco la situazione interna al Rovigo, preferisco non esprimere giudizi. Umanamente però l’ho vissuto molto male, ma non entro nello specifico.

 

Abbiamo parlato della costruzione dei giocatori, ma quella dei tecnici?
Penso che un giocatore per diventare un grande giocatore debba fare un percorso. Un allenatore per diventare un grande allenatore, o un ottimo allenatore, un buon tecnico, deve fare un percorso. Se togliamo delle tappe a questo allenatore alla fine mancherà qualcosa. Per formare un tecnico ci vuole tempo, non si può pensare che un giocatore possa diventare un bravo allenatore solo perché è stato un internazionale con molti caps. La trovo una cosa non corretta, è come se andassi all’università uscendo dalle elementari: fare il giocatore e l’allenatore sono due cose diversissime. Leo Cullen con il Leinster è solo l’ultimo esempio. Non si può saltare così facilmente da una cosa all’altra.
Tra l’altro la metodologia e la didattica italiana sono un po’ superate. Bisogna qualificare il nostro corpo docenti, chi insegna nei corsi per allenatori. E parlo di materie prettamente rugbistiche. Se tu metti a insegnare su un terzo o un quarto livello uno che non ha mai allenato, o che non ha mai vinto nulla, che non ha mai dovuto relazionarsi con società, giocatori e sponsor – che fare l’allenatore oggi richiede tutte queste cose, significa gestire un gruppo – che cosa ti può realmente insegnare uno che non le ha mai fatte? Anche la lezione di un guru come Wayne Smith, un intervento di un’ora e mezzo in una sola giornata, come può incidere in profondità? Serve un percorso.
E’ solo il mio pensiero, non pretendo di avere ragione o torto, ma se da 10 o 15 anni hai sempre le stesse persone negli stessi posti, con il movimento che non va avanti, che non ottiene risultati, beh, forse non è solo colpa dei giocatori, del ct o del presidente federale.

 

Chiudiamo con l’Eccellenza: come migliorarla nel concreto? 
Tre anni fa, quando sono andato via, ci scambiavamo i cd per poter riuscire a vedere le partite delle altre squadre. Dovevi aspettare il lunedì per vedere arrivare i dischetti per posta, e non sempre arrivavano. Da due anni la FIR ha creato un sito dove tutte le squadre caricano i filmati delle loro partite e io la domenica mattina ho già tutto a disposizione. E’ stato un grosso passo avanti. Ora mi hanno detto che nel prossimo consiglio federale verrà discussa la possibilità di implementare questo sistema a partire dalla prossima stagione con tutte le statistiche più importanti: questa è una grandissima cosa per l’Eccellenza e per tutto il rugby italiano. Non solo gli allenatori potranno studiare al meglio le squadre, ma anche gli arbitri. La stessa stampa potrebbe avere più dati e tutti conoscerebbero caratteristiche che oggi sono riservate solo a noi allenatori. Speriamo, io sono tre anni che lo chiedo.
Questo darebbe professionalità al torneo, e ne abbiamo bisogno. Faccio un esempio: se per una partita del Trofeo Eccellenza, che è comunque la seconda competizione nazionale, io Petrarca vado a L’Aquila e devo fare la trasferta di andata e ritorno in giornata e poi quando arrivo non trovo il quarto uomo non va bene. Dobbiamo tutti remare assieme.
Sono piccole cose, piccole attenzioni che però possono aiutare tantissimo: se la FIR investisse 10mila euro per avere una o due telecamere per ogni campo per avere riprese decenti e non amatoriali da riversare poi nel sito di cui parlavo prima sarebbe un altro passo avanti. Sono tante le cose che a budget zero o molto limitato che potremmo fare per migliorare e velocizzare il gioco. Come innalzare il livello dei giudici di linea, oggi troppo basso.
Dobbiamo lavorare assieme, lasciando perdere ognuno la cura esclusiva del proprio orticello: gli arbitri lo hanno fatto, perché non noi?

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