La filosofia di Paul Gustard: “Se chiedi a un giocatore di lavorare duro, tu devi fare lo stesso”

Una chiacchierata con il nuovo tecnico inglese del Benetton: il suo modo di intendere il rugby e le aspettative per il prossimo United Rugby Championship

Paul Gustard Benetton

Paul Gustard è passato al Benetton dopo due anni e mezzo agli Harlequins – ph. THIERRY ZOCCOLAN / AFP

Il ‘buongiorno’ con cui Paul Gustard risponde al telefono ha un forte accento britannico, ma è immediata testimonianza del grande investimento che il tecnico inglese ha fatto nel trasferirsi a Treviso, dove dalla prossima stagione farà parte del coaching staff del Benetton e si occuperà in particolare della difesa.

Un pedigree importante quello dell’ex terza linea dei Leicester Tigers, dei London Irish e dei Saracens, club con il quale è poi saltato dall’altra parte della barricata per diventare uno degli allenatori della difesa di maggior successo degli ultimi 15 anni.

Dopo essere stato nel club del nord di Londra fino al 2016, Eddie Jones lo ha chiamato come assistente nello staff dell’Inghilterra, con la quale ha vinto due Sei Nazioni consecutivi, quindi nel 2018 ha assunto il ruolo di capo allenatore agli Harlequins. Da un paio di settimane è arrivato in Italia, intrattenendo quotidiane riunioni con il resto dello staff prima che inizi la preseason che porterà verso l’inizio del primo United Rugby Championship.

Paul Gustard, come sta andando questo avvio a Treviso?

Beh, da quando sono arrivato e ho finito la quarantena, mi sto godendo l’Italia e la sua cultura, soprattutto il cibo: avrò già preso almeno tre chili da quando sono qui.

Come si stanno sviluppando i rapporti all’interno dello staff tecnico? Alla fine, siete un gruppo che non ha mai lavorato insieme prima d’ora…

I rapporti fra noi dello staff sono iniziati già quattro, cinque mesi fa, quando abbiamo cominciato ad essere regolarmente in contatto attraverso riunioni virtuali con me e Andrea [Masi] collegati dall’Inghilterra, Marco [Bortolami] e Fabio [Ongaro] già al Benetton e Jim [Molony], il nostro nuovo responsabile della preparazione atletica, da Jersey.
In questi quattro mesi abbiamo incominciato a conoscerci, ci siamo bevuti qualcosa insieme online e ora stiamo continuando a legare come gruppo.
In questo paio di settimane abbiamo fatto continue riunioni dal vivo, prima che arrivino i giocatori lunedì prossimo. Abbiamo parlato un po’ di metodi di allenamento e delle nostre filosofie di gioco, trovandoci piuttosto allineati, ma soprattutto abbiamo approfondito la reciproca conoscenza, andando oltre le cose più superficiali: le nostre famiglie, il nostro background, le ambizioni, i sogni, cos’è importante per noi come persone. Finora una grande esperienza.

E quindi chi è Paul Gustard come allenatore? Che tecnico pensi di essere?

Se chiedi a un giocatore di fare certe cose, e quello che gli chiedi solitamente è di lavorare duro e di avere voglia di migliorarsi, penso che tu debba fare lo stesso.
Quindi questo è quello che faccio: lavoro duro e cerco di migliorarmi.
Penso inoltre che si debba essere capaci di adattarsi. Lavorando in un nuovo paese la cui prima lingua non è l’inglese, farò del mio meglio per imparare l’italiano, anche se parlate davvero veloci.
Un altro punto importante credo sia dimostrare di tenerci genuinamente alle persone con cui lavori.
Una cosa che ho imparato ai Saracens è che sviluppare buoni rapporti e grandi amicizie non significa avere sempre conversazioni amichevoli. Non possiamo sempre andare d’accordo, ma avere una divergenza d’opinione non significa opporsi a una persona ma opporsi a uno specifico punto di vista, su un problema, su una possibile soluzione, un’idea.

