80° minuto: il mondiale di Braam Steyn attraverso le sue parole

Intervista al terza linea della nazionale dopo l’avventura in Giappone, fra numeri, ruoli e risultati

Rugby World Cup 2019 Italia - Canada

Braam Steyn in meta (ph. Sebastiano Pessina)

Nuova puntata della rubrica dal titolo “80° minuto” curata da Flavio “Fuser” Fogliani, Cristiano Gobbi, Luca Mammoli e Nicola Riccetti di Italrugbystats, una pagina che parla del rugby italiano attraverso numeri e statistiche.
“80° minuto” è pensata come un approfondimento che utilizza i valori matematici espressi in campo per interpretare la storia della partita attraverso i numeri che la caratterizzano. Nella rubrica di oggi Braam Steyn risponde alle domande di Italrugbystats.

Per prima cosa vorremmo chiederti una tua valutazione della RWC. Due vittorie solide contro Namibia e Canada (tra i risultati più ampi mai fatti registrare da una nazionale italiana al mondiale), la sconfitta contro il Sudafrica e la partita annullata contro la Nuova Zelanda. Tu chiudi con una meta, 25 corse, 113 metri corsi, 3 clean breaks, 7 difensori battuti e 20 placcaggi con il 95% di efficacia.
Sei contento del tuo mondiale? Cosa cambieresti?

Si, sono contento. Per quanto riguarda i numeri, considerando soprattutto le dinamiche del gioco, nelle prime due partite abbiamo avuto molti possessi, che sicuramente mi hanno facilitato nel mettere buoni valori a referto, nonostante io non abbia giocato tutti gli 80 minuti come era parte del piano. In linea generale sono contento di quello che sono riuscito a fare, nelle prime due gare.
Contro il Sudafrica è stata una partita differente, abbiamo difeso molto e abbiamo avuto un ritmo più lento in attacco, per questo è stato difficile prendere il giusto ritmo. Invece, con la Nuova Zelanda finiamo con l’amaro in bocca. Ovviamente a parole è tutto più facile, però con una buona prestazione potevamo rilanciarci sia noi all’interno del gruppo ma anche agli occhi dell’intero movimento, soprattutto in prospettiva per il Sei Nazioni. Per di più per noi giocatori è una delle maggiori ambizioni e dei più grandi stimoli, quello di confrontarsi con i migliori al mondo.
Ci tenevo, però, a dire che, forse vista la larghezza dei risultati, è passato il messaggio che i risultati contro Namibia e Canada fossero scontati. Secondo me abbiamo giocato una partita incredibile contro il Canada, abbiamo tagliato loro completamente le gambe. Certo, non sono né il Sudafrica né gli All Blacks, ma sono una buona squadra, basta guardare la partita che hanno fatto proprio contro la Nuova Zelanda e secondo me in queste situazioni sarebbe stato bello sentire più vicino al gruppo l’apprezzamento e il sostegno da parte dei nostri media e dei nostri tifosi.
Ora viene la parte difficile, perché noi più giovani dobbiamo prendere in mano la nazionale e creare le condizioni per chi si affaccerà nel futuro prossimo al livello internazionale di performare al meglio e di capire da subito che tutti quanti noi riceviamo questa maglia in prestito e che dobbiamo lasciarla nel miglior modo possibile a chi verrà dopo di noi.

Guardando una mappa dei tuoi attacchi il 72% sono stati portati nei 30 metri laterali di campo. Questa statistica è molto influenzata però dai 10 attacchi laterali che hai portato contro il Canada (91% del totale). Contro i nordamericani sei stato anche estremamente efficace, con 5 difensori battuti, dato che assume un’altra sfumatura se consideriamo che contro il Sudafrica soltanto uno è avvenuto nella parte esterna del campo e hai portato il 25% di attacchi avanzanti.
Ovviamente considerando le ovvie differenze tra Canada e Sudafrica, pensi che nella naturale evoluzione delle cose ci sia un ruolo per te che, partendo da flanker o da numero 8 (Sergio Parisse, ad esempio, ha una diversa distribuzione di attacchi), ti permetta di giocare molto anche largo, che sembra essere un tuo punto di forza, oppure pensi che sia molto legato alla grande differenza di livello dell’avversario?

