Il modello CUS Torino: “Un rugby di matrice universitaria”

La neopromossa in Top10 ha una struttura basata sul connubio tra università e rugby e tenterà di conservare la sua identità anche nel massimo campionato

cus torino

I festeggiamenti per la promozione – ph. CUS Torino

L’entusiasmo a Torino è ancora a livelli fuori scala: la vittoria in quella che era di fatto una finale promozione per il Top10 contro la Capitolina, arrivata con una meta all’ultimo minuto sul campo della blasonata compagine romana, ha fatto esplodere di gioia i biancazzurri, che hanno indugiato nei festeggiamenti nella capitale, dove sono rimasti fino a lunedì mattina.

Il risveglio è di quelli dolci, Torino mancava dal massimo campionato da più di 40 anni, il CUS da oltre mezzo secolo. Il movimento italiano ha poggiato gli occhi su una realtà che ha un modello praticamente unico nel panorama della Penisola: tranne pochissimi casi, la stragrande maggioranza della rosa campione di Serie A è costituita da studenti universitari, giocatori che hanno il proprio corso di laurea come principale occupazione ma che abbinano a questo un’esperienza agonistica di alto livello.

Accade grazie ai programmi del CUS in collaborazione con l’Università di Torino e il Politecnico di Torino: i programmi Agon e Dual Career, ad esempio, permettono agli atleti di avere borse di studio e alloggi per combinare attività sportiva e studio, oltre ad un percorso universitario con alcune agevolazioni per poter combinare al meglio le due occupazioni.

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Questo ha consentito di attirare tanti giovani atleti con ambizione, sia da Torino che da altre parti d’Italia, in un contesto come quello dei campionati italiani dove il professionismo è ancora un sostanziale miraggio. L’apporto dei programmi accademici consente al club di limitare gli esborsi, riuscendo così a costruire una rosa che è diventata sempre più competitiva di anno in anno e ad investire anche su settori non strettamente legati alla composizione della squadra.

Il giocatore-tipo del CUS Torino è un giovane laureando a metà dei suoi vent’anni, che riceve una borsa di studio e un alloggio da una delle università torinesi e una somma aggiuntiva dal club, magari contribuendo ad allenare i settori giovanili e propaganda.

Dalla promozione in Serie A2 nel 2016/17, il CUS ha sempre migliorato il proprio rendimento, con due salvezze tranquille nel 2018 e nel 2019 e il salto di categoria oggi, dopo i due anni di stop per pandemia.

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Entusiasta il presidente Riccardo d’Elicio, che a Torino Cronaca ha detto: “Questo è un miracolo dello sport italiano, che mette in evidenza Torino città universitaria, con un servizio sport che va dall’attività amatoriale all’agonismo di altissimo livello, senza dimenticare mai la componente formativa.”

“La promozione è la conseguenza di un impegno serio avviato 70 anni fa. Ci sono stati anche momenti di difficoltà, ma la forza della struttura cussina ha sempre resistito. Ora ci godiamo questo traguardo e poi ci preoccuperemo del rilancio del progetto, al quale stiamo comunque già lavorando da tempo.”

La prima preoccupazione dei neopromossi è quella di adeguare l’impianto di Grugliasco alle esigenze del Top10, adeguando l’illuminazione e le tribune.

Non è in previsione, invece, uno stravolgimento del modello che ha portato il CUS Torino fino alla massima divisione: “Per quanto riguarda la squadra, l’intenzione è di conservare la matrice universitaria, con l’obiettivo di dimostrare che il nostro modello possa funzionare anche in Top 10. In panchina ripartiremo da [Lucas] D’Angelo e, con riferimento agli atleti, punteremo sul progetto Agon, sul programma Dual Career di UniTo e su altre iniziative di appoggio della sezione rugby.”

La sfida diventa quella di plasmare il modello accademico in modo che possa supplire alle esigenze di una categoria competitiva come il Top10, dove si contano sulle dita di una mano le realtà capaci di ottenere la salvezza da neopromosse. Intanto, però, il CUS Torino dimostra che un rugby senza le illusioni di un professionismo stentato e che coniughi successo sportivo e prospettive di vita fuori dal campo è possibile, per di più con l’aiuto delle istituzioni pubbliche.

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