Uno dei giocatori più forti di sempre, con origini italiane nemmeno troppo lontane. Marco Pastonesi ci racconta la sua storia
John Eales, una leggenda australiana che parte dall’Italia. E da Nonno e Nonna
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Alcool, pittura fresca, discorsi e panini da ko: quando il rugby fa autogol
Fallimenti, papere, disastri, gaffes, guai, disfatte ovali. Antologia di Marco Pastonesi
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confesso che una lacrima mi ha rigato il volto..chiunque abbia avuto nonni o parenti emigrati sa cosa significhi sofferenza e lottare per il riscatto sociale, per una vita migliore, lontano dalla propria terra e dall’ affetto delle persone care con all’ orizzonte l’ incubo delle guerre mondiali..
uomini e donne con una grossa “spina dorsale”!!! tutto per assicurare alla progenie un futuro migliore! grazie grazie grazie!!!
su john eales che dire, da tifoso ABs tanta ammirazione e rispetto (un po di rabbia, ripensando al calcio da tri-nations, per citare il primo episodio che mi viene in mente)..
nobody is perfect!
tra le altre cose john eales è uno dei pochissimi giocatori ad aver vinto 2 volte la coppa del mondo
vero!!! tranquillamente nell’ olimpo del rugby!
Storie cosí ci ricordano davvero chi siamo. Ci vuole piú rispetto, anche quando c’è qualcuno non troppo ferrato vuole parlare di ‘oriundi’.
Mi ricordo un documentario,di qualche anno fa,dove si parlava dell’emigrazione italiana tra fine ‘800 e le due guerre mondiali..Mi colpi l’intervista di un signore anziano,credo veneto o friulano,oramai lontano dall’italia da decenni,disse: ovunque esista sangue Italiano,li e’ la patria! mi vengono ancora i brividi..
Cosa triste e’ perche se ne sono andati e come sono stati abbandonati..
Beh, anche in questi anni sono molti quelli che emigrano dall’Italia. L’emigrazione non e’ per nulla una realta’ del passato.
Per fortuna pero’ non sembrano esserci guerre mondiali imminenti…
Permettetemi di dire anche che quelli che ogni tanto parlano di una inabilita’ “genetica” degli Italiani per il gioco del rugby…
che grossa cazzata infatti!
Forse si riferiscono semplicemente al fatto che in paese dove tantissima gente:
si piange addosso volentieri, sta a casa a spedire curriculum sperando che qualcuno gli offra il lavoro della vita, ha l’unica ambizione di entrare in comune per riscuotere lavorando il meno possibile, etc, etc
è più difficile che il sacrificio del rugby sia capito e amato.
Hanno torto, ma fino ad un certo punto.
non e’ cosi’ stefano. in italia si vive e si accettano condizioni anche di vita peggiori che da altre parti. non sta scritto da nessuna parte che cercare lavoro deve essere una epopea e soprattutto, che per trovare lavoro devi lavorare mesi o anni gratis, e quando ti pagano e’ sotto il livello di sussistenza. non e’ cosi’ quasi da nessuna parte.
non puoi ragionare per stereotipi, e quindi non ne uso neanche per generalizzare sulle caratterisitche positive degli italiani, ma se vedi statistiche serie, gli italiani lavorano piu’ ore, per paghe piu’ basse e senza nessun aiuto ed assistenza.
Che tantissima gente aspetti la manna dal cielo o il posto di lavoro dal politico di turno non è uno stereotipo, ma realtà e il numero dei cosiddetti “scoraggiati” (chi rinuncia a cercare lavoro) la esprime perfettamente.
Bisogna invece incoraggiare chi, come i nostri nonni nel dopoguerra e come quelli di Eales, lotta ogni giorno e una vita se la inventa, a costo di emigrare. Per questo trovo l’articolo di Pastonesi ancora più prezioso.
io me ne sono andato dieci anni fa perche’ non volevo chiedere aiuto a nessuno.
pero’ stefano il problema e’ che in certi posti i lavori scarseggiano e rimangono solo quelli che danno i politici e le amicizie, nel pubblico come nel privato. (ti assicuro che anche per posti molti senior e’ cosi’ anche in UK). abbiamo accettato l’idea del ‘troverai lavoro con dolore’, ma non e’ normale che sia cosi’.
su quelli che non cercano lavoro, molte sono donne. che devono anche valutare che se guadagni 500EUR e l’asilo o la baby sitter costano uguale, non ha senso economico cercare lavoro.
poi qualcuno che non vuole lavorare c’e’, ma sono eccezioni. in Italia non ci sono nemmeno sussidi di disoccupazione. ma e’ cosi’ ovunque, e non puoi renderla una caratteristica dell’italiano se solo 1% agiscono cosi’.
in proporzione maggiore rispetto agli europei l’italiano medio si sveglia la mattina, va a lavorare, in ambienti lavorativi poco salubri e molto stressanti, per stipendi che non bastano neanche all’autosufficienza. ha forse gia’ firmato la lettera di licenziamento, e gli dicono anche che deve essere piu’ flessibile.
This.
cioè quello di GSP
Non potrei condividere di meno.
Ooops intendevo dire il contrario…
Insomma sono d’accorrdissimo con gsp
Concordo. Il discorso di Gsp è corretto e articolato. Io mi domando sempre se ci vada più coraggio a restare o ad andar via….in entrambi i casi l’amarezza aleggia e permane.
Meno male che c’è la fi…. ooooops pardon…il rugby, meno male che c’è il rugby!!!!
francamente nn lo sapevo
Marco, Grazie 1000.
Questo é il “quarto” tempo, cioè finito il terzo tempo ci si ferma in pochi a parlare di cose intime e personali e di fatti importanti. Ecco questo tuo racconto mi da questa sensazione
Borghy
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