Treviso-Leicester, quando le stelle non stanno a guardare

Il rugby è uno sport di squadra, di gruppo, ma a volte a decidere la partita è la giocata del giocatore sulla carta più talentuoso. Che, forse, avrebbe dovuto stare a guardare.

Treviso-Leicester, quando le stelle non stanno a guardare

Treviso-Leicester, quando le stelle non stanno a guardare (ph. Luca Sighinolfi)

L’Anonima Piloni vi racconta di quando la Benetton arrivò ad un passo dal battere i Leicester Tigers ricchi di fenomeni. A decidere la partita è stato il biancoverde con il curriculum più prestigioso. Ma non come avrebbe voluto.

Perdono la palla, in avanti. Manca poco, pochissimo. Certi frangenti mettono la colla alle lancette, i secondi non passano più. È tutto cristallizzato. Recuperata la palla. Mancano due minuti, bisogna nasconderla. Nasconderla significa non farla vedere agli avversari. Eh, facile a dirsi.
Per farlo bisogna mettere giù la testa, tenere la palla nel marsupio e guai a perderla. Guai a isolarsi. Poi la calci fuori appena l’arbitro chiama l’ultima azione. Sopra di due punti non puoi permetterti il benché minimo errore, in caso di fallo questi possono cercare i pali. No, no, nessun errore. La palla ce l’ha Maddock, è il primo uomo in piedi. Gran giocatore sto Maddock, il metaman della Premiership inglese arrivato in estate a Treviso. Curriculum alla mano uno dei fiori all’occhiello del mercato trevigiano.
Una stella che non sta a guardare.
Forse era meglio che il piede stesse bello piantato a terra.
Mai visti i Tigers più contenti di una sua giocata, visto che quando era a Bath li faceva diventare tutti matti. E mai visti i Leicester Tigers perdere qua a Treviso e dintorni, anzi. Di solito erano carrettate di punti, tanti a pochi con giusto l’illusione di giocarsela alla pari per venti, trenta minuti. Poi ciao, ci vediamo in cima.

No, stavolta no. Loro sono fortissimi. Sono i campioni inglesi in carica, l’Heineken Cup a maggio l’hanno solo sfiorata. C’è una discreta parte di nazionali inglesi, a partire da Tom Croft e Toby Flood, ci sono un numero 8 impressionante come Waldrom, c’è Dan Cole, c’è Chuter. E poi c’è la pattuglia di stranieri, che gli inglesi sono forti e si ritengono i maestri del gioco, e allora anche questi sono fortissimi: Castrogiovanni, Scott Hamilton, Geordan Murphy, un carrarmato come Alesana Tuilagi, che più avanti lascerà il posto al fratello Manusamoa, per tutti Manu. Gli inglesi apprezzeranno, I suppose. Sono devastanti con la mischia, poi dietro fanno il resto. Treviso però non è più quella squadra che dai Tigers buscava 60 punti a partita: la rinuncia di Calvisano alla massima serie e la diaspora dei suoi talenti hanno portato nella Marca McLean, Zanni, Ghiraldini e Cittadini tra gli altri. Dall’Aquila è arrivato Nitoglia, da Prato Kris Burton e Ugo Gori. Dal Sudafrica arrivano due perle di nome Corneil Van Zyl, monumentale nelle touche, e Tobias Wietz Botes, un utility back con un discreto piede che sarà utilissimo ad un altro sudafricano, coach Franco Smith.

