Quando Italia-Scozia fu l’inizio del nuovo mondo

Ci ricordiamo tutti dove eravamo il 5 febbraio del 2000. E chi non lo ricorda, sa benissimo dove avrebbe voluto essere

Italia-Scozia Sei Nazioni 2000

Italia-Scozia Sei Nazioni 2000

Il 5 febbraio del 2000 una squadra italiana uscita ammaccata dalla Coppa del Mondo fa la storia e sconfigge gli scozzesi ultimi vincitori del 5 Nazioni. L’Anonima Piloni vi fa rivivere quel giorno, oggi forse più lontano dei ventun anni realmente trascorsi.

La principessa Anna d’Inghilterra non è donna di grandi sorrisi, né di grandi slanci di euforia. Ogni tanto riserva qualche occhiata di approvazione ai suoi, ai ragazzi della Nazionale scozzese, altre volte applaude. Stavolta però, forse, non si aspettava di rimanere così irrigidita nel tiepido inverno romano. Non così a lungo, almeno. Prevedeva, forse, di dover soffrire un po’, perché magari gli avversari avrebbero venduto cara la pelle nel loro storico debutto, ma che poi tutto sarebbe andato per il meglio, tutto si sarebbe concluso con una vittoria e qualche pacca sulle spalle dei giocatori sconfitti.
Poche emozioni visibili, ma cavolo, almeno quelle!

No, non si scioglierà, la principessa, nel febbraio italiano. Non lo farà perché per la sua Scozia l’inverno proseguirà ancora per un po’, placcata non tanto dalle basse temperature (non paragonabili comunque con quelle delle Highlands) quanto da un manipolo di giocatori deciso a tornare, almeno per un pomeriggio, a rinverdire fasti che solo qualche mese prima sembravano non più raggiungibili.

Perché gli azzurri hanno interrotto di fatto le comunicazioni nel novembre del 1998 ad Huddersfield, ultima grande recita dei ragazzi di Coste, per poi lasciarsi andare per tutto il 1999, vero annus horribilis della nostra Nazionale. Un anno veramente devastante, iniziato con la morte di Ivan Francescato e finito con la peggior Coppa del Mondo mai disputata, passando per una serie di disfatte memorabili come il 101 a 0 subito in Sudafrica – ultimo atto di Georges Coste in panchina – al 101 a 3 subito dagli All Blacks in Inghilterra. Siamo allo sbando, più dal punto di vista mentale che da quello fisico. E non è un bel momento per crollare così, visto che il Sei Nazioni è alle porte e non ammette ritardi e/o controprestazioni. Massimo Mascioletti, vice di Georges Coste, non viene confermato.

La Federazione si muove alla velocità della luce ed ingaggia Brad Johnstone, ex pilone degli All Blacks, che ha pilotato molto bene le Fiji alla Coppa del Mondo. Johnstone chiede e ottiene lo staff che lo aveva accompagnato a North Shore, nel campionato provinciale neozelandese, ossia Mark Harvey e Matt Vaea, quest’ultimo già in Italia sulla panchina del Rovato. Il coach neozelandese mette subito sotto gli azzurri, il tempo è poco e il lavoro da fare – soprattutto quello fisico – è tanto. Predispone una serie di allenamenti massacranti in quel di Tirrenia, coi giocatori che non hanno nemmeno il tempo di recuperare dagli impegni dei campionati che si ritrovano a dover ancora buttar fuori l’anima.

I ragazzi visionati sono tanti: tornano i fratelli Cuttitta (anche se Marcello rinuncerà per impegni lavorativi), cominciano a farsi vedere i fratelli Manuel e Denis Dallan, messisi in luce a Treviso come Andrea Gritti, seconda linea che aveva già ottenuto un cap nel 1996, che aveva partecipato alle qualificazioni alla Coppa del Mondo senza che però fosse assegnato il cap. Johnstone non guarda solamente ai campionati italiani. Viene a sapere, per esempio, che nei London Irish gioca un centro genovese, padrone di una discreta carriera in serie B, emigrato per studiare e ben presto ritrovatosi in prima squadra in seguito a una serie di assenze e defezioni. Verrà convocato praticamente all’istante e inserito subito tra i 22 a referto.

Presentarsi a puntino, però, non è semplice. Il tempo è veramente poco e bisogna oliare alcuni meccanismi. La Federazione riesce ad organizzare in tempi record un test match a Livorno contro la Georgia, che non è nemmeno parente dei feroci Lelos di questi ultimi anni, ma che presenta vari elementi di stanza nei campionati francesi.

Vinciamo 51 a 7 senza mai patire più di tanto. La vittoria rinsalda gli animi, si può affrontare la Scozia con maggiore serenità. Anche perché gli scozzesi di Ian McGeechan, monumento delle panchine scozzesi e britanniche, non arriva in Italia al meglio delle sue possibilità. Per dirne una, il capitano John Leslie non gioca da ottobre e non ha ancora recuperato pienamente da un infortunio, ma a Roma ci sarà. La sua convocazione è talmente sorprendente che il già programmato viaggio di nozze verrà recuperato proprio in Italia dopo la partita. Grossi dubbi li solleva anche Kenny Logan, che è un neozelandese, ala e calciatore dei London Wasps. Sono parecchi i neozelandesi nelle file scozzesi.

