L’ottimismo del Galles

I Dragoni hanno chiuso la stagione con due vittorie, ma soprattutto con la consapevolezza di avere non poca profondità

ph. Reuters

Le grandi serie francesi, inglesi e irlandesi hanno abbassato l’intensità dei riflettori estivi sul Galles, impegnati in un meno mediatico (rispetto alle altre tournée) Test Match contro gli Springboks a Washington e nel doppio confronto in Argentina con una squadra decisamente sperimentale. Warren Gatland e il suo staff hanno viaggiato in Sudamerica senza Ken Owens, Alun-Wyn Jones, Taulupe Faletau, Leigh Halfpenny, Dan Biggar, Aaron Shingler, Dan Lydiate, Liam Williams, Josh Navidi, Steff Evans e naturalmente Sam Warburton, mai sceso in campo in questa stagione per recuperare da diversi acciacchi.

I risultati, ancora una volta, hanno premiato Gatland e sono stati positivi: non solo perché i Dragoni hanno vinto tre partite su tre (anzi: facciamo due su due, escludendo quello strano incontro di Washington), ma per il modo in cui tutti i giocatori maggiormente sotto osservazione hanno risposto agli stimoli e alle maggiori responsabilità affibbiate dagli allenatori. Se i Pumas potevano essere considerati allo sbando già prima dei due Test Match, il Galles li ha definitivamente affondati con due micidiali colpi da ko tecnico, che hanno messo in mostra l’enorme differenza esistente al momento tra le due squadre, di cui una  aveva il parco assenti che abbiamo visto.

Sebbene le difficoltà degli argentini abbiano influenzato in parte la serie, è difficile negare come lo staff tecnico abbia raggiunto uno degli obiettivi più importanti prefissati alla vigilia: aumentare la profondità della rosa e allargare il più possibile il numero di opzioni a cui attingere da cui alla prossima Coppa del Mondo, in modo da non restare impreparati di fronte ad eventuali infortuni o rallentamenti imprevisti.

Aled Davies, Owen Watkin, Ryan Elias, Tomos Williams, Ellis Jenkins e James Davies hanno confermato di essere delle soluzioni affidabili per Gatland, Josh Adams e Hallam Amos si sono confermati come interessanti armi offensive per lo stile implementato dal Galles negli ultimi mesi. Nessuno di questi dovrebbe diventare un titolare fisso sulla strada verso il Giappone, ma le loro incoraggianti prestazioni garantiranno allo stesso tempo tranquillità e qualche mal di testa al CT neozelandese.

– Leggi anche: Slow Motion #02: il coro dei Dragoni che sfalda l’Argentina

Il Galles visto in Argentina, dal punto di vista tecnico e tattico, era invece in continuità con quanto visto durante il Sei Nazioni, chiuso al secondo posto con tre vittorie e due sconfitte contro Inghilterra e Irlanda non senza lati positivi. I Dragoni hanno messo da parte la fisicità esasperata della Warren Ball, adottando uno stile di gioco dall’interpretazione estremamente moderna e di marca scarlettiana: una fase offensiva in cui viene sfruttata al massimo l’ampiezza del campo, degli avanti a cui viene chiesto di giocare di più il pallone alla mano e una propensione ad attaccare in transizione ben sviluppata. Una componente fondamentale in un rugby strutturato e organizzato nei minimi dettagli, che può fare la differenza quando il gioco diventa rotto e la partita senza un vero padrone.

A questo, poi, va aggiunta la difesa targata Shaun Edwards, messa sotto in stagione solo da All Blacks e da Irlanda, con quest’ultima partita che ha rappresentato forse l’unico momento in cui potrebbero essere riconosciuti degli errori strategici a Gatland nella preparazione del match (ovale sistematicamente ridato all’Irlanda e possesso nullo per larghi tratti del match).

In ogni caso, alla prossima lunghissima stagione il Galles si presenta con tante certezze relative alla profondità della rosa e alla qualità con cui viene impiegata dallo staff tecnico, ma anche con qualche perplessità sulla quantità di talento puro a disposizione rispetto alle altre nazionali. La strada verso la Coppa del Mondo, comunque, può essere all’insegna dell’ottimismo.

Daniele Pansardi

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