La finale del Mondiale? Ha già un vincitore: ritratto di Nigel Owens

Marco Pastonesi ci racconta chi è il fischietto che oggi dirigerà Australia-All Blacks

ph. Paul Childs/Action Images

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Dirige, disciplina, regola. Guida, accompagna, stabilisce. Spiega, previene, tranquillizza. Giudica, interpreta, sanziona. In una sola parola: arbitra. E stasera arbitra la finale della Coppa del mondo. Perché è il più bravo arbitro del mondo. E anche il più simpatico. E forse anche il più vero.
Nigel Owens (si pronuncia Naigel Ouens), 44 anni, gallese di Mynyddcerrig, a una decina di chilometri da Llanelli, che è come nascere su un muro delle Fiandre per un corridore o in una focaccia al formaggio a Recco per un pallanotista, ha competenza, esperienza, eleganza, classe e un curriculum, non solo rugbistico, impressionante.
Giocatore di rugby a 16 anni, finché un allenatore non gli disse che non era adatto al gioco (“E aveva ragione”, ricorda Owens), poi subito arbitro, nel 2001 il primo incontro nella Challenge Cup, nel 2002 il primo nella Heineken Cup, nel 2005 il primo test-match internazionale (Giappone-Irlanda), nel 2007 la prima partita mondiale (Argentina-Georgia). Intanto, a 26 anni era stato salvato da un tentativo di suicidio (lettera ai genitori, poi un cocktail di whisky e paracetamolo, da solo, in cima a una montagna), e a 36, dopo una lunga e sofferta decisione, si era dichiarato gay.

 

Liberato da quel segreto che gli pesava come un incubo, Owens ha mostrato umorismo e ironia. Come ad Antonio Pavanello, capitano del Benetton: “L’arbitro sono io, non tu. Tu fai il tuo lavoro e io penso al mio”. Come ai giocatori di Leicester e Ulster, che protestavano: “Lo stadio di calcio è 500 metri da quella parte”. Come ai giocatori di Munster e Tolosa, che facevano crollare la mischia ordinata: “Se non vi piace fare le mischie, avete sbagliato ruolo. Dovete stare su, il prossimo che sbaglia va fuori 10 minuti”. Come al francese Yoann Huget e all’inglese Mike Brown, che si spingevano: “Non siete dei bambini cresciuti, siete adulti e da adulti dovete comportarvi. E da adulti vorrei trattarvi”. Come a  qualsiasi giocatore che vorrebbe farsi giustizia da solo: “Aspetta, aspetta, aspetta”.

 

In più, c’è la sua omosessualità. Come in un Harlequins-Castres, dopo un lancio storto in touche, quando ha fischiato e commentato: “Sono più diritto io di quel lancio” (“straight”, in inglese, significa sia “diritto” sia “eterosessuale”). Come quando è entrato nello spogliatoio degli Ospreys per parlare con il capitano, Ryan “Jughead” Jones, Jones che gli ha detto “Aspetta, fammi mettere addosso qualcosa”, Nigel che ha ribattuto “Non mi cambia niente, sei comunque troppo brutto”.
Una volta Owens, sorridendo, ha raccontato di come “ogni tanto qualcuno in campo mi dia del ‘bent ref’ (letteralmente: arbitro dalla schiena piegata, ndr), ma poi immediatamente si scusi, ‘Non intendevo in quel senso’”. Una volta Owens se l’è presa con filosofia: di un giornale italiano che aveva titolato “Arbitro gay per Italia-Francia di rugby”, lui ha detto che “a parte il mio nome e gay, di tutto il resto non ho capito nulla”.

 

Invece un’altra volta si è seccato: in una Inghilterra-Francia, ad alcuni tifosi che lo avevano insultato, ha risposto: “Insultate il mio arbitraggio, non la mia sessualità”.
In questa Coppa del mondo, Owens ha dato il meglio quando ha detto a Stuart Hogg, estremo della Scozia che si lamentava per il placcaggio in ritardo di un sudafricano: “Quel placcaggio non aveva nulla di scorretto. Se vuoi tuffarti ancora così, torna pure qui a giocare fra un paio di settimane, c’è una partita di calcio, ma non oggi”. Quanto a Chris Robshaw, terza ala dell’Inghilterra, che gli contestava una decisione, a Owens è bastato dire soltanto, con una certa solennità: “Uuuhhh, Christopher”. Forse, così, nessuno aveva più osato chiamare il capitano dell’Inghilterra dal giorno del battesimo.

 

Oggi Owens raggiunge l’apice della carriera. Ammette: “Se non fosse stato per il rugby, i giocatori, gli spettatori e tutta questa comunità, non sarei la persona che sono adesso”. Dichiara: “Arbitrare la finale è innanzitutto un onore e un privilegio”. Sostiene: “Questa è la mia terza Coppa del mondo e penso che sia la mia migliore”.
Precisa: “Voglio ringraziare gli amici e la famiglia per essermi stati vicini nei momenti più difficili della mia vita”. E aggiunge: “Peccato solo che mia madre non possa essere qui in questo momento. E’ morta sei anni fa, ma sarebbe stata molto orgogliosa di me”.

 

di Marco Pastonesi

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