Quali pensi che siano i tuoi punti di forza?

Uno credo che sia la capacità di fare un investimento nelle persone: io tengo a coloro con cui lavoro e per cui lavoro e lo dimostro. Questo perché, di nuovo, penso che perché le persone ti capiscano e credano in te devi dimostrare di possedere le qualità di cui parli.
Ho diversi anni d’esperienza alle spalle, ho allenato squadre di grande successo, ho imparato tanto dai giocatori che ho allenato, ma continuo a voler migliorare, a voler lavorare duro, ad aver cura delle persone che alleno e a volerle migliorare.
Un’ultima cosa, però. Una cosa a cui tengo sempre in maniera particolare: io odio parlare delle cose che ho fatto in passato, della mia carriera di giocatore e di allenatore, perché qui non si tratta di me. Come coaching staff il nostro lavoro è quello di creare un ambiente che supporti i giocatori nell’ottenere quello che vogliono, nel realizzare i loro sogni e le loro ambizioni. Il tempo che ho speso con i Saracens, con l’Inghilterra e con gli Harlequins è declinato al passato, vivo nel presente per lavorare con il Benetton e i suoi giocatori e avere successo nella prossima stagione.

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Sul lato più puramente di campo, qual è la tua filosofia di rugby?

Mi piace concentrarmi sui principi del gioco e far sì che i giocatori trovino dei modi per svilupparli.
Facciamo un esempio. Diciamo che in attacco quello che vogliamo sono palloni veloci dal punto d’incontro e creazione di mismatches per avere opportunità di giocare negli spazi. Se questo è l’obiettivo, dobbiamo trovare il modo perché i giocatori ci aiutino a centrarlo.
Ovviamente ho le mie idee e le abbiamo come staff, ne parliamo continuamente, ma il primo punto all’ordine del giorno è assolutamente quello di coinvolgere i giocatori nella creazione del piano di gioco.
Come allenatori vediamo molto più rugby di qualsiasi giocatore possiamo mai avere, perché abbiamo più tempo e perché è il nostro lavoro, ma non possiamo fare a meno di quello che i giocatori vedono, sentono e percepiscono.

Oltre a coadiuvare Marco Bortolami nel suo ruolo di head coach, hai anche un compito più specifico. Quali sono i pilasti della difesa di Paul Gustard? 

Nel mio ruolo di tecnico della difesa, penso che ci siano fondamentalmente due modi generali di difendere: uno corrisponde ad una mentalità basata sul non concedere la meta agli avversari, l’altro sull’ottenere il pallone. Il risultato conclusivo può essere lo stesso, ma preferisco la seconda filosofia, il che significa togliere tempo e spazio agli avversari.
Mi piacerebbe quindi vedere un miglioramento nella velocità di salita della nostra linea difensiva. Voglio che siamo una squadra feroce, e d’altra parte siamo Leoni non per niente e dobbiamo rispettare il nostro simbolo, e che siamo orgogliosi di essere il Benetton.
Vogliamo che la gente veda la passione che ci mettiamo e senza dubbio gli italiani sono persone molto appassionate. Lo abbiamo visto tutti, ad esempio in Chiellini agli Europei, quanto gli italiani siano orgogliosi del loro paese e di ciò che rappresentano. L’ho notato anche nel poco tempo che sono stato qui.
Per quanto riguarda l’attacco, invece, penso si tratti di creare opportunità su entrambi i lati del campo, un tipo di attacco che abbia le capacità di attaccare sia in maniera diretta, attraverso la difesa, sia lateralmente, aggirandola, sia sopra di essa.
La chiave è creare una struttura offensiva dove si possano creare tutte queste opportunità e attraverso la quale i giocatori possano prendere delle buone decisioni.

Visto che hai seguito buona parte della scorsa stagione del Benetton, sia in Pro14 che in Rainbow Cup, pensi che ci siano degli aspetti che possano essere mantenuti rispetto al recente passato?

