Bentornato David: il ritorno del cacciatore tranquillo

La lunga strada di David Pocock da una fattoria nel bel mezzo dello Zimbabwe fino al man of the match contro l’Irlanda

ph. Jason O’Brien/Action Images

“Guardati dalla furia di un uomo tranquillo”
– John Dryden, Absalom and Achitophel, 1681

Lo pensava anche Maurice Walsh, l’autore irlandese che in Green Rushes raccontava la storia de Un uomo tranquillo, appunto, che sarebbe poi diventato anche un celebrato lungometraggio di John Ford, che ci vinse il premio Oscar per il miglior regista nel 1952.

Era la storia di un irlandese degli anni Trenta che come tanti suoi connazionali aveva lasciato le sponde dell’isola patria per cercar fortuna al di là dell’Atlantico, facendo il pugile, l’unica cosa che aveva imparato a far bene per strada nell’Irlanda dominata dalla corona inglese. Tornato in patria, veniva coinvolto nella guerra d’indipendenza irlandese. Eppure, tutto quello che desiderava il protagonista del racconto di Walsh era la sua fattoria, sulla sua collina coperta d’erica, perché in fondo non era altro che un uomo tranquillo.

In Zimbabwe di colline non ce ne sono poi molte, soprattutto nelle Midlands, la pianura sconfinata su quell’altipiano del Veld che il paese condivide con il Sudafrica. Là in mezzo cercava la sua tranquillità David Pocock, dividendosi fra la fattoria che possiede nella sua regione natia, e il rugby in giappone, con i Panasonic Wild Knights, la squadra con la quale ha firmato per due stagioni, all’inizio e alla fine del periodo sabbatico dal rugby che si è preso il giocatore, in accordo con la federazione australiana.

Prima di sabato, la sua ultima partita internazionale era datata 2016: Twickenham, un freddo dicembre inglese e una sconfitta contro una squadra che sembrava allora invincibile. Poi il tour in europa con i Wallabies, la stagione giapponese conclusa al terzo posto e l’avvio di sei mesi lontano dalla palla ovale, per preservare il corpo e lo spirito e dedicarsi alla sua vita di uomo tranquillo.

“E’ stato speciale” ha detto Pocock al Sidney Morning Herald, parlando del tempo passato con il nonno Ian, che ancora lavora nella sua fattoria in Zimbabwe, dalle parti di Gweru. Da lì i Pocock partirono quando David aveva già 14 anni, spostandosi a Brisbane, ma inevitabilmente alcuni legami con il luogo di nascita sono rimasti: “Di solito avevo solamente qualche giorno all’anno per stare con mio nonno, adesso ho avuto la possibilità di vederlo ogni giorno per qualche mese e meritava farlo.”

Per essere un uomo tranquillo, il terza linea non si è accontentato di piantare i pomodori sotto il sole, ma si è dedicato alle tante battaglie che lo appassionano fuori dal mondo ovale: nel 2010, ad esempio, sembrava che lui e la compagna Emma dovessero sposarsi ma, fecero sapere, non lo avrebbero fatto fino a quando in Australia non fossero stati resi legali i matrimoni omosessuali, una legge che è recentemente stata approvata dal parlamento del paese.

Pocock sostiene anche lo sviluppo rurale dello Zimbabwe attraverso una ONG di sua fondazione EightyTwenty Vision, che si occupa di acqua, food security e salute, e nel 2014 è stato arrestato per essersi incatenato ad una escavatrice per proteggere la Leard State Forest, una foresta in Australia minacciata dalle miniere di carbone.

Fra le cause sostenute una delle più convinte è infatti quella per il mantenimento della biodiversità e la protezione,  dell’ambiente. Durante il suo periodo sabbatico in Zimbabwe, Pocock ha collaborato con alcune autorità locali che contrastano i bracconieri e i cacciatori di frodo, in particolare con i Malilangwe scouts, una unità deputata alla salvaguardia dei rinoceronti nota per sottoporsi a un allenamento duro e costante, al quale il terza linea ha aderito per tenersi in forma durante il periodo di riposo.