Ovviamente giocando numero otto contro il Canada ho avuto un approccio più facile perché avevo la prima scelta sulla palla, e quindi con una mischia in avanzamento partivo sempre in vantaggio. E’ chiaro che il livello è molto differente e i numeri ne risentono e non riescono a dire tutto. Contro il Sudafrica, infatti, ho avuto un apporto diverso, principalmente per quello che riguarda le dinamiche del gioco: ogni volta che ho avuto la palla avevo sempre una difesa organizzata addosso, senza mai avere momentum avanzante.
Per di più con la mischia no-contest per una terza linea è difficile avanzare perché i flanker avversari sono tutti lì pronti a placcarti, rendendoti la vita estremamente difficile. Per questo mi dispiace molto, oltre che per i piloni, non poter aver avuto una mischia “reale”.
Con il Sudafrica c’era magari la volontà da parte nostra di giocare più larghi, ma senza possessi avanzanti non siamo mai riusciti a tirare dentro sufficientemente i difensori avversari per poter andare fuori.
Il cartellino per di più ha reso questa strategia ancora più difficile, considerando il livello degli avversari e le motivazioni che ci trovavamo ad affrontare alla World Cup.

Nella prima frazione contro il Sudafrica sei l’unico giocatore con almeno 1 placcaggio efficace (portato avanzando), almeno 1 attacco avanzante, almeno 1 ruck efficace (effettivamente pulita) e almeno 1 passaggio consegnato. Sei anche l’avanti, insieme a Dean Budd, che ha subito di meno lo scontro fisico esasperato messo in piedi dai sudafricani. Pensi che proprio questa loro intensità e fisicità siano state le chiavi della sconfitta?

E’ sicuramente un punto fondamentale, non solo in quanto tale ma come esempio dell’approccio corretto che dovremmo avere ad ogni partita. Noi giocatori dobbiamo assolutamente migliorare nella capacità di gestire una gara e di reagire alle difficoltà che possano svilupparsi durante tutti gli 80 minuti.
E’ vero che per tutta la settimana si prova una certa strategia, però quando si scende in campo le cose possono cambiare rapidamente e noi dobbiamo essere in grado di trovare soluzioni efficaci velocemente. Prendiamo per esempio il passaggio di Bigi per il mio break contro il Sudafrica: non era una giocata provata, ma è stata molto efficace. Se Bigi avesse tenuto la palla avrebbe avuto addosso due difensori molto grossi e forti fisicamente e sarebbe stato difficile per lui vincere il contatto, mentre con questo cambio siamo riusciti a creare un’azione pericolosa.
Contro Namibia e Canada riuscivamo a trovare una “strada sicura” sull’impatto fisico, e in queste partite è importante insistere su una carta così vincente. Contro il Sudafrica, invece, come allo stesso modo contro l’Inghilterra o il Galles, che sono squadre dove tutti sono grandi e grossi, insistere su un approccio fisico finisce solo per fare il loro gioco, mentre migliorare dal punto di vista dell’interpretazione delle letture ci permetterebbe di creare domande alla difesa e metterli sotto pressione dal punto di vista atletico. Cominciare a muovere di più la palla, infatti, potrebbe essere un modo per dar loro delle insicurezze e allo stesso tempo acquisire noi la consapevolezza di avere contromosse per ogni tipo di avversario.

Hai giocato una partita come flanker con un giocatore tatticamente molto forte come Parisse e un cagnaccio come Mbanda, una da numero 8 con Polledri, che è un giocatore molto forte atleticamente che ama correre palla in mano e Negri che è un flanker che sa anche distribuire bene quando gioca in mezzo al campo, e, infine, una di nuovo flanker con Parisse e Polledri.
Le tue scelte palla in mano non sono variate molto (75% possessi attaccati contro la Namibia, 73% contro il Canada e 71% contro il Sudafrica), ma in un senso più ampio il tuo ruolo cambia abbastanza nell’apporto alla partita nel breakdown (>40% degli eventi da flanker sono ruck, mentre da numero 8 sono <30%).
Come ti sei trovato nei vari schieramenti?

Ne avevamo già parlato durante la stagione, Il mio ruolo preferito e quello che mi ha portato al rugby internazionale è flanker. Però sono convinto che con le mie caratteristiche la posizione in cui posso essere più determinante è terza centro, perché mi permette di sfruttare la velocità partendo dalla mischia per vincere la prima collisione, e oltretutto mi mette in condizione di fare molto gioco sulla palla invece di essere il primo o secondo in pulizia. Per questo mi piacerebbe molto, a livello internazionale, giocare più come numero otto.
Nel Benetton abbiamo una dinamica di gioco differente che, pur partendo da flanker, mi permette di fare comunque un work rate più simile ad una terza centro “classica”. Ma per me non c’è un approccio più gratificante di cercare di creare momentum nel centro del campo, nonostante non porti molte mete o pacche sulla spalla, ma mi esalta l’idea di spianare la strada per i miei compagni per poter segnare.

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