Logan a detta di alcuni addetti ai lavori ha la catena giù, non è più tranquillo. Anche il piede è meno preciso di qualche mese prima, e quindi in settimana viene visto allenarsi molto più del solito nel fondamentale Greg Townsend, professione mediano di apertura. Che dalla piazzola non è e non sarà mai Jonny Wilkinson, ma che a livello di materia grigia ha ben poco da invidiare ai grandi interpreti suoi contemporani. Viene invece completamente ignorato un giovinastro di ventidue anni, tale Chris Paterson, in grado di giocare in tutti i ruoli dei trequarti a Edimburgo e che, da lì a qualche tempo, ci farà piangere in diverse occasioni.

Gli ultimi giorni di allenamento, però, ci tarpano le ali. Nel vero senso della parola, se è vero che Francesio e Vaccari si bloccano a poche ore dal match. Johnstone è quindi costretto a ridisegnare il triangolo allargato, con Stoica che si sposta all’ala e con i fratelli Dallan titolari, Manuel a centro insieme a Luca Martin e Denis all’ala. Dietro vigila Matt Pini, già nazionale australiano nel 1995, poi naturalizzato grazie a norme internazionali particolarmente allegre. In terza torna Mauro Bergamasco, al rientro dopo essere stato messo fuori combattimento dagli inglesi alla Coppa del Mondo, con lui Massimo Giovanelli e Wim Visser a numero 8, Gritti e Checchinato in seconda, Tino Paoletti e Massimo Cuttitta piloni e Moscardi tallonatore. In mediana una coppia di marziani, Troncon e Dominguez, chiamati tra i primi a dare l’esempio dopo una stagione particolarmente disastrosa.

Il Flaminio, stadio prescelto dalla Federazione per l’evento, sembra si trovi ad Edimburgo. Non tanto per il poco calore dei tifosi italiani – ancora scettici, a dirla tutta – quanto perché cornamusa e kilt sono veramente tanti. Flower of Scotland è un tripudio di brividi, Fratelli d’Italia un po’ ci ridesta ma sembra un brodino. Poi si comincia.

Gli scozzesi vogliono alzare subito la voce: Townsend distribuisce gemme preziose per i suoi trequarti, l’estremo Metcalfe (anche lui neozelandese) ha tempi di inserimento che ci mettono in difficoltà, noi cominciamo ad essere fallosi. Logan, però, non ci punisce, sbagliando almeno due calci alla sua portata. A sbloccare il punteggio è Townsend con un drop di pregevole fattura.

Noi, in qualche modo, cresciamo.
E ci rendiamo conto che la nostra mischia è più forte e che in touche, anche grazie ad uno straripante Gritti, non soffriamo quanto si prevedeva alla vigilia. Dominguez sfrutta questa superiorità con due calci tra i pali, più uno, il primo, corto di poco (aveva calciato da quasi sessanta metri). Si può fare, anche perché a livello mentale non sembriamo minimamente l’accozzaglia di giocatori apparsa qualche tempo prima in azzurro: Giovanelli e Cuttitta sono due autentici capibranco, Checchinato dà l’esempio, Bergamasco sembra sia lì da una decina di anni per quanto è competente. Gli scozzesi, tanto baldanzosi nei primi minuti, capiscono ben presto che contro dei fondamentali così e senza un calciatore in giornata dignitosa diventa veramente durissima. Il pallone, però, è ovale, e non è semplice capirne i rimbalzi. Townsend trova un bel varco e serve Metcalfe.

Lo placchiamo in tre, all’estremo scappa addirittura in avanti. Gli azzurri hanno un attimo di smarrimento, stanno aspettando un fischio arbitrale che a velocità normale sembra sacrosanto. Non arriverà mai. Il pallone rimbalza placido nei nostri 22, lo insegue solamente Bulloch il tallonatore, scozzese nato da genitori australiani, che lo scalcia e lo schiaccia in mezzo ai pali. Meta. Regolare per giunta, perché Metcalfe, a contatto coi suoi placcatori, ha involontariamente toccato il pallone con la tibia.
È una botta mica da ridere, perché se la prendi quando tutto sta girando per bene rischi di rimanerci sotto. E noi storicamente siamo molto bravi a rimanerci sotto.

Solo che stavolta non perdiamo né calma, né ferocia nei raggruppamenti. E alla prima occasione sorpassiamo di nuovo con altri due calci di Diego, con gli scozzesi a non capirci ancora nulla nei raggruppamenti e con molta meno veemenza in corpo rispetto ai primi minuti.
Mica se l’aspettavano così, la prima Italia dei Sei Nazioni.