L’ironia sta nel fatto che i bracconieri in inglese in inglese siano i poachers, che è poi la stessa parola che, in gergo, viene utilizzata dai commentatori anglo-sassoni per descrivere quel giocatore che, nel raggruppamento a terra, è capace di andare a cacciare una palla in possesso dell’avversario e conquistarla per i propri compagni. E in quel settore, quello del poaching ovale, sono pochi i rivali di David Pocock, cacciatore per eccellenza.

Smessi i panni dell’uomo tranquillo per cause di forza maggiore sportiva, come la Coppa del Mondo all’orizzonte, David Pocock si è rimesso a fare ciò che sa fare meglio: contendere un pallone ovale. Sabato scorso è stato il migliore in campo nella vittoria dell’Australia, al suo ritorno sul palcoscenico internazionale. Una forza della natura si è infatti abbattuta sull’Irlanda, che per contro è la migliore squadra al mondo nel fare la guardia al proprio possesso di palla.

Una prestazione all-around quella dell’australiano: 7 cariche palla in mano, 15 placcaggi, due rimesse laterali vinte, una meta segnata e quattro turnovers vinti. La statistica più impressionante, però, sono i 56 punti d’incontro nei quali è rimasto coinvolto, e i 15 tentativi di rubare il pallone in tali situazioni. Tutto questo significa una quantità superlativa di palloni rallentati a beneficio della propria difesa, che ha infatti resistito per 80 minuti agli assalti avversari.

Joe Schmidt, che della furia dell’uomo tranquillo aveva giustamente annusato l’arrivo, si era preparato ad avere a che fare con lui, cercando di rallentarlo il più possibile, con gli avanti irlandesi pronti ad avvilupparsi intorno a lui per impedirgli di correre a far casino nel raggruppamento successivo, ma non è bastato. Con il passare dei minuti il suo dominio sulle ruck avversarie è apparso sempre più importante, salvando in un paio di circostanze i suoi grazie ai calci di punizione fischiati in suo favore all’interno dei ventidue australiani.

David Pocock è il migliore al mondo nel seguente gesto tecnico: placco l’avversario, lo porto a terra, mi rialzo e sono già a contendere il possesso. “Abbiamo dovuto trascinarlo fuori. Aveva i crampi ad entrambi i polpacci. Non sarebbe voluto uscire e alla fine abbiamo dovuto imporgli di andare fuori” ha detto il suo head coach Michael Cheika, gongolante dopo la vittoria e che ora può aggiungere un tassello importante a un pacchetto di mischia che sta ancora prendendo forma.

Le parole più importanti, dopo la partita, sono le sue. Un periodo sabbatico non è solo un momento nel quale ristorare la mente e riposare braccia e gambe, ma è anche il momento in cui un uomo tranquillo, ma profondo e aperto, si impone una riflessione su una carriera professionistica in uno sport di contatto, che porta con sé acciacchi imperituri, come hanno imparato a loro spese le ginocchia di Pocock (tre rotture dei legamenti crociati anteriori, varie ricostruzioni chirurgiche). Una riflessione sull’abbandono della propria fattoria, per tornare a combattere l’ennesima battaglia, proprio come il Sean Thornton de Un uomo tranquillo.

“Ho pensato al rugby qualche volta e a quale incredibile opportunità sia rappresentare l’Australia, e in quanto immigrato sono davvero grato per le opportunità che ho avuto. Essere in grado di vestire il green and gold e rappresentare l’Australia, andare là fuori a fare del proprio meglio e sapere che stai anche rappresentando un sacco di gente in Zimbabwe che sono stati parte dell’avventura. E’ un grande onore e qualcosa che certamente non prendo per scontato.”

Lorenzo Calamai

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