Smith ha già giocato a Treviso, era un lusso nell’Eccellenza italiana, e quando si siede sulla panchina ha un paio di intuizioni: la prima è che una mischia così, 8 uomini così davanti li devi sfruttare il più possibile. Segnatevi questa cosa, l’annus mirabilis 2012-2013 nasce qui. La seconda è che la mediana deve essere sempre bella vispa e attiva, e allora un Tobias Botes, magari schierato all’ala con Gori dietro la mischia, fa molto comodo. Le ciliegine sulla torta del mercato trevigiano avrebbero dovuto essere però altre due: la prima è il buon Joe Maddock, la seconda è un’apertura sudafricana, proveniente da Western Province e quasi eroe nazionale quando mise dentro una trasformazione impossibile contro i Lions, Willem De Waal. Apertura sudafricana doc, piedone impressionante e sulla carta il tassello perfetto per il gioco di Smith, ma se ne tornerà a casa a fine stagione. Di lui si ricorderanno i pochi placcaggi fatti e tre caramelle di 50 metri in mezzo ai pali contro Munster in una storica vittoria in un gelido febbraio.
Il debutto nella Celtic League è stato ben al di sopra delle aspettative, 3 vittorie su 5 incontri, compresa quella monumentale sul Leinster davanti ad un Monigo zuppo di pioggia ma bollente al punto giusto. L’Heineken Cup è però un’altra cosa, e lo fa capire ben presto Matt Smith, primo centro, che va in meta dopo soli due minuti. I Tigers sono una corazzata, sono i campioni in carica, il biglietto da visita lo presentano subito. Solo che stavolta, a differenza del passato, i Leoni rispondono subito: gran palla portata giù in touche e subito fuori, Sgarbi assorbe due placcatori e serve a sinistra.

Ecco, stop un attimo.

Dei trequarti di casa non abbiamo parlato molto. Per anni a livello europeo il reparto ha retto grazie ai numeri di Brendan Williams e sulla solidità difensiva, di cui Alberto Sgarbi e, qualche tempo prima, Marius Goosen erano stati i massimi interpreti. Ecco, a ricevere la palla di Sgarbi c’è qualcuno che non si vedeva da un po’ da queste parti. Non concederà purtroppo molti altri bis del genere, qui e ad altre latitudini, ma nel sole di ottobre di Treviso quel qualcuno spariglia le carte agli inglesi. Si chiama Tommaso Benvenuti e prende la palla sulla linea dei 10 metri. Il ragazzo ha solo 20 anni e una maglia, la 13, che a Treviso è pesantissima da portare, ma non ha paura di trovare un angolo da paura e accelerare. Non è che ce ne siano tantissimi di così bravi a sfruttare la propria velocità, nella storia ovale italiana. A Roma, un anno e mezzo dopo, una freccia come Chris Ashton non riuscirà a prenderlo. A Monigo in quei 40 metri ci proveranno Scott Hamilton, Horacio Agulla, che è pur sempre uno dei Pumas del 2007, Tuilagi. Niente, questo va e segna in mezzo ai pali. Monigo si accende, è sorpasso, forse c’è una partita, cosa non così scontata all’inizio. I Tigers però non è che si spaventino per così poco, buttano dentro un piazzato con Twelvetrees e poi vanno ancora in meta. 13 a 7, sono ancora avanti loro. I Leoni non si scompongono più di tanto, Kris Burton è da inizio campionato che ha il piede caldo e allora butta dentro prima un piazzato e poi un drop, è parità a fine primo tempo. In campo nessuno si risparmia, tutti se le danno di santa ragione, Burton centra ancora i pali ad inizio ripresa.

È lunga perché è lunga, ma gli inglesi se la devono sudare.
Non si fanno attendere, i Tigers, visto che Castrogiovanni segna la terza meta e li riporta avanti. Di solito, a quest’ora, contro queste corazzate Treviso comincia a cedere metri. Nel 2008 al 50′ contro i Tigers si era sotto 16 a 17, finì con 60 punti sul groppone. Non questa volta, anche perché appena si entra nei 22 prende palla Benvenuti e buca tutti in mezzo ai pali. Ha le ruote, gli inglesi nemmeno vanno vicino a placcarlo. Leoni ancora avanti. Tanti si stropicciano gli occhi, solo che i Tigers segnano quasi subito la quarta meta e tornano avanti.

