Un risultato storico in uno stadio mai così pieno da 16 mesi a questa parte. Un racconto poco tecnico
TREVISO – La prima cosa che ti prende è il caldo asfissiante della Marca, con il cielo di gesso che immediatamente comunica la sensazione di afa opprimente.
Già nelle due ore precedenti alla partita, quando ancora i giocatori delle due squadre arrivano a popolare campo e spogliatoi, lo stadio di Monigo è pieno di addetti ai lavori dalle camicie sudate, le t-shirt macchiate, la fronte imperlata.
Shane Williams, Stephen Ferris e Bobby Skinstad, grande numero 8 degli Springboks che furono, sono fradici sotto le luci della TV per la quale commenteranno l’incontro.
La seconda cosa è Dewaldt Duvenage che, a una partita intera dall’inizio della partita vera, appare a mezza figura dalla porta degli spogliatoi e scruta il campo, con la borraccia in mano, le fasciature già pronte: è la figura dalla quale si capisce che sta per iniziare una finale, gli altri dissimulano nascondendosi nel buio della pancia di Monigo, altri ancora sono in campo a giocare con il pallone, immersi in una routine di avvio partita.
La terza cosa è il bianchetto a prezzi popolari al bar sotto la tribuna, uno di quei meriti che nessuno potrà mai togliere al Veneto: un benvenuto ideale per stemperare i bollori della giornata.
La quarta è il calore del pubblico, che frizza per il ritorno allo stadio ancor prima di quanto lo faccia per l’evento in sé, seppure importante.
Quando i Bulls terminano il proprio riscaldamento sotto la tribuna e si apprestano a tornare negli spogliatoi, parte un applauso spontaneo da parte del pubblico italiano agli avversari di giornata.
La quinta è uno dei tecnici dei Bulls che, mentre Garbisi si prepara al piazzato del possibile 8-0, grida forte dall’area tecnica ai propri giocatori. Dal pubblico qualcuno: “Shhhhh!”. Lui si gira e chiede scusa con un gesto della mano.
La sesta è quella vaga sensazione di deja-vu che arriva tra il ventesimo e la mezz’ora: c’è una squadra sudafricana che alza il pallone in cielo e porta sotto la pressione. Dove l’avevamo già visto?
All’intervallo i Bulls rientrano prestissimo e si schierano pronti a ricevere il calcio d’inizio. Come se fosse tutto sceneggiato, quando il pubblico intona spontaneo un ‘Leoni! Leoni!’ la squadra biancoverde riemerge dal tunnel e Garbisi si impossessa dell’ovale, pronto a spararlo in cielo.
Ognuno dei giocatori che entra dalla panchina mette in campo la sua cosa: Gianmarco Lucchesi forza un tenuto, Marco Barbini esce da un placcaggio con una mossa elusiva e va avanti contro qualcuno molto più grosso di lui, Irné Herbst litiga subito con qualcuno al primo punto d’incontro.
Al minuto 71 e 27 esce il numero 3 dei padroni di casa Marco Riccioni. Saluta con una bella prestazione, prenderà presto un aereo che lo porterà nel nord di Londra per salire un altro gradino di carriera: la tribuna gli tributa un saluto sentito, lui ringrazia chinando leggermente la testa e replicando con un gesto di commiato.
Una bandiera argentina sventolava, appesa alla ringhiera bassa della tribuna, dall’inizio della partita. A raccoglierla, al fischio finale, arriva Thomas Gallo. Quando la tribuna placa gli applausi, a rinverdirli ci pensa uno dei migliori in campo, Michele Lamaro, con un ‘Sì!’ che ruggisce in tutto lo stadio.
Lancerà anche le scarpe in tribuna, mentre le ruspe trasportano il palco della premiazione dietro di lui.
Già, la premiazione, l’ultima cosa che rimane incisa della serata di Treviso: i nomi chiamati uno dopo l’altro, mentre tutti si affollano sul rettangolo nero e non c’è quasi spazio per consegnare le medaglie. Su quel rettangolo nero c’è scritto Champions 2021.
Tutti salgono sul palco: giocatori infortunati, giocatori non selezionati, staff, ragazzi delle giovanili, raccattapalle. Tutti a festeggiare insieme, sul campo e poi fuori, verso una notte di gioia nel centro della città.
Lorenzo Calamai
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