Certo, è giusto costruire sul buono che un club ha saputo mettere in piedi e penso che al Benetton di buono ce ne sia molto. Vogliamo mantenere alcuni aspetti di come giochiamo, e in più è nostra intenzione sviluppare un ambiente che possa portare i giocatori ad eccellere. Lo faremo portando anche dei principi leggermente diversi, ma sta ai giocatori capire che hanno la nostra fiducia, che crediamo in loro e che al momento giusto sono liberi di esprimersi.
Io mi occuperò di far sì che capiscano il perché facciamo certe cose in un certo modo, perché è importante e perché questo li renderà migliori.

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La finale di Rainbow Cup e il tour dei Lions stanno dimostrando che probabilmente le franchigie sudafricane dovranno lavorare duro per avere dei risultati nello United Rugby Championship. Che cosa pensi di questa nuova competizione? Quanto può essere rivoluzionaria?

Lo scorso novembre mi stavo guardando intorno perché volevo qualche nuova opportunità. Non ho mai allenato né giocato al di fuori dell’Inghilterra e volevo qualcosa di diverso per me stesso e per la mia famiglia. E qui ho trovato tutte le cose che stavo cercando, piuttosto che magari andare in Francia o dall’altra parte del mondo, dove comunque avevo un paio di opportunità.
Una delle cose che mi ha attirato è stata anche la possibilità di partecipare a questa competizione. Già il vecchio Pro14 aveva una grande forza, se si pensa che una squadra come il Leinster potrebbe tranquillamente arrivare tra le prime tre in Premiership ogni anno. Per noi inglesi è così poco frequente poter affrontare questo tipo di squadre che la prospettiva di farlo così spesso mi attirava molto.
Ora l’intera competizione è salita a tutto un altro livello, con l’ingresso delle squadre sudafricane. E questo per me è entusiasmante.
Abbiamo sempre osservato e studiato queste squadre nel Super Rugby, ma non sono mai state una sfida come allenatori. Squadre che giocano stili di rugby così diversi, mentre la Premiership è piuttosto standardizzata, ad esempio.
Quindi si tratta davvero di una mossa verso il futuro, progressista.
Ma attenzione: non valutiamo le squadre sudafricane solo da quello che abbiamo visto di recente. Hanno avuto tanti problemi con la pandemia, non abbiamo visto un autentico ritratto di quello che giocatori e staff possono dare. Penso che l’anno prossimo nello URC vedremo franchigie sudafricane piuttosto diverse: squadre abituate a viaggiare, a stare lunghi periodi lontani da casa, con delle competenze per fare queste cose costantemente. Sarà interessante vedere cosa cambierà nel volare costantemente nell’emisfero boreale piuttosto che verso l’Australia e la Nuova Zelanda, ma penso che vedremo prestazioni feroci da parte loro e dovremo essere altrettanto feroci per opporvisi.

Un’ultima domanda, allora, in previsione dello United Rugby Championship: qual è a tuo parere il livello della rosa del Benetton e quali sono gli obiettivi della stagione?

La cosa importante per noi come allenatori è creare domande alle quali i giocatori possano rispondere. Non sarebbe giusto per me adesso rispondere a queste domande senza aver prima creato una visione comune con loro.
Quello che posso dire è che il rugby italiano ha degli ottimi giocatori e il Benetton Rugby in particolare. Ora dobbiamo trovare un modo di giocare e operare che dia a tutti l’opportunità di essere la miglior versione di loro stessi. Se ci riusciremo, saremo molto competitivi.
Non vinceremo ogni partita, ovviamente, ma possiamo essere competitivi ogni settimana.
Se i giocatori crederanno nel processo e in quello che facciamo, accadranno belle cose.
Abbiamo appena finito questa riunione con lo staff dove abbiamo parlato dei nostri sogni [lo dice in italiano]. Quando siamo piccoli abbiamo queste ambizioni e questi sogni imponenti, e poi man mano che cresciamo e invecchiamo ce li scordiamo. Questo è un buon momento per scavare nel nostro bambino interiore e tornare a sognare in grande.

Lorenzo Calamai

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