Sono forti, fortissimi. Treviso comincia la girandola dei cambi, di solito la differenza tra le squadre che fanno l’exploit una volta tanto e le grandi squadre la vedi qui, dalla loro lunghezza, dalla loro panchina. Ma niente, i Tigers non riescono ad ammazzare la partita. Anzi, Burton accorcia dalla piazzola. G
li ultimi venti minuti sono da sempre i più lunghi e temuti, per tutti. Si parla tanto dei primi venti minuti della ripresa, della rottura del gioco, ma poi bisogna averle le gambe per arrivare alla fine. Treviso non molla nulla, anzi. Non subisce niente in mischia e nei breakdown avanza. Al limite dei 22 Botes sente chiamare il drop e non ci pensa due volte. Apre la palla. Dietro di solito c’è Burton, che a calci di rimbalzo si fa sempre rispettare. Solo che Burton era pronto a far giocare i trequarti, non può essere lì.
Allora la chiamata l’ha fatta qualcun altro. E questo qualcun altro prende la palla e droppa. Ha il 13 sulla maglia, da queste parti dicono sia una maglia che dà i brividi, almeno dal 1999 in poi. Tommaso Benvenuti, senza vantaggio, calcia di rimbalzo.
Pali centrati.
Viene giù tutto.

Mancano dieci minuti e gli inglesi, quando una cosa va fuori dai loro binari, non la capiscono. O meglio, fanno fatica ad entrare nell’ottica. Come certi programmi informatici che alla prima eccezione s’impallano e devi riavviare il sistema. Come fai a spiegare ai Tigers che sono sì campioni in carica, ma che a Treviso quattro mete e un punto di bonus non bastano più per vincere?
No, non sono più efficaci come prima. I Leoni alzano il baricentro, difendono fortissimo, fase su fase, guerriglia urbana su guerriglia urbana. E gli inglesi, di colpo, sembrano umani impegnati a non litigare troppo con una palla ovale. Perdono la palla, in avanti. Manca poco, pochissimo. Certi frangenti mettono la colla alle lancette, i secondi non passano più. È tutto cristallizzato. Recuperata la palla. Mancano due minuti, bisogna nascondere la palla. Nasconderla significa non farla vedere agli avversari.
Elementare, Watson. Ma elementare mica vuol dire facile, stavolta.

Per farlo bisogna mettere giù la testa, tenere la palla nel marsupio e guai a perderla. Guai a isolarsi. Poi la calci fuori appena l’arbitro chiama l’ultima azione. Sopra di due punti non puoi permetterti il benché minimo errore, in caso di fallo questi possono cercare i pali. No, no, nessun errore. La palla ce l’ha Maddock, che è entrato ad inizio ripresa. La sua è stata finorauna prestazione ordinata, senza grossi guizzi, sempre con l’elmetto in testa. Riceve palla da primo uomo in piedi e calcia. Che non sarebbe nemmeno un’idea da buttare se il calcio fosse profondo, in una zona senza maglie inglesi. Invece è una mezza intenzione di calcio, è morbido, vorrebbe uscire ma non lo fa.
E lo recuperano gli inglesi.
Mai visti i Tigers più contenti di una sua giocata.
Ecco, dicono che la differenza tra una grande squadra e una normale sia nella gestione di questi momenti, nella rabbia che riescono a buttarci dentro in certi frangenti. Croft recupera palla e annusa che di possibilità di raddrizzare la giornata non è che ce ne saranno ancora molte. Treviso, di colpo, accusa.

No, non ora. Non così. Non con questi.

Adesso avanzano, la palla arriva a Tuilagi, anestetizzato per 77 minuti, ma che è un samoano e allora lo spazio lo cerca sul filo dei secondi. E lo trova con un cambio di direzione da panico ed un tuffo dove l’erba è un po’ più alta. L’hanno sfangata anche questa volta. Non c’è niente di più odioso di perdere una partita così, dopo averla sfiorata, toccata, accarezzata. Sono partite amare, che potrebbero segnare stagioni, anche carriere. Prendete Joe Maddock, ala tra le più letali in giro per l’Europa, ricordato a Treviso solo per questo episodio e non rinnovato a fine anno. Prendete Tommaso Benvenuti, che dop un paio di stagioni a quel livello sarà avaro di bis.
O prendete la stessa Benetton, che da qui e dalla Celtic League capisce che in Europa, andando avanti così, potrà dire qualcosa.
Con o senza stelle.

Cristian Lovisetto – Anonima Piloni

Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.

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