L’Italia è un cantiere aperto: un novembre importante per crescere

Dopo aver aggiunto profondità alla rosa azzurra, per O’Shea è il momento di costruire l’esperienza internazionale dei suoi

ph. Sebastiano Pessina

Quando l’Italia si troverà di fronte all’Irlanda al Soldier Field di Chicago il prossimo 3 novembre, saranno passati 30 mesi dall’insediamento di Conor O’Shea sulla panchina degli Azzurri. Un’era sportiva, quella del tecnico irlandese, che ha visto l’Italia disputare 24 incontri internazionali con cinque vittorie: Stati Uniti, Canada, Sudafrica, Figi e Giappone.

Nel cammino che separa la nostra nazionale dalla Rugby World Cup 2019, il novembre internazionale alle porte rappresenta uno snodo cruciale. Non solo perché nella partita di Firenze contro la Georgia finalmente vedremo al cospetto dell’Italia lo spauracchio ripreso in tante più o meno fondate polemiche, ma anche perché la rosa della nazionale azzurra continua ad essere un cantiere aperto, in evoluzione, a cui è adesso necessario aggiungere sostanza.

Per dare una misura dei cambiamenti avvenuti, basti pensare che la squadra che si sta allenando a Verona ha una media di caps piuttosto bassa fra i 37 presenti, 21. Una cifra che togliendo le 134 presenze di Sergio Parisse, le 106 di Alessandro Zanni e le 96 di Leonardo Ghiraldini si abbassa a quota 13 caps. Un segno che dimostra come sotto la gestione O’Shea ci sia stato un notevole ricambio di giocatori rispetto al passato e rispetto anche alle prime edizioni della sua Italia.

Una cesura netta avviene, ad esempio, nel 2017: a giugno si presenta un’Italia diversa rispetto a quella che ha disputato un Sei Nazioni avaro di soddisfazioni, e a novembre si completa la trasformazione. Emergono nomi nuovi per la nazionale come Luca Bigi, Simone Ferrari, Dean Budd, Tommaso Boni, Jayden Hayward. Da una parte si rinnova e rinfresca lo spogliatoio azzurro, dall’altra si fanno i conti con le perdite di Andries van Schalckwyk, Luke McLean, Simone Favaro e, da ultimo, Francesco Minto.

E poi ci sono le ulteriori novità: i Seb Negri, i Jake Polledri, i Matteo Minozzi scesi in campo a partire da quest’anno. Insomma, nonostante il mandato di Conor O’Shea abbia oramai superato la propria metà, la sua è oggi una nazionale tutto sommato nuova, che ha bisogno di stare insieme e acquisire esperienza per arrivare al meglio alla coppa del mondo: un percorso di crescita che continua e si concretizza nei test match di questo novembre.

La spina dorsale

Nel gergo tecnico, la spina dorsale di una squadra è composta da quei giocatori che ricoprono ruoli che prevedono maggiori responsabilità e capacità di fare le scelte giuste: tallonatore, numero 8, entrambi i mediani, l’estremo.

Il commissario tecnico irlandese ha saputo costruire una solida spina dorsale per la propria Italia, dosando al contempo la necessità di far fare esperienza nei ruoli chiave a più di un giocatore, all’elezione di una prima scelta in ciascuno di essi.

Fra i tallonatori, ad esempio, Ghiraldini e Bigi sono stati titolari rispettivamente in 9 e in 7 delle 24 partite disputate, con Ornel Gega a completare il quadro anche se ormai manca dai campi da più di un anno. Come numero 8 Parisse è ovviamente e indiscutibilmente il primo della lista, ma le sue sporadiche assenze hanno lasciato a Conor O’Shea la possibilità di provare quello che sembra essere stato eletto il suo vice, Braam Steyn.

A mediano di mischia Violi e Gori si sono spartiti 20 delle 24 presenza da titolari, con il mediano delle Zebre infortunatosi recentemente che ha monopolizzato la maglia numero 9 negli ultimi dieci incontri. Facendo di necessità virtù, questa finestra autunnale permetterà a O’Shea di dare minuti importanti a qualche altro mediano, che alla World Cup potrebbe rivelarsi fondamentale.

Carlo Canna e Tommaso Allan si sono suddivisi equamente le partenze da titolare, e quasi sempre, fatti salvi infortuni, chi non partiva dall’inizio ha poi finito la partita in campo (anche se O’Shea ha sempre lasciato molto poco spazio al numero 10 di riserva). L’apertura del Benetton è oggi chiaramente la prima scelta, ma con una valida alternativa.

Capitolo estremo: Padovani è il più sperimentato fra i 15 azzurrabili, ma in questo momento sembra venire dietro Jayden Hayward nelle gerarchie di O’Shea, anche visto quanto fatto in campo dai due nel Pro14 in questa stagione. Matteo Minozzi sarà una risorsa di livello eccelso quando tornerà dall’infortunio.

Aggiungere esperienza

Questa finestra di novembre, al di là della rilevanza del risultato della partita con la Georgia, dà a Conor O’Shea l’opportunità di dare minuti importanti a giocatori che finora ne hanno accumulati pochi, aumentando in maniera efficace la profondità della squadra, specie in alcune posizioni dove fino ad adesso le alternative erano presenti più sulla carta che nella sostanza.

Esempio massimo è rappresentato dai piloni: a sinistra Andrea Lovotti ha giocato da titolare 21 delle 24 partite dell’era O’Shea, cifra ineguagliata nella rosa azzurra; a destra Simone Ferrari ha sostituito in qualità di titolare inamovibile Lorenzo Cittadini, eguagliando il suo numero di partenze dal primo minuto, 11.

Nei due anni e mezzo passati la maglia numero 1 è stata vestita per due volte da Sami Panico, la cui carriera sembra ormai compromessa, e una volta da Nicola Quaglio. Al gruppo azzurro si è ora aggiunto anche Cherif Traore: novembre potrebbe essere il momento giusto per dare spazio a lui e al compagno di club in maniera consistente, per aumentarne l’esperienza ad un livello che finora non hanno mai dovuto affrontare.

Discorso simile dall’altro lato della mischia ordinata, dove Tiziano Pasquali potrebbe avere l’opprtunità di crescere sul palcoscenico internazionale, coltivando nel contempo anche il potenziale di Giosué Zilocchi. Vista la forma recente nel Benetton, Pasquali potrebbe peraltro duellare con Ferrari per il ruolo di prima scelta, come già accaduto in Giappone nel tour di giugno.

L’Italia rimane lacunosa di esperienza in alcuni ruoli: in terza linea Negri e Polledri sono i giocatori migliori, ma devono continuare a crescere senza logorarli da qui a un anno. La perdita del patrimonio di caps che portavano in dote Favaro e Minto mancherà al reparto, mentre è fondamentale il recupero di Maxime Mbanda, il più presente dei flanker di O’Shea.

Per quanto riguarda il reparto arretrato, una necessità potrebbe essere quella di trovare una alternativa a Tommaso Castello. Il centro genovese delle Zebre è diventato la prima scelta di O’Shea dopo che Luke McLean è emigrato a Londra, e l’unica altra scelta, fra l’altro poco collaudata, è quella di Tommaso Boni come numero 12.

Quale Italia per Chicago

La partita del 3 novembre a Chicago sarà un evento particolare: una partita fuori dal calendario internazionale, con evidenti fini più commerciali che sportivi. Vi ricordate Galles-Sudafrica di giugno a Washington? Una cosa del genere.

In più ci sono da aggiungere due considerazioni: i campionati sono in pieno svolgimento, e si giocheranno sia il Top 14 che il Pro14; l’Italia affronterà il match di maggiore importanza dell’anno solo sette giorni dopo.

E’ presto detto dunque perché il 3 novembre ci aspettiamo di vedere un’Italia piuttosto diversa dal solito: non ci saranno Leonardo Ghiraldini e Sergio Parisse, che verranno probabilmente trattenuti da Tolosa e Stade Français, né Michele Campagnaro che potrebbe tornare a vestire la maglia di Exeter nella Premiership Rugby Cup. E Jake Polledri non verrà certamente rilasciato in anticipo da Gloucester.

Date queste congiunture e la necessità di lasciare comunque competitività a Zebre e Benetton impegnate contro Cardiff e Ulster, la formazione in campo al Soldier Field dovrebbe essere molto rimaneggiata. In prima linea potrebbe essere la volta di Oliviero Fabiani di ottenere quella presenza da titolare con la maglia numero 2 che finora è sempre mancata. Discorso che vale anche per Federico Ruzza, invece, in seconda linea.

In contumacia di Sergio Parisse, la maglia numero 8 potrebbe essere vestita da Renato Giammarioli, anche se sono maggiori le probabilità che gli venga preferita la maggiore fisicità di Steyn, con il giocatore delle Zebre di nuovo a vestire la 7 come nel match del Sei Nazioni contro l’Inghilterra. Viste le carenze delle Zebre nel ruolo e la cautela con cui O’Shea inserisce gli esordienti, è probabile che almeno uno fra Meyer e Tuivaiti torni alla base.

In mediana non ci sarà l’infortunato Violi. A Verona ci sono Palazzani e Tebaldi, e finora O’Shea non ha convocato altri giocatori per sostituire il 25enne delle Zebre. Tebaldi è stato recentemente indisponibile per il Benetton, mentre Palazzani ha ben figurato con i suoi, seppur sempre nel ruolo del perfetto finisher. Improbabile che vengano fatte aggiunte a sorpresa: Edoardo Gori potrebbe aggregarsi al gruppo, ma con davvero pochi minuti nelle gambe. Per Chicago, probabilmente O’Shea resterà con Tebaldi e Palazzani, con il primo favorito per la maglia da titolare.

Infine, nel reparto arretrato potrebbe ritrovare posto un giocatore che sarebbe preziosissimo recuperare in chiave azzurra: quel Luca Morisi che ha giocato l’ultima partita in nazionale al Millenium Stadium il 5 settembre 2015.

Lorenzo Calamai

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