Eddie Jones e gli altri: lo “strano” accento delle panchine delle Home Unions

Per la prima volta nella storia sulle panchine di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda ci sono ct down under. Però…

ph. Henry Browne/Action Images

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Gli Stuart e i Lancaster sono due dei più importanti casati reali inglesi, i secondi hanno per simbolo quella rosa rossa divenuta poi l’emblema del Paese. Capirete quindi che un ct della nazionale di rugby del paese che ha inventato quella disciplina e che si chiama Stuart Lancaster è il massimo della “inglesità”. Una roba come il thé pomeridiano o la moquette anche nei bagni. 
Ora e per i prossimi 4 anni a guidare la nazionale di Sua Maestà ci sarà un australiano nato in quella propaggine dell’isola-continente conosciuta come Tasmania e con un aspetto che tradisce tutte le sue origini nipponiche (da parte di madre). Un bel salto per una panchina che nella sua gloriosa storia non aveva mai conosciuto un responsabile che non fosse inglese.
Eddie Jones è un tecnico che non si discute: preparatissimo, ha idee decisamente ben chiare in testa, un’etica del lavoro invidiabile e un cv di tutto rispetto. Stiamo parlando dell’uomo che ha letteralmente cambiato faccia al rugby giapponese negli ultimi anni.

 

L’arrivo di Jones alla guida della nazionale inglese è anche l’ultimo tassello di un percorso che ha portato sulle panchine di tutte le home unions allenatori non solo stranieri, ma tutti provenienti dall’emisfero sud: Joe Schmidt in Irlanda, Vern Cotter in Scozia e Warren Gatland in Galles. Tre neozelandesi che ora assieme al wallaby Jones certificano – se ancora servisse un segnale – una superiorità complessiva dell’emisfero sud, la parte di Ovalia che non solo vince sul campo ma anche fuori. Inghilterra e Francia sono di gran lunga le federazioni più ricche, ma sono anche quelle dove proprio quella ricchezza ha acuito le tensioni tra le varie anime del movimento (leggi: federazioni e club).
Laggiù, a sud, girano meno soldi ma sicuramente le strutture sono più coese, gli obiettivi comuni più chiari e condivisi. Certo non mancano differenze e caratteristiche specifiche per ognuna di quelle realtà, cosa verissima anche qui, in Europa, ma a grandi linee la situazione è questa.

 

Per l’Inghilterra l’ingaggio di Jones è una svolta storica (ma già prima dell’arrivo di Lancaster si era arrivati vicini alla scelta di uno straniero), le altre Home Unions hanno invece imboccato questa strada da tempo anche a livello di club con alterne fortune ma tra Scozia, Galles e Irlanda vedere tecnici australi guidare le formazioni locali non è affatto una novità. Anche in Inghilterra ci sono ovviamente, anche al massimo livello, ma in maniera più limitata che nel resto della Gran Bretagna.
Una svolta storia dicevamo, che certifica una superiorità che in questo momento sembra inattaccabile (basti pensare al quadro delle semifinali della RWC, con quattro squadre che arrivavano dal sud dell’Equatore,) ma va anche sottolineato che i non pochi tecnici inglesi entrati in qualche modo in corsa per la guida della nazionale con la rosa rossa sul petto si sono tutti ritirati a gran velocità, da Woodward in giù: la delusione iridata del Mondiale di casa finito prestissimo probabilmente ha spaventato non poco un po’ tutti.
E poi c’è un aspetto non secondario, ovvero quello dei contratti: Lancaster aveva un accordo lunghissimo, che lo legava alla RFU fino al 2020, e nessuno si apettava un Mondiale così negativo da spingere la federazione di Londra a cambiare radicalmente rotta e gli allenatori (inglesi) migliori sono tutti blindati. Una rivoluzione quella di Eddie Jones, innegabile, ma un po’ la RFU si è messa nell’angolo da sola.

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