E mica riescono a cambiare marcia, anche perché l’Italia comincia ad adottare una tattica tanto semplice quanto efficace: vende di fatto la sua metà campo, ricacciando ripetutamente gli scozzesi nei loro 22 e regalando loro pure un bel po’ di pressione. Ma siccome i due punti di vantaggio con cui eravamo andati al riposo sono tesoro troppo striminzito da portare in volata, ecco che la mediana di marziani che ci ritroviamo comincia a raccogliere quanto seminato: per due volte Troncon raccoglie palloni puliti, per due volte Diego glieli chiama.

E dare a Diego Dominguez anche il beneficio di una mischia avanzante non è cosa, se ci giochi contro.
Due drop, sei punti nel giro di cinque minuti.
Il Flaminio comincia a capire che quelli lì, quelli che si sono ricordati kilt e cornamuse, ma che si sono dimenticati a casa il sorriso della principessa Anna, dovranno affidarsi a ben altro che ai loro William Wallace per portare a casa la partita.

Perché lì davanti, tra gli italiani, nessuno cede. Tutti vogliono avanzare, mettere in croce l’avversario, buttarsi in ogni singola guerriglia urbana per portarsi a casa o tenersi il pallone. Alessandro Troncon, che di questa Nazionale è il nuovo capitano, dà l’esempio e si butta nella lotta tanto quanto i suoi compagni di mischia. Vuole essere degno erede di Massimo Giovanelli, che ha abdicato e si sta godendo gli ultimi pomeriggi da leone azzurro in mischia. Non ha più la freschezza fisica dei giorni migliori, ma è sempre e comunque al posto giusto, sempre al servizio di compagni che per uno così darebbero pure qualche osso. Arriva un altro calcio di Dominguez, poi risponde Townsend.

Il 21 a 13 non ci mette al riparo dal ritorno avversario, anche perché la panchina scozzese è qualitativamente più lunga della nostra. E per quanto siamo letteralmente attaccati al match, qualche sfilacciamento si comincia a vedere. Il primo a infilarsi nel buco è Metcalfe, che però si trova improvvisamente a terra, gambe all’aria, come se avesse sbattuto contro un muro. Gli capiterà ancora un paio di volte, in altre zone del campo, ma sempre addosso allo stesso muro, composto di mattoni genovesi e londinesi. Si chiama Marco Rivaro, il rumore sordo del suo primo placcaggio all’estremo scozzese finirà registrato anche dai microfoni di bordo campo.

E appena andiamo di là, Dominguez dà l’ennesimo colpo di pennello ai suoi girasoli.
Altro drop, il terzo, record del Torneo eguagliato nei suoi primi ottanta minuti.
Il Flaminio alza la voce. Perché i calci fanno vincere le partite, ma le mete sono quei frangenti che ti ricordi sempre volentieri. Non ci va troppo distante Gritti, che intercetta un calcio scozzese ma che non riesce a calciare in avanti l’ovale. Ci ritorneremo presto da quelle parti, complice un altro placcaggio pesantissimo di Rivaro e una presa difettosa di Logan, che forse il 5 febbraio del 2000 avrebbe fatto meglio a fare altro. Dominguez va vicinissimo a segnare, fintando e rientrando due volte nella giungla scozzese dei cinque metri, ma viene tenuto alto. È questione di minuti, poi viene servito Giampiero De Carli. È entrato nel secondo tempo al posto di Paoletti ed è un pilone che sarebbe moderno ora: tiene bene in mischia, ma è fuori che è incontenibile. I gallesi dell’Aberhavon si chiedono ancora chi fosse quello lì, quello vestito da pilone, che aveva segnato loro due mete scattando secco ed eludendo il ritorno di giocatori che sulla carta avrebbero dovuto sverniciarlo senza grossi problemi. Perché quello era vestito da pilone, non poteva essere realmente un uomo di prima linea. Ciccio riceve il pallone da Moscardi e prende l’abbrivio, non lo possono fermare nemmeno pregando.

Viene giù praticamente tutto, l’Italia mette la parola “fine” all’incontro. Perché, è vero, Leslie indorerà la pillola con la seconda meta scozzese, ma nessuno può più avere il tempo di riportarci a terra, almeno per ora. Il 34 a 20 finale ci porta in trionfo in una Roma più azzurra che mai, cosa inaspettata appena un paio di ore prima. Merito di una squadra rocciosa, con tanti interpreti che avevano voglia di cancellare la peggiore annata ovale della loro vita e di qualche giocatore alle ultime recite in azzurro, come Giovanelli, costretto al ritiro dal rugby internazionale dopo un duro colpo negli ultimi istanti di partita. Merito di Brad Johnstone, che non indovinerà più tante mosse da qui al suo esonero, ma che ha saputo dare una bella scrollata ad un gruppo sì talentuoso, ma ancora alla ricerca di qualcosa che non aveva trovato.

Non lo troveremo così in fretta, quel qualcosa.
Sarà una ricerca difficile, con qualche nota alta e altre note basse, tra qualche sabato pomeriggio che si rivelerà improvvisamente più glaciale di quanto potesse realmente sembrare.
Più o meno come è successo ad Anna e al suo sorriso.
Anche lei lo ritroverà, prima o poi.

Cristian Lovisetto – Anonima Piloni

 